28 maggio 2019
Una liberalizzazione dell’appalto pubblico che rischia di trasformarsi in una liberalizzazione per corrotti e corruttori. Così il decreto sblocca cantieri, firmato Lega, apre a pratiche opache e discrezionali. Commissariamento, ritorno al massimo ribasso, deregolamentazione per l’assegnazione di subappalti e moltiplicazione del rischio di infiltrazione delle mafie negli appalti.
Nonostante la recente marcia indietro effettuata dalle commissioni Ambiente e Lavori pubblici del Senato che hanno approvato un emendamento al decreto riportando a 1 milione di euro – come era previsto nel Codice appalti del 2016 modificato dall’ultima legge di Bilancio – la soglia sotto la quale è possibile affidare i lavori previa consultazione di un certo numero di aziende, lo sblocca cantieri continua a somigliare a un grande regalo alle mafie. Fatto di poteri arbitrari dei decisori pubblici, liberi da qualsiasi reale supervisione, anche le modifiche al Codice degli appalti non avranno alcun impatto immediato sulle opere bloccate, in quanto interessano solo i nuovi bandi di gara. Le norme, infatti, non intervengono sulle opere in stallo ma riguardano regole e tempistiche relative a quelle future. In parole povere, bisognerà aspettare 4-5 anni per vedere i primi effetti del decreto.
In una cornice politica ed economica che stava assaporando l’entrata in regime del Codice degli appalti, questa controriforma chiarisce bene in realtà gli intenti dell’attuale governo: regalare alle mafie una libertà di movimento in cui nemmeno gli inquirenti potranno entrare. Un decreto blocca democrazia, che allarga anche la forbice delle disuguaglianze grazie alla deregolamentazione e peggiora sensibilmente la qualità e la sicurezza del lavoro, danneggiando anche il principio della concorrenza e la lotta contro la precarietà.
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