Le cooperative sono quasi 60mila in Italia, da sole danno lavoro al 7% dei dipendenti privati. Il Rapporto Istat-Euricse: sono le uniche realtà a crescere negli anni della crisi. Stefano Granata (Federsolidarietà): «Ma adesso serve un passo avanti»
Non una nicchia, ma una parte importante della nostra economia. Che ha retto bene la crisi e fa sempre più parte di una strategia di sviluppo del Paese. È l’immagine delle cooperative italiane che emerge dal primo rapporto Istat- Euricse dedicato a struttura e performance del settore nel 2015. In Italia le cooperative sono 59.027, occupano poco meno di 1,2 milioni di addetti che rappresentano il 7,1 per cento dei lavoratori occupati complessivamente nelle imprese, e generano un valore aggiunto di 28,6 miliardi di euro (senza contare le cooperative del settore finanziario e assicurativo). Le cooperative più diffuse, quasi la metà del totale, sono quelle di lavoro. Sono seguite dalle cooperative sociali, d’utenza o consumo, e del settore primario. «Per la prima volta- commenta per Buone Notizie il presidente di Euricse, Carlo Borzaga – grazie a questo rapporto abbiamo un riferimento definitivo sulle dimensioni del settore cooperativo, non solo per smettere di sottovalutarlo ma anche per smentire alcuni stereotipi negativi, come quello sulle condizioni di lavoro».
Per lo studio Istat-Euricse i lavoratori dipendenti delle cooperative sono soprattutto donne (52 per cento), fra i trenta e i 49 anni (58,5 per cento) e in più di otto casi su dieci hanno un contratto a tempo indeterminato. Quello dei posti di lavoro è un tema centrale anche per capire come è stata affrontata la crisi. Secondo il presidente dell’Alleanza delle Cooperative Maurizio Gardini «le cooperative hanno rappresentato un argine alla perdita di occupazione». Nello specifico: «Sacrificando utili e patrimonializzazione nelle nostre imprese gli occupati sono cresciuti del 17 per cento mentre sono diminuiti di oltre il 6 per cento in tutte le altre società», ha dichiarato Gardini all’assemblea dell’organizzazione lo scorso febbraio, citando proprio il rapporto Istat-Euricse. E a crescere in maniera simile è stato anche il numero delle cooperative, che nel 2007 erano 50.691. «La cooperazione ha un sistema di crescita anticiclico.
Durante la crisi siamo stati resilienti e abbiamo tutelato innanzitutto i soci lavoratori», spiega a Buone Notizie Stefano Granata, presidente di Cgm e Federsolidarietà. È il tipico caso di ricadute indirette positive – interviene di nuovo Borzaga – che il settore garantisce alla collettività. «Aumentando gli occupati, le cooperative hanno generato un risparmio per lo Stato in termini di ammortizzatori sociali non erogati. Ma ci sono anche altri esempi. Le coop sociali di tipo B, che danno lavoro a persone fragili, producono in media quattromila euro di risparmi per addetto». Altro esempio: «In Trentino le cooperative agricole garantiscono una cura del territorio attenta e capillare». E così via. Ma non basta: per il presidente di Euricse la cooperazione sociale ha fatto moltissimo per cogliere i bisogni dei territori e trasformarli in servizi. Granata è d’accordo: è questa la strada su cui continuare ora che la crescita conosciuta tra il 2007 e il 2015 si è esaurita attestandosi su livelli decisamente inferiori. «Da un lato – argomenta – la crisi ha accelerato un processo già in atto: l’aumento delle dimensioni delle nostre imprese. Dall’altro le cooperative, soprattutto quelle sociali che rappresento con Federsolidarietà, sono andate maggiormente sul mercato, non lavorando più solamente in appalto con le pubbliche amministrazioni, ma cercando clienti tra i privati, aziende e cittadini. È un bene perché così si aprono opportunità enormi ».
Certo, esistono anche delle criticità. Le cooperative sono ormai presenti in tutto il Paese, ma la capacità di generare ricchezza non è uniforme e le differenze tra nord e sud sono ancora significative. C’è poi il tema delle false cooperative. Si stima che impieghino circa 100mila addetti, arrecando un grave danno di immagine a tutto il comparto che, infatti, sta chiedendo a gran voce l’approvazione di una legge di iniziativa popolare per contrastarle. «Ne abbiamo bisogno come il pane. Oggi quando parliamo di cooperative la gente si mette le mani nei capelli», ammette Granata. Una maggiore credibilità sarebbe invece fondamentale in questo frangente. Secondo il presidente di Cgm, consorzio che raggruppa oltre 700 realtà in tutta Italia, la sfida per il futuro è rispondere in maniera sostenibile ai bisogni emergenti, cui lo Stato non riesce più a far fronte da solo.
La cura degli anziani è un esempio e già oggi le cooperative che si occupano di sanità e assistenza sono quelle che impiegano più addetti e generano il maggior valore aggiunto. E i margini di crescita sono ancora ampi, per esempio, nell’ambito del welfare aziendale. «In questa fase dobbiamo investire e per farlo abbiamo bisogno di un sistema pubblico, ma anche privato, profit, in grado di immettere capitale nel nostro settore. Alle istituzioni non chiediamo tanto interventi specifici per la cooperazione, quanto piuttosto di essere coinvolti in quei processi che andranno a costruire nuove risposte per i nuovi bisogni della società». Anche il professor Borzaga, che studia il fenomeno da tempo, è ottimista riguardo al futuro. «Dopo una fase di involuzione negli anni del fordismo, la cooperazione sta tornando ad assumere un’importanza crescente come modello dell’attività economica. E questo perché mette al centro il fattore umano e l’interesse generale».