Intervista Huffpost: la propaganda razzista punta sui deboli. Non da oggi la paura serve per fare bottini elettorali, torniamo tutti al bene comune
La manomissione comincia dalla lingua: “Sono stanco di sentir parlare di popolo. È una parola importante, che bisogna pronunciare con rispetto e, arrivo a dire, un po’ di reverenza. Invece, è tra le più abusate e manipolate di questo tempo. I populisti, lungi dall’amare il popolo, di puntare al suo progresso sociale, civile, culturale, economico, l’hanno strumentalizzato per biechi fini di potere, spacciando illusioni, menzogne e creando, se necessario, nemici immaginari, come faceva la dittatura fascista con l’Inghilterra, e come si sta facendo oggi con i migranti”. Secondo Don Luigi Ciotti – prete, fondatore del gruppo Abele e presidente dell’associazione antimafia, Libera –, la cosa più urgente da fare oggi non è lanciare allarmi, salire sulle barricate insieme alla propria tribù, non è nemmeno attaccare Luigi Di Maio e Matteo Salvini: “Non mi interessano le polemiche personali”. La cosa più importante da fare per Don Ciotti è parlare con i razzisti: “Non solo si può parlare loro: si deve. La parola, quando scaturisce dalla conoscenza ed è animata da passione e onestà, può aprire spiragli in menti che ignorano la realtà o la tengono a distanza con le barriere dei giudizi e dei pregiudizi”.
Per farlo, ha scritto “Lettera a un razzista del terzo millennio” (Edizioni Gruppo Abele), un breve libro nel quale si rivolge al suo interlocutore immaginario senza condannarlo moralisticamente, né liquidandolo con la scomunica di un’etichetta – “fascista” – che interrompe qualsiasi discorso, tracciando una divisione irremovibile tra chi sta da una parte e chi sta dall’altra. Al contrario, riconosce l’ingiustizia, l’impoverimento economico, l’esclusione sociale che al falò del razzismo forniscono legna da bruciare in quantità: “Bisogna sempre cercare di capire, tanto più se si tratta di questioni così delicate. Non per indulgenza, ma perché per dare a un problema grave risposte efficaci bisogna comprenderlo in tutte le sue sfaccettature, nei suoi risvolti politici, etici, esistenziali. Altrimenti, da una parte e dall’altra, ci si limita agli slogan e alla propaganda”.
Qual è la differenza tra un razzista del terzo millennio e gli altri razzisti?
Credo che a fare la differenza siano soprattutto i mezzi d’informazione e di comunicazione, che negli ultimi decenni, grazie a Internet, hanno conosciuto un potenziamento mai visto prima. Oggi i giudizi sommari e i pregiudizi del razzismo viaggiano a velocità impressionante e possono diffondersi in modo capillare, cosa che è stata sfruttata dai demagoghi e impresari della paura per alimentare l’ostilità contro il “diverso” e lo straniero, additati come i colpevoli dei nostri mali mentre ne sono le principali vittime.
Vittime di cosa?
Di un “sistema ingiusto alla radice” e di una “economia di rapina”, come dice Papa Francesco. Le definiamo migrazioni ma sarebbe più giusto definirle “migrazioni indotte”. L’Occidente ha colonizzato prima politicamente e poi economicamente interi continenti, ne ha razziato le risorse, violentato la natura, ucciso le culture. Ha fatto insomma terra bruciata attorno a chi abitava quei luoghi da millenni. E ora si lamenta se quelle persone vengono da noi disperate a chiedere una mano. Andiamo allora a costruire, non a demolire e rubare: di colpo si fermeranno gli esodi forzati e le tante tragedie a loro connesse, perché il migrare sarà di nuovo una scelta libera, non un destino terribile su cui lucrano mafie e bande criminali.
Dunque, dobbiamo aiutarli a casa loro?
Questa frase è il culmine dell’ipocrisia, un’affermazione con cui il razzismo nasconde la propria cattiva coscienza e cerca di darsi rispettabilità e credibilità. È una copertura suggestiva per nascondere l’indisponibilità all’accoglienza.
Lei è cristiano, e per lei accogliere è un dovere. Ma per chi non lo è?
Accogliere non è un dovere. È un imperativo etico, una legge di coscienza. Che io sento in quanto essere umano, prima ancora che cristiano.
Ma un governante deve mettere al primo posto la protezione dell’umanità in generale, o dei cittadini della propria nazione?
Io credo che un politico che voglia davvero proteggere la propria nazione deve costruire giustizia sociale, fare in modo che a tutte le persone sia riconosciuto il diritto a una vita libera e dignitosa e adoperarsi affinché tale diritto non resti un’enunciazione, un proposito, un articolo di legge. Questo diritto, in Italia e in Europa, si è andato via via sfaldando. Tanto è vero che i Paesi dell’Occidente ricco sono quelli in cui si sono verificati i massimi picchi di disuguaglianza sociale. Altro che protezione.
Perché i razzisti sono anche tra i poveri?
Perché le fasce sociali più fragili e disagiate sono diventate – con la crescita esponenziale di povertà e disoccupazione – un grande bacino di consenso e dunque di potere per gli spacciatori di menzogne e illusioni. È innanzitutto a loro che si rivolge la propaganda razzista.
Il governo alimenta questo messaggio?
Non m’interessa polemizzare con chi governa. Nel nostro Paese è prevalsa – non da oggi e salvo rare eccezioni – la tentazione di fare delle paure un terreno di conquista per futuri bottini elettorali.
A cosa può portare il desiderio dell’uomo forte di cui lei parla?
È la storia a dirci a che cosa ha condotto nei momenti di crisi sociale e economica il “desiderio dell’uomo forte”: a regimi autoritari che hanno aggravato e moltiplicato i mali di cui si proclamavano il rimedio. E questo perché da sempre la principale preoccupazione del cosiddetto “uomo forte” è il proprio ego, il riconoscimento, il tributo e l’ovazione delle masse, non il loro progresso e benessere. Masse abbagliate dalle messinscene del potere, dalle sue parole roboanti e dalle sue dichiarazioni di guerra, dunque masse docili, obbedienti, conformi.
Come se ne può uscire?
Occorre che ciascuno di noi apra gli occhi e si assuma con convinzione la sua parte di responsabilità in quanto custode e artefice del bene comune. Occorre insomma essere cittadini fino in fondo e sempre, come ci esortò a essere 71 anni fa il più radicale e coraggioso degli scritti politici: la nostra Costituzione.