Seminatori d’odio, la «peste» che si propaga nel terzo millennio

«Lettera a un razzista del terzo millennio»: l’ultimo testo di don Luigi Ciotti, per le edizioni Gruppo Abele

«Il tempo che viviamo è segnato da una dittatura dell’effimero, da un eterno presente in cui tutto accade senza lasciare traccia. Conta l’emozione, il clamore, la polemica del momento, ma poi tutto finisce lì, soppiantato da altre emozioni, clamori, polemiche. Calato il polverone dell’emergenza, il passaggio che si offre ai nostri occhi è sempre lo stesso, solo più desolante e trascurato. I tempi sono bui e le prospettive ancor più fosche. Ma non abbandoniamo la speranza, a patto che non sia generica e di maniera».

È UNO DEI PASSAGGI dell’ultimo testo di don Luigi Ciotti, appena uscito in libreria: Lettera a un razzista del terzo millennio (edizioni Gruppo Abele). Circa 80 pagine scritte dando del tu, come spesso fa il fondatore del Gruppo Abele e di Libera. Una lettera densa di riflessioni, ricca di spunti, severa e giusta nei giudizi, che non cede a semplificazioni e scorciatoie. Un testo diretto, in cui vengono smontati luoghi comuni e ipocrisie, ma che allo stesso tempo chiede a ciascuno di noi un impegno ulteriore: «Non possiamo e non dobbiamo accettare il mondo così come è». Abbiamo bisogno di gesti esemplari e conflittuali, con il limite del rispetto della dignità e dell’integrità fisica delle persone, perché «oggi sono le leggi a dare diritto di cittadinanza al razzismo».

DON CIOTTI EVIDENZIA come, da tempo, le misure sanzionatorie prevalgano su quelle di inclusione, nonostante la loro inefficacia: vedi la Turco-Napolitano, a cui ha fatto seguito la Bossi-Fini, il Testo Unico sull’immigrazione, il decreto Minniti-Orlando, sino al decreto Salvini. La vera posta in palio è la messa in discussione dell’universalità dei diritti e, dunque, l’idea stessa di uguaglianza. «Non si persegue più una politica per il bene comune e per la dignità delle persone, mentre ci si vanta di perseguitare e di essere cinici», afferma.
Una Lettera la sua che non fa sconti a nessuno, in cui emergono chiare le responsabilità della fase in cui siamo. Per don Ciotti «il razzismo è a volte provocato o alimentato da situazioni di disagio reale, sfruttate dai seminatori di odio; per rimuoverlo non basta richiamare solidarietà e principi, ma bisogna affrontare concretamente i problemi con proposte e risposte efficaci, avendo come obiettivo non la solidarietà ma il diritto e la giustizia sociale per tutti».

USARE LE CATEGORIE del diritto e della giustizia aiuta a smontare le grandi ipocrisie e bugie con cui viene fabbricato il consenso dei seminatori d’odio – «invasione», «prima gli italiani», «aiutiamoli a casa loro». Nel testo, emergono le responsabilità di chi ha governato in questi ultimi vent’anni, di «una politica che svende l’etica in cambio del potere quando alimenta e sfrutta le paure invece che ragionare e lavorare per risolvere i problemi a partire dalla loro complessità».

Don Ciotti mette insieme le cause e gli effetti delle migrazioni con le «falle» del sistema economico, denunciandone i limiti. Ad esempio sappiamo che decine di milioni di persone a causa dei cambiamenti climatici sono costrette a lasciare le loro case. Senza alternative radicali continueranno a migrare, «ma di alternative radicali non si vuole parlare perché bisognerebbe dire e riconoscere le responsabilità del modello economico liberista, la sua insostenibilità sociale e ambientale che ci porta proprio in questa situazione». Chi ha potere oggi nasconde le proprie responsabilità e le sposta sui più deboli. L’autore denuncia poi le colpe del sistema nella costruzione del populismo, così come ne smonta le ragioni.

ALLO STESSO TEMPO, ricorda che in assenza di una politica fondata su una visione complessiva, sistemica e interdisciplinare sia più facile diffondere la «peste» del rancore e del razzismo grazie all’aumento delle disuguaglianze, causato proprio dalle stesse politiche economiche dei seminatori d’odio. Producendo così le condizioni per invocare l’uomo forte, descritte come l’anticamera del fascismo. «Il fascismo che riemerge è il sintomo di una democrazia malata e di una politica che non serve più il bene comune. L’impegno deve essere di tutti e non limitato alla solidarietà. Si deve accogliere ed allo stesso tempo denunciare le cause dell’esclusione ed operare per eliminarle».

NELLA «LETTERA», don Luigi ci esorta a ricostruire una civiltà che vive una profonda crisi di umanità. E lo fa con estrema franchezza, senza semplificazioni, indicando l’unica strada possibile: organizzare il dissenso e trasformarlo in progetto. Un progetto che deve partire dalle persone discriminate ed escluse, per ribellarci contro il conformismo, il condizionamento continuo, l’assopimento delle coscienze, ripartendo dalle relazioni e dalla conoscenza.

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