Il presidente dell’Istat, Giovanni Alleva, ha presentato lo scorso 20 maggio l’ultimo rapporto Istat 2016 sulla situazione del paese. Dai dati e dalle successive riflessioni la situazione del nostro paese rimane difficile, nonostante la crescita economica, e su alcune questioni, come le politiche sociali ed il futuro lavorativo delle giovani generazioni, drammatica.
“I Giovani tra i 15 e i 34 anni sono quelli che pagano effetti più pesanti della crisi”, ha dichiarato il presidente dell’Istat nel corso della presentazione del rapporto.
Un sistema di protezione sociale tra quelli europei meno efficace ed incapace di far fronte all’aumento di diseguaglianze e povertà: questa la vera e propria emergenza sociale e politica denunciata dal rapporto Istat 2016. Conseguenza di una politica assente sul fronte della lotta alle diseguaglianze, responsabile dei tagli nel corso di questi ultimi 7 anni al fondo nazionale per le politiche sociali, dei mancati trasferimenti ai Comuni per 19 miliardi a causa del patto di stabilità (dati IFEL), dell’assenza di una misura di sostegno al reddito, già attiva in tutta Europa con la sola esclusione di Grecia e Italia. Richiesta, quest’ultima, invocata ripetutamente da diverse risoluzioni del PE e da centinaia di migliaia di cittadini che in Italia sono da anni impegnati per introdurre un reddito di Dignità.
Dal rapporto emerge infatti come nel 2014 il tasso delle persone a rischio di povertà si riduceva, dopo i trasferimenti, di 5,3 punti (dal 24,7 al 19,4 per cento) a fronte di una riduzione media nell’Unione europea a 27 paesi di 8,9 punti. Le disparità all’interno dell’Unione sono notevoli. L’Irlanda è il paese europeo con il sistema di trasferimenti sociali più efficace, in grado di ridurre l’indicatore di rischio di povertà di 21,6 punti; segue la Danimarca (14,8 punti di riduzione). Soltanto in Grecia (dove il valore dell’indicatore si riduce di 3,9 punti) il sistema di trasferimenti sociali è meno efficace di quello italiano. La lettura dei dati dal 2005 al 2014 consente di valutare la capacità dei regimi di welfare di proteggere le persone dal rischio povertà, anche in tempi di crisi. Dall’analisi emerge in maniera inequivocabile come il nostro sistema di protezione sociale sia totalmente inadeguato a questo scopo. Per questo nonostante crescita, seppur limitata, del Pil non si traduce in un miglioramento per coloro che sono a rischio o ai margini; anzi il divario tra chi ha di più e chi di meno continua ad aumentare come mai prima d’ora.
L’indice Gini sulle diseguaglianze di reddito è infatti aumentato da 0,40 a 0,51, dal 1990 al 2011, portando il nostro paese ad essere quello con l’incremento peggiore d’Europa dopo la Gran Bretagna, in cui si registra un indice dello 0,52. Resta quindi altissimo il rischio povertà, in particolar modo al sud, non diminuito nel 2015 secondo l’Istat e fermo al 28,3%. Così come resta immutato all’11,5% l’indice di grave deprivazione materiale. L’istituto di ricerche afferma nel suo ultimo rapporto come il sistema di trasferimenti italiano (escludendo le pensioni) non sia in grado di contrastare la dinamica di costante impoverimento, che colpisce soprattutto donne, minori, famiglie monoparentali, migranti già residenti. Sempre dall’ultimo rapporto Istat apprendiamo come il progressivo deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro abbia contribuito in maniera determinante all’aumento vertiginoso delle diseguaglianze, colpendo soprattutto giovani e donne.
L’instabilità lavorativa e la precarietà sono tra i principali fattori che generano i maggiori svantaggi distributivi secondo l’Istat. I giovani lavoratori sono anche quelle che attraversano la fase riproduttiva del ciclo di vita e l’aumento delle disuguaglianze ha tra le varie conseguenza il peggioramento delle condizioni economiche dei minori, inseriti in contesti familiari che faticano a mantenere livelli di reddito adeguati, ed un tasso negativo di natalità. Dinamiche che spiegano la crescita del drammatico fenomeno dei NEET, gli under 30 che non sono occupati, non studiano ed hanno smesso di cercare lavoro. Nel 2015 erano oltre 2,3 milioni, in grande aumento rispetto al 2008 ma in leggero calo rispetto al 2014 (-2,7%).
A conferma di una situazione che vede i giovani del nostro paese tra i più discriminati del continente, i dati del rapporto Istat sulla mobilità sociale e sugli effetti occupazionali del percorso di studi testimoniano un sistema sociale bloccato e/o altamente selettivo, nel quale l’accesso ad un buon lavoro è possibile solo per coloro che hanno condizioni di partenza migliori. Il futuro è sempre più determinato dalla condizione/posizione dei genitori. La laurea non aiuta più a trovare un lavoro: il tasso di occupazione di un laureato trentenne è diminuito in dieci anni dal 79,5% del 2005 al 73,7% del 2015. Allo stesso tempo emerge come l’istruzione sia comunque un “paracadute”, visto che la diminuzione dell’occupazione è stata inferiore per i laureati, così come cresce la percentuale di “sovra istruiti”, cioè quei lavoratori che svolgono una professione per la quale è richiesto un titolo di studi inferiore, passata dal 18,9 al 23,5%. A tre anni dalla laurea solo il 53,2% dei laureati ha trovato un’occupazione ottimale, con un contratto standard, una durata medio-lunga e altamente qualificata.
I dati forniti dal rapporto Istat 2016, come quelli di altri centri di ricerca indipendenti, università pubbliche, ong, confermano l’aumento senza precedenti delle diseguaglianze e del rischio povertà, causati non solo dalla crisi ma da un sistema di protezione sociale inadeguato, da un peggioramento del mercato del lavoro che vede i giovani come i più discriminati e dall’assenza di una visione delle politiche sociali come strumento di contrasto alle diseguaglianze, di rafforzamento della coesione sociale e di garanzia di uno sviluppo equo e redistributivo. Le politiche sociali, gli interventi redistributi e pre-distributivi, sono elementi centrali della Democrazia pensati nella nostra Costituzione allo scopo di garantire uguaglianza di opportunità e quei Diritti Sociali che rendono concreta l’intangibilità della dignità umana.
Libera e Gruppo Abele, insieme a più di duemila realtà sociali e del volontariato laico e cattolico, continuano attraverso campagne e iniziative come Miseria Ladra, Reddito di Dignità e (im)Patto Sociale a proporre analisi e misure concrete, efficaci e strutturali attraverso le quali contrastare le diseguaglianze e le mafie, che grazie alla crisi vedono accresciuto il loro potere di penetrazione culturale, economica e sociale.
Giuseppe De Marzo