8 maggio 2019
Dopo gli episodi di Torre Maura, a Roma continuano le tensioni e le aggressioni anche in un’altra periferia: Casal Bruciato. Un gruppo di cittadini insieme ai militanti di CasaPound da lunedì sera protesta contro l’assegnazione di una casa popolare a una famiglia rom. Urla, insulti, blocchi, minacce di stupri e di morte, che hanno costretto la famiglia assegnataria, quindi legalmente autorizzata, a entrare nell’alloggio passando dall’ingresso laterale scortata dalle forze dell’ordine.
In un clima politico che di fatto autorizza certe violenze, le forze dell’ordine nulla hanno obiettato persino di fronte all’istallazione di un gazebo da parte di militanti di Casapound – forza dichiaratamente neofascista – accanto al portone di ingresso dello stabile.
Non è un caso lo scoppio di questi episodi nella capitale d’Italia, come non sono un caso l’assenza di reazioni e risposte adeguate dei governanti: nessuna condanna per razzismo, violenza, impedimento di un’operazione legale e nessun investimento per contrastare disuguaglianze ed esclusione sociale, causa principale del peggioramento delle condizioni materiali di un terzo degli italiani.
Proprio come per Torremaura, anche a Casal bruciato spostare il focus su un nemico facilmente individuabile appare più immediato e utile al progetto politico di chi governa. Rom, stranieri, migranti, emarginati, poveri sembrano il capro espiatorio perfetto per fare incetta di voti facendo leva sulla rabbia dei quartieri abbandonati. Il vero problema è invece legato all’aumento senza precedenti di disuguaglianze, povertà ed esclusione sociale. Una ferita profonda, aperta da oltre 10 anni, che non si accenna a ridurre, anzi. Una ferita colpevolmente non curata, infettata da anni di arroganza, incapacità e ipocrisia delle classi dirigenti politiche che si sono alternate al governo. Nessuna esclusa. Perché dalle scelte fatte da chi ha governato è possibile capire chi davvero comanda e chi sono i veri responsabili del clima di paura, disperazione e violenza che si respira nelle periferie italiane oggi. Le scelte fatte in questi anni hanno rispecchiato gli interessi delle élite economiche e finanziarie, italiane come europee e non certo dei ceti medi e dei ceti popolari che continuano a pagare la crisi. Così mentre noi diventavamo sempre più poveri, sono triplicati i “miliardari”: circa 112. A dimostrazione che i soldi ci sono e qualcuno ne ha fatti tanti, a spese di molti.
La crisi è un gigantesco meccanismo di ridistribuzione di danaro dal basso verso l’alto. A questo sono servite le politiche di austerità, l’azzeramento delle politiche sociali, i tagli alla sanità, le privatizzazioni, le modifiche in Costituzione sul pareggio di bilancio, le politiche di workfare, l’introduzione di leggi che hanno legittimato precarietà e sfruttamento lavorativo, le politiche fiscali regressive, l’assenza di investimenti per la cura del territorio e del bene comune. Il presunto governo del cambiamento, si caratterizza per la continuità con quanto fatto in precedenza.
Queste sono le politiche messe in campo in questi anni da chi grida prima gli italiani mentre fa leggi che li impoveriscono da venti anni insieme a evasori fiscali, collusi e mafiosi, o da chi inneggia a un vuoto concetto di onestà calpestando giustizia sociale e umanità ma in realtà obbedisce solo alla lingua dei più forti, o da chi sta mangiando popcorn dopo averci spiegato che l’unico futuro possibile sta nell’accettazione del modello che ha prodotto la crisi e per questo ha tentato di manomettere la Costituzione per “costituzionalizzarlo”.
È questa cultura politica, priva di qualsiasi volontà e capacità di rispondere alla crisi per cambiare le cose, che guida l’amministrazione comunale romana. Questo spiega la vergognosa assenza delle istituzioni nelle periferie delle capitale d’Italia. Sanno bene che al di la della rappresentazione teatrale da fornire ai media e alle solite battute sui social, nella realtà i ceti popolari di questo paese sono stati abbandonati e consegnati alla rabbia e alla disperazione. Questo spiega il disinteresse della giunta Raggi per l’aumento senza precedenti delle disuguaglianze in città. Altrimenti come potremmo giustificare l’ulteriore tagli nel bilancio di 52 milioni di fondi alle politiche sociali? Come potremmo spiegare l’assenza di politiche abitative capaci di garantire il diritto all’abitare in una città in cui quasi ventimila famiglie aspettano casa da quasi vent’anni? Come potremmo spiegare l’incapacità dell’amministrazione di restituire alla comunità i centinaia di beni confiscati alle mafie, nonostante il regolamento sui beni confiscati che per la prima volta è stato approvato grazie soprattutto all’impegno e alla determinazione delle realtà sociali impegnate nella rete dei Numeri Pari? Sono i numeri, i bilanci e le scelte politiche fatte che ci dimostrano da che parte stanno l’amministrazione comunale romane e il governo, e non le dichiarazioni sui giornali. Sono i principali responsabili di quanto sta avvenendo in questi ultimi mesi nelle periferie, della guerra tra poveri e del clima d’odio che si respira nel paese. E l’assenza di una vera opposizione rende il quadro ancor più complicato, perché lascia privi di rappresentanza milioni di cittadini che vorrebbero invece lottare per costruire una speranza e un futuro diverso da quello che ci viene proposto.
Chiaro è quindi che il problema ci riguarda tutti, da chi abita le periferie a chi ne è lontano. Bisogna unire tutti i soggetti e le realtà del sociale convinte che i diritti sociali, la dignità di ogni essere umano e l’impegno contro ogni forma di ingiustizia e razzismo siano le fondamenta sulle quali ricostruire democrazia, partecipazione e illuminare i territori abbandonati.
Rete dei Numeri Pari