Attivista, economista, giornalista e scrittore. Giuseppe De Marzo è coordinatore nazionale della Campagna “Miseria Ladra” di Libera e con il Gruppo Abele, il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) e la Rete della Conoscenza ha dato vita alla Rete dei numeri pari, movimento che oggi riunisce tante e diverse organizzazioni sociali, di livello nazionale e locale, con un obiettivo comune: il contrasto alla povertà e alla disuguaglianza sociale.
Giuseppe, con la Rete dei numeri pari state gettando le basi per un movimento che si pone l’obiettivo di una rivoluzione che possiamo definire culturale, etica, sociale. Cosa ti ha portato, personalmente, a fare questo “salto”?
La consapevolezza che da solo nessuno, oggi, ce la può fare. La ragione per cui con la Rete dei numeri pari abbiamo deciso di “saltare” è quella di dover necessariamente creare un nuovo soggetto plurale: le realtà del novecento sono parte della crisi; nelle loro forme di partecipazione, nella lettura del contesto, risentono di un approccio che deve necessariamente aggiornarsi. Personalmente, “salto” perché da soli non si va da nessuna parte: è il momento di mettere in pratica modelli di democrazia orizzontale che possano vivere all’interno delle reti sociali che si adoperano per affrontare problemi di carattere materiale. Stavolta, per la teoria c’è tempo: la faremo domani. Ora deve essere la prassi a guidare la teoria. Anche perché se non facciamo, adesso, questo salto, saranno altri, le realtà più storicamente più pericolose di questo Paese, a capitalizzare la crisi: dobbiamo alimentare la speranza altrimenti aumenterà la disperazione. Ed è nella disperazione che fascisti e razzisti trovano terreno fertile.
In questo scenario, una domanda sul mondo della comunicazione: com’è il tuo rapporto con i media?
La concentrazione che c’è stata in Italia nel settore dell’informazione è pericolosa: quando si creano degli oligopoli, i più danneggiati sono i cittadini. Quanto alla qualità dell’informazione, la risposta è semplice: quando si costringono giovani giornalisti alla spasmodica ricerca della spettacolarizzazione della notizia, quindi a limitarsi sulla mera cronaca, non si fa un buon servizio alla cittadinanza. Come dice Gianni Minà, i giornalisti svolgono un servizio sociale. Devono essere al servizio della comunità. Ma questa visione cozza con quella attuale: i media mainstream operano in modo compulsivo e una comunicazione compulsiva non consente ai giornalisti di sviluppare nessun tipo di giornalismo d’inchiesta, di porre la massima attenzione alla notizia, di essere sobri nel linguaggio. Sogno un giornalismo asciutto, rispettoso, capace di approfondire perché la qualità dell’informazione è un pezzo fondamentale della democrazia: è informandosi che la gente si forma un giudizio. Abbiamo visto, negli ultimi anni, notizie false, notizie omesse, notizie manipolate. Ci si limita a una rappresentazione della realtà fondata sui numeri, si titola sul fatto che “in Italia ci sono 4,9 persone in povertà assoluta”. Ma cosa significa? Un lettore come può capire di chi sono le responsabilità di quei numeri se nessun giornalista cerca di leggerli, di capirli, di raccontare cosa si nasconde dietro quelle cifre? Dare solo dei numeri significa confondere.
Una delle particolarità della Rete dei numeri pari è la creazione di una vera rete: avete messo fisicamente in relazione, in una mappa digitale, tutte le realtà che hanno aderito e raccontate, nella pratica, come operano. Perché questa scelta?
E’ stata una vera necessità. Dobbiamo capire che non siamo soli per iniziare a lavorare insieme. Come ci insegna la natura, nessuno vive o sopravvive da solo. La vita si muove intorno a quattro regole: relazionalità, corrispondenza, reciprocità, interdipendenza. Il risultato è che siamo gli uni dipendenti degli altri. La natura agisce per accordi di cooperazione e coevoluzione: la vita va avanti per accordi di scambio mentre chi compete finirà per estinguere la propria razza. Per dar vita a questo percorso abbiamo attinto dall’ecologia sociale, dalla scienza sociale, dalle comunità indigene che insegnano come siamo gli uni collegati agli altri. Quanto alla mappa digitale, abbiamo voluto dare la rappresentazione della geografia della speranza. Collegandoti al sito della Rete dei numeri pari puoi vedere quali sono le realtà, e quali attività praticano, dal doposcuola gratuito alla fabbriche recuperate, dai mercatini ai co-working, ai co-housing.
Avete deciso di mettere in risalto quanto avviene sui territori, nel locale, in quelli che a volte sono piccoli laboratori. Perché?
Le grandi campagne nazionali possono essere liberatorie, aiutarci a leggere la realtà, ma faticano ad aggregare veramente. Spesso non hanno esito perché le relazioni di forza, semplicemente, non sono a nostro favore: abbiamo raccolto centomila firme per il reddito di dignità ma parlamento e governo non le hanno minimamente prese in considerazione. E allora che fai? O ti arrendi oppure riparti dal basso, da chi fornisce concrete risposte alla povertà, da chi aggrega gli esclusi dai diritti e dalla politica. Solo lavorando con queste persone si possono creare percorsi che rendano la comunità più consapevole nel medio e nel lungo periodo.
Hai letto il documento di presentazione de il Salto. Posso chiederti un commento positivo, e in caso anche uno negativo, di quanto abbiamo scritto?
Mi convince la consapevolezza con la quale state costruendo una nuova realtà editoriale, basata sulla necessità di cambiare il modo di fare giornalismo: state rispondendo in primis ai vostri bisogni e questo è il terreno giusto sul quali costruire un giornale, una rivista, un network, un punto di riferimento per chi vuole informarsi veramente. Devo anche sottolineare l’importanza del fatto che il Salto abbia palesato l’obiettivo di voler dar voce alle reti, alle realtà, alle associazioni che portano avanti un interesse generale: avete preso una posizione netta in un mondo in cui, in maniera finta, ci viene raccontato che il giornalismo è neutro. Ora sta anche a voi sottrarre alla marginalità politica le piccole realtà di base che da anni fanno uno splendido lavoro ma che non hanno modo di raccontarsi o essere raccontati. Un’altra nota di merito: l’uguaglianza con la quale avete deciso di sviluppare le relazioni al vostro interno, sul lavoro. E’ fondamentale, oggi, partire dalla nostra coerenza per evitare di essere cittadini a intermittenza. Quanto ai rischi, non ne vedo. Mi limito a darvi un consiglio: che al vostro interno trionfi il pluralismo. La redazione de il Salto deve essere un luogo dalle molteplici rappresentazioni. Evitate di cercare la sintesi: le società in movimento hanno capito da tempo che le avanguardie non servono; il sud del mondo sa bene che la sintesi è negativa. Lasciate che i discorsi restino aperti, in costruzione. Al andar se hace el camino. Le sintesi, invece, riducono gli spazi percorribili, restringono i sentieri.
Il Salto incontra la Rete dei numeri pari: «Da solo non si salva nessuno …»