Sicurezza: una parola di cui è necessario riappropriarsi

26 febbraio 2019

Il 24 settembre il Consiglio dei Ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto “decreto sicurezza“, il provvedimento fortemente voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini che restringe le possibilità di accoglienza degli stranieri e introduce una serie di nuove norme sulla sicurezza. In questi mesi di applicazione, il decreto ha avuto effetti pratici quali, per citarne solo alcuni, i trasferimenti di richiedenti asilo via dai CARA, Sprar, Cas, annunci di chiusura di strutture di accoglienza, abolizione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari, l’ampliamento del cosiddetto “DASPO urbano”, che permette a sindaco e prefetto di multare e allontanare da alcune zone della città persone che mettono a rischio la salute dei cittadini o il decoro urbano. Dove per “decoro urbano” non è chiaro cosa si intenda, e può estendersi infinitamente anche al divieto per le persone senza dimora di dormire sulle panchine, in totale assenza di una soluzione alternativa.

In termini di narrazione, il decreto ha avuto l’effetto anche di appropriarsi della parola “sicurezza”, trasformandola in un’operazione spregiudicata di colpevolizzazione del povero, utilizzando lo strumento della sanzione non per governare per giustizia, ma al fine di inseguire una legalità formale che si distanzia dalla tutela di diritti primari come la casa, il reddito, la salute, lo studio, la qualità della vita, tutt’oggi non garantiti.

“Per effetto del decreto, anche richiedere un’occupazione di suolo pubblico per iniziative culturali nei territori diventa una lotta.” – racconta Emilia Fragale, docente romana. “Gli spazi pubblici sono elemento chiave del benessere individuale e sociale, i luoghi della vita collettiva delle comunità, espressione della diversità del comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità. Pertanto, la loro riappropriazione in una dimensione collettiva è la più forte risposta al degrado e all’insicurezza che una comunità possa esprimere. La realizzazione di attività ed eventi culturali fruibili, gratuiti e collettivi, consente alla cittadinanza la riappropriazione e il decoro di quegli spazi che possono tornare a essere luoghi della comunità attraverso l’abitudine alla frequentazione e alla ripresa dell’incontro, con la riconquista della sicurezza del territorio attraverso il controllo sociale ma anche il presidio naturale che la vivacità sociale di un luogo garantisce.”

In un mondo in cui la sicurezza sembra essere il valore supremo, un valore che serve a giustificare numerosi soprusi e che, appena invocato, improvvisamente sospende ogni discussione o dissenso, alcune realtà territoriali raccontano una storia diversa. In un clima che tenta di nascondere milioni di poveri sotto al tappeto di decreti che dilatano l’area degli abusi, macinando vittime e giustificando provvedimenti repressivi di qualsiasi sorta, fatto di muri e barricate per paura del terrorismo, costruito su un informazione che serve a dare la colpa del nostro impoverimento a chi fugge dalle bombe o dalla miseria invece che ai reali responsabili dell’insicurezza mondiale, le reti territoriali lavorano incessantemente per riprendersi i propri spazi e diritti sociali, ambientali, umani. Un lavoro di comunità che, un giorno, chiederà ai governanti di giustificare ai popoli un mondo che ha ceduto i diritti umani in cambio della sicurezza.

Martina Di Pirro

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