CONSIDERAZIONI DI SINTESI
Il triennio di crescita consecutiva del Mezzogiorno, al ritmo di sviluppo del resto del Paese, è un risultato non scontato. La recessione è ormai alle spalle per tutte le regioni meridionali, benché gli andamenti siano alquanto differenziati. Il consolidamento della ripresa è essenzialmente dovuto al contributo del settore privato i cui risultati, in termini di export e di investimenti, lasciano supporre che, anche dopo il massiccio disinvestimento avvenuto con la crisi, sia rimasto attivo e competitivo un nucleo industriale, anche nel settore manifatturiero, in grado di cogliere le sfide competitive.
Il recupero dell’industria meridionale desta particolare sollievo, per quanto sia da legare al tipico “haircut” delle fasi negative del ciclo, che ha estromesso dal mercato le imprese inefficienti e ha lasciato spazio a quelle più efficienti e produttive. D’altronde, l’intensità della crisi è stata tale che ha avuto anche effetti strutturali più profondi, espellendo dal mercato anche imprese sane ma non attrezzate a superare una recessione così lunga e impegnativa. L’apparato produttivo rimasto al Sud sembra essere in condizioni di ricollegarsi alla ripresa nazionale e internazionale, come dimostra anche l’andamento delle esportazioni. Tuttavia, permane il rischio che in carenza di politiche che sostengano adeguatamente l’apparato produttivo e ne favoriscano l’espansione, questo non riesca, per le sue dimensioni ormai ridotte, a garantire né l’accelerazione né il proseguimento di un ritmo di crescita peraltro insufficiente.
La ripresa degli investimenti privati, in particolare negli ultimi due anni, ha più che compensato il crollo degli investimenti pubblici, che si situano su un livello strutturalmente più basso rispetto a quello precedente la crisi (4,5 miliardi di investimenti annui in meno rispetto al 2010) e per i quali non si riesce a invertire un trend negativo. Questo rappresenta l’elemento maggiormente critico per una politica di sviluppo del Mezzogiorno, l’area che si dimostra maggiormente reattiva a questo tipo di politiche, con benefici effetti per l’interno Paese.
Insomma, il settore privato sembra avere fatto la sua parte, mentre il complesso delle politiche per il Sud e la coesione territoriale – pur con impulsi molto
positivi, in particolare con il credito di imposta per gli investimenti e i Contratti di sviluppo – non sembra aver prodotto risultati soddisfacenti. Il crollo degli investimenti pubblici, connesso non soltanto ai vincoli fiscali derivanti dal proseguimento dell’austerità, unito alla mancata ripresa dei consumi delle Pubbliche amministrazioni, rappresentano i principali elementi di divergenza rispetto al resto del Paese e un ulteriore progressivo indebolimento dell’azione pubblica, anche in termini di servizi per i cittadini e le imprese, in un’area che si dimostra non solo bisognosa di politiche pubbliche ma anche positivamente reattiva ai loro stimoli.
Se il consolidamento della ripresa del Sud suggerisce che la crisi non abbia del tutto minato la capacità del tessuto produttivo meridionale di rimanere agganciato ai processi di sviluppo, tuttavia, il ritmo della congiuntura appare del tutto insufficiente ad affrontare le emergenze sociali nell’area, che restano allarmanti. Da un lato, la crescita del 2015-2017 ha recuperato in misura solo molto parziale il patrimonio economico e sociale disperso dalla crisi, la cui perdita si è sommata al gap già esistente in termini di produttività delle imprese e benessere degli abitanti. Dall’altro, anche nella ripresa si registrano ulteriori elementi di divergenza e disuguaglianza interna, che indeboliscono il tessuto sociale: aumenta l’occupazione (benché in misura insufficiente a colmare la voragine apertasi con la crisi), ma vi è una ridefinizione al ribasso della sua struttura e della sua qualità: i giovani sono tagliati fuori, aumentano le occupazioni a bassa qualifica e a bassa retribuzione, pertanto la crescita dei salari risulta limitata e non in grado di incidere su livelli di povertà crescenti, anche nelle famiglie in cui la persona di riferimento risulta occupata.
Il divario sempre più forte in termini di servizi pubblici, la cittadinanza “limitata” connessa alla mancata garanzia di livelli essenziali di prestazioni, incide sulla tenuta sociale dell’area e rappresenta il primo vincolo all’espansione del tessuto produttivo. Del resto, proprio questo indebolimento della qualità dei servizi ha fatto emergere una sofferenza sociale del Sud, manifestatasi anche nelle ultime elezioni, con un voto che non può essere liquidato con letture semplicistiche incentrate esclusivamente sulla richiesta di politiche assistenzialiste. Un’interpretazione sbagliata, che d’altra parte non riflette nemmeno adeguatamente la complessità della società meridionale ricca di dinamismo e di consapevolezza della necessità di in discontinuità nei rapporti tra Stato e cittadini.
A fronte di un quadro di consolidamento di una debole ripresa, in cui i segnali di resilienza sono tuttavia insufficienti a invertire il declino sociale e demografico dell’area, rischia di aprirsi una “stagione dell’incertezza” – in cui l’Italia fa segnare un rallentamento della crescita – che potrebbe determinare nel Sud una “grande frenata”. Oltre alle persistenti tensioni geopolitiche, al sorgere di spinte protezionistiche e al raffreddamento delle politiche monetarie espansive della BCE, sul Mezzogiorno pesano elementi di incertezza connessi all’avviamento delle politiche economiche proposte dal nuovo Governo, specie riguardo i tempi previsti di attuazione e le possibili ricadute territoriali (come nel caso della cd. Flat tax), che non facilita la definizione dei piani di sviluppo e investimento.
Questo è ciò che emerge dall’aggiornamento delle previsioni per il 2018-2019 del modello econometrico della SVIMEZ: in assenza di un quadro chiaro di
riferimento per la politica economica, per cui si attende la Nota di aggiornamento al DEF e la Legge di Bilancio, il “tendenziale” di crescita dell’area, nel biennio di previsione, potrebbe addirittura dimezzarsi, passando dal 1,4% del 2017 allo 0,7% del 2019. Un dato che si ripercuote negativamente sull’intero Paese, in quanto il grado di interdipendenza tra le economie delle due macroaree risulta elevato, e che dimostra quanto il Sud avrebbe bisogno di una strategia di politica per lo sviluppo.
Per il Mezzogiorno, insomma, mantenere il tasso di crescita del triennio non sarà facile. Potrebbero aiutare, per sostenere il sistema produttivo, che pure sta facendo la sua parte, non solo il proseguimento della misure di incentivazione agli investimenti più efficaci (compresa Industria 4.0 per la quale sarebbe necessario immaginare riserve per il Sud che compensino i suoi svantaggi strutturali), ma anche l’attuazione di strumenti di intervento nel Mezzogiorno, già nel paniere del Governo, come l’istituzione di Zone economiche speciali nelle principali aree portuali, con incentivi fiscali e semplificazioni amministrative. In generale, serve una politica fiscale più espansiva per favorire il consolidamento della domanda interna, che ha sostenuto la crescita del periodo e rispetto alla quale il Mezzogiorno è sempre stato particolarmente reattivo, per la quale ciò che fin qui è mancato è stato il contributo della spesa pubblica sia per i consumi che per gli investimenti. Da questo punto di vista, attuare un vero riequilibrio territoriale degli investimenti pubblici ordinari risulta cruciale. Particolarmente opportuna, appare l’indicazione del nuovo Ministro per il Sud di favorire l’attuazione della cd. “clausola del 34%” per la spesa ordinaria in conto capitale (ancora inattuata) e, ancor di più, di estenderla al Settore Pubblico Allargato delle grandi aziende partecipate.
La premessa essenziale per un rinnovato impegno pubblico per lo sviluppo del Mezzogiorno, passa tuttavia per la riqualificazione, l’ammodernamento e la razionalizzazione delle istituzioni preposte all’amministrazione dello sviluppo e della coesione, per colmare i deficit in termini di risorse umane qualificate, in particolare sul versante della progettazione degli interventi, inefficienze organizzative a livello locale, carenza di coordinamento strategico a livello nazionale e di volontà e/o capacità di attivare efficaci poteri sostitutivi.
Ad ogni livello di governo – regionale e nazionale, ed in particolare europeo, dove porre con forza il tema delle asimmetrie e degli squilibri di una governance economica che produce divergenza – compito della politica è di non rassegnarsi sul tendenziale rallentamento di una ripresa peraltro già troppo debole, ma di riattivare una grande stagione di investimento nel Mezzogiorno, mirata al miglioramento delle infrastrutture economiche e sociali, per il miglioramento delle condizioni competitive delle imprese e dei fondamentali del benessere dei cittadini, come leva per l’accelerazione del tasso di sviluppo dell’intero Paese.
Documento completo al seguente link:
http://www.svimez.info/images/RAPPORTO/materiali2018/2018_08_01_anticipazioni_testo.pdf