Sono trascorsi già quattro anni da quando il World Economic Forum di Davos ha identificato nella crescente disuguaglianza economica la maggiore minaccia alla stabilità sociale, tre da quando la Banca Mondiale ha dichiarato il proprio obiettivo di eradicazione della povertà e appena due da quando i leader mondiali hanno sottoscritto l’Agenda 2030 contenente i 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile mettendo al primo posto quello della “povertà zero”. Eppure il divario tra ricchi e poveri non solo si è allargato, ma ha raggiunto dimensioni allarmanti.
Secondo Oxfam, la ricchezza detenuta dall’1% della popolazione mondiale supera quella del restante 99%. Per dirla in parole povere, bastano 8 ‘Paperoni’ del pianeta per fare la ricchezza dei 3,6 miliardi più poveri. Ma questa è solo l’istantanea di un processo in corso. Notizie sempre più negative e sempre peggiori si susseguono ogni giorno e, in un mondo dove oltre un miliardo di persone vive con meno di 1,25 dollari al giorno e 1 su 9 non ha nemmeno abbastanza da mangiare, è proprio l’Italia a detenere uno dei primati in negativo.
Mentre si continua a dire che il PIL è cresciuto dell’1,7% sull’anno, i dati Eurostat raccontano però che l’Italia è il Paese che ha più poveri in Europa. L’Istat non è da meno: nel 2016, infatti, si stima siano ancora 1 milione e 619 mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui, e 2 milioni 734mila famiglie, 8 milioni 465mila individui, che versano in uno stato di povertà relativa. La nostra penisola conta diciotto milioni di persone a rischio povertà o esclusione sociale, il 30% della popolazione residente. Il recente rapporto Censis sulla situazione sociale nel paese, restituisce la fotografia di un’evoluzione della povertà del 165% rispetto al 2007, ovvero prima della crisi.
L’aumento delle persone in povertà assoluta convive con l’intensificazione della condizione della povertà assoluta, poiché i redditi delle famiglie coinvolte si è allontanato ancor di più dalla soglia di accesso alla povertà. Sempre in parole spicciole: mentre i più ricchi, soprattutto i molto ricchi, diventano ancora più ricchi, così i poveri, soprattutto i molto poveri, diventano ancora più poveri in linea con le crescenti disuguaglianze socio-economiche di questi anni. Una concentrazione che vede protagonisti soprattutto le famiglie straniere, che è probabilmente il dato più nuovo su cui porre attenzione, i minori, i giovani e le famiglie numerose.
Sono aumentati i disoccupati e gli inoccupati, è cresciuto il numero dei lavoratori poveri il cui reddito insufficiente ne pregiudica le capacità di autodeterminazione, è peggiorata la condizione minorile e giovanile (ad esempio l’altissimo numero dei giovani che non studiano e non lavorano), si sono aggravate le discriminazioni di genere per quanto riguarda accesso al mercato del lavoro, retribuzione e assegni pensionistici. Inoltre, 100.000 italiani hanno lasciato il paese nell’ultimo anno in cerca di miglior fortuna, si è rafforzato il potere delle mafie e il loro potere di penetrazione economico culturale a causa del ricatto economico e si approfondisce la disuguaglianza territoriale aggravando ulteriormente la questione meridionale.
In tutti questi anni l’incremento della povertà ha comportato un aumento delle disuguaglianze. In Europa, stante all’indice Gini di disuguaglianza di reddito, solo la Gran Bretagna sembra aver fatto peggio dell’Italia. Non si è risposto alla crisi con più welfare, ma con meno welfare, che è stato uno degli ambiti maggiormente sacrificati per il recupero di risorse a favore di un auspicato nuovo sviluppo dell’economia. Anche nei settori in cui la spesa sociale non è arretrata, di fatto i livelli di welfare non sono stati in grado di contrastare l’erosione sociale di molte fasce di ceto popolare ed anche di ceto medio. Il dato delle 350.000 sentenze di sfratto negli ultimi 5 anni in Italia per “morosità incolpevole” è significativo della totale disattenzione nei confronti delle così dette “nuove povertà”.
È evidente che questo incremento mostruoso della povertà sia stato indotto anche dai massicci tagli alle spese sociali nei bilanci nazionali e, soprattutto, comunali. Ed ecco come l’impatto di politiche di bilancio che hanno privilegiato la sicurezza economica di una classe di privilegiati hanno invece lasciato soli e fragili non solo gli individui, ma anche tutti quegli organismi sociali, dal mondo del volontariato e del terzo settore, che tradizionalmente sono i primi ammortizzatori della povertà.
A niente servirà la recente misura del Reddito di Inclusione (REI) per cui verranno stanziati 1,7 miliardi nel 2018 e circa 1,8 nel 2019, con un recente aumento di 300 milioni, dato che per affrontare l’emergenza sociale sopra descritta ne servirebbero 5 in più all’anno. Dieci volte in più per una misura strutturale di reddito minimo, essenziale per affrontare il “rischio povertà”. Ed ecco che, di nuovo, si ripresenta la lotta del povero contro il più povero: infatti la misura ne raggiungerà solo 1 su 4.
In questo panorama, è chiaro che la principale vittima della disuguaglianza è la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza e di vita dignitosa, sempre più tagliati, sempre più scarsi, sempre più in mano a pochi, ricercati ed inaccessibili, diventano oggetto di una rivalità tra i privilegiati ed i bisognosi lasciati senza supporto, condannati a rimanere nella propria condizione. Una situazione che è la conseguenza diretta di aver sostituto la competizione e la rivalità alla cooperazione e alla coabitazione basata sulla reciprocità, sull’integrazione e l’inserimento sociale di chi è rimasto ai margini. Se lasciata senza controllo, la crescente disuguaglianza continuerà ad essere una lacerazione delle nostre società, causando un aumento della criminalità e dell’insicurezza e pregiudicando l’esito della lotta alla povertà.
Questo non è però un destino ineluttabile, esiste una visione positiva di un futuro possibile, che vede uniti, in una geografia della speranza, tutti i soggetti e le realtà del sociale convinte che i diritti sociali, la dignità di ogni essere umano e l’impegno contro ogni forma di ingiustizia sociale e razzismo siano le fondamenta sulle quali ricostruire democrazia e partecipazione.
Tutti e tutte quelle persone che auspicano l’istituzione di un Reddito di Dignità che metta finalmente al passo anche l’Italia con tutti gli altri Stati dell’Unione Europea. La Costituzione europea, infatti, detta dei criteri e stabilisce che nessun cittadino deve scendere in termini di reddito personale sotto la soglia del 60% del reddito mediano pro-capite dello Stato di riferimento, linea invalicabile per garantire l’intangibilità della dignità umana. Il Reddito di Dignità, così come pensato dalla Rete dei Numeri Pari, che unisce centinaia di realtà sociali diffuse in tutta Italia, permette di costruire un pensiero, una consapevolezza ed una proposta più forte per contrastare le pericolose tendenze culturali imposte dalle politiche di austerità: darwinismo sociale, universalismo selettivo e istituzionalizzazione della povertà. Si tratta non solo di superare lo “spezzatino” delle tante ma insufficienti, e a volte contraddittorie, misure assistenziali, ma anche di unire ad un doveroso atto di giustizia sociale l’occasione di riconnettere le risorse individuali e familiari alle esigenze scoperte delle comunità locali, restituendo protagonismo e autorevolezza sociale alle persone che vivono una condizione di marginalità e rischiano la deriva dell’emarginazione e della completa deprivazione sociale. Un reddito di dignità che coinvolga i residenti, e non solo i cittadini, e che superi così il pericoloso vuoto legislativo dello ius soli.
L’aumento del divario tra ricchi e poveri non è un fenomeno inevitabile, quindi, ma la conseguenza di scelte politiche il cui scopo era proprio quello. Non è un caso la situazione in cui ci troviamo. È compito della geografia della speranza, dei vinti che hanno subito le conseguenze della crisi e le pagano tutt’ora, mettersi insieme ed invertire la rotta. Ed è per questo che la manifestazione del 16 dicembre, che riunirà insieme i dannati della globalizzazione e della colonizzazione economico finanziaria, oggi più che mai rappresenta uno spazio pubblico in cui unire le voci e rimettere al centro dell’agenda politica la dignità umana.