Interessi economici e governi deboli generano conflitti e dispute di confine soprattutto in Africa e Asia. Ma anche in Europa e Stati Uniti l’acqua pubblica è per troppi una chimera. In Italia il referendum del 2011 è stato disatteso e in attesa di una legge tutto è fermo.
il 3 giugno il Bioparco di Roma ha ospitato uno degli eventi del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2019. Un incontro promosso dall’ASVIS e organizzato dal WWF dal titolo: “Acqua. Salvaguardare i diritti umani tutelando gli ecosistemi”. La questione è tanto semplice quanto drammatica: l’acqua è vitale per tutti e per tutto. Non solo per uomini, animali e piante, per bere, lavarsi, igienizzare e sanificare ambienti e strumenti; ma anche per irrigare i campi, raffreddare i motori e gli impianti. L’acqua è necessaria all’industria alimentare, a quella delle bevande, ma anche a quella mineraria e petrolifera e, in generale a qualunque industria che richieda grandi impianti. Questa doppia valenza dell’acqua, necessaria alla vita biologica ma anche a quella economica, genera sempre più conflitti tra aziende e comunità, tra istituzioni pubbliche e multinazionali, e innesca anche purtroppo conflitti armati tra nazioni che si contendono risorse idriche sempre più scarse. Il tema è quello “water grabbing”, l’accaparramento, o anche “furto”, dell’acqua. Nel convegno ne ha parlato Marirosa Iannelli, presidente del Water Grabbing Observatory, coautrice del libro “Water grabbing – Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo”. Ecosistema, la trasmissione di Earth Day Italia su Radio Vaticana Italia, l’ha intervistata per fare un quadro generale del problema.
Presidente, chi fa il water grabbing? Chi si accaparra l’acqua? Quali categorie di persone, entità, società, in generale, nel mondo, privano le altre persone di questa risorsa preziosa?
Il water grabbing che letteralmente vuol dire “accaparramento idrico”, più comunemente detto “furto dell’acqua”, è un fenomeno molto complesso. Non c’è una sola persona o categoria che accaparra l’acqua, perché ovviamente ci sono tante situazioni diverse a seconda dei paesi e dei contesti.
Possiamo parlare di water grabbing quando si tratta di privatizzazione dell’acqua, o di grandi opere e infrastrutture, come le mega dighe che vanno a impattare direttamente su comunità, territori e ambiente. Possiamo parlare di water grabbing anche rispetto all’estrazione mineraria, e quindi all’utilizzo smodato di acqua per estrarre risorse dal sottosuolo, sempre ovviamente impattando gravemente su ambiente e persone.
Ci sono ovviamente dei paesi nel mondo più colpiti da questo fenomeno e più sensibili. Ne cito alcuni ad esempio che si trovano in Africa: il Gabon, il Sudan, il Sud Sudan. Sono paesi dove l’acqua accaparrata corrisponde a numeri veramente importanti.
Gli attori: possono essere sia pubblici sia privati. Non ci sono soltanto le multinazionali “cattive”, come a volte sentiamo. Spesso e volentieri le multinazionali fanno accordi con i governi che non hanno un sistema legislativo abbastanza solido a tutela delle risorse idriche. Altro esempio è l’Etiopia, un paese gravemente colpito dalla costruzione di un gruppo di mega dighe, e oltretutto afflitto anche dall’avanzamento dei cambiamenti climatici. Quindi la situazione è veramente drastica. Il fiume che attraversa l’Etiopia e arriva fino in Kenya è stato interrotto da cinque sbarramenti; e il lago Turkana, che bagna sia Etiopia sia Kenya, è ai minimi storici sia a causa dell’intervento umano, con la costruzione delle dighe, sia ovviamente per aumento delle temperature nel Corno d’Africa. Altri esempi importanti riguardano il fiume Mekong, che bagna sei stati nel sud est asiatico, anche questo interrotto da numerose dighe; oppure il caso del Brasile, che abbiamo monitorato recentemente per la costruzione di dighe: stavolta non per l’energia elettrica ma per l’estrazione del ferro, per cui ovviamente hanno impiegato e inquinato una quantità enorme d’acqua.
Queste situazioni capitano anche in quello che una volta veniva chiamato l’occidente o il nord del mondo, anche se il Brasile ormai è un paese pienamente sviluppato. Però ci sono situazioni del genere anche negli Stati Uniti e anche in Europa.
Assolutamente sì. Stati Uniti ed Europa sono un paese e un continente, che purtroppo hanno visto e vedono ancora il fenomeno della privatizzazione della risorsa idrica. Abbiamo da poco passato la Giornata Mondiale dell’Acqua, il 22 marzo, che ci ricorda che l’acqua è un diritto umano e dovrebbe essere un bene comune liberamente fruibile, non una risorsa economica. Ma l’acqua è veramente un diritto umano in pochissimi paesi del mondo. Europa e Stati Uniti non sono fra questi. Ovviamente non posso generalizzare per quanto riguarda l’Europa: ci sono tante buone prassi. Ci sono circa 250 comuni o autorità locali che hanno deciso di ri-municipalizzarsi, cioè passare da un sistema di gestione privata ad uno di gestione pubblica dell’acqua. Questi sono ovviamente degli ottimi esempi, e si spera che sia la direzione verso cui possa andare tutta l’Europa, non solo le amministrazioni locali ma anche a livello nazionale. La situazione è un po’ più complessa negli Stati Uniti dove comunque, ahimè, la ri-municipalizzazione è ancora una chimera lontana.
Il suo libro è intitolato “Le guerre nascoste per l’acqua nel XXI secolo”. Quali sono queste guerre?
Il libro è stato scritto lo scorso anno, anche sulla base di un report molto importante della Banca Mondiale proprio riguardante i conflitti. Quest’anno l’Unesco, sempre in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, ha deciso di fare un focus proprio sui conflitti ad essa legati. I numeri, ahimè, sono stati confermati. Si è voluto precisare la differenza tra “guerra” e “conflitto”, perché non sempre ci sono vere e proprie guerre armate legate all’acqua, ma anche tensioni geopolitiche tra stati. Questo perché le risorse e i bacini idrici spesso e volentieri sono condivisi tra più stati. Quindi la gestione è un tema molto caldo, perché tutte le parti in gioco hanno bisogno di usufruire dell’acqua per coltivare, per uso domestico, per gli allevamenti, per l’economia, per far girare l’economia e, non ultimo, anche per l’industria. L’acqua serve in qualsiasi settore e in qualsiasi campo, non soltanto all’utilizzo umano quotidiano e personale.
Ci sono dei conflitti molto forti. Alcuni, come quello tra Etiopia e Kenya, sono avvenuti perché le comunità che vivevano nella valle dell’Omo sono state costrette a migrare a sud dell’Etiopia, verso il Kenya, alla ricerca di un’altra fonte d’acqua. Le etnie etiopi e keniote sono entrate in conflitto proprio a causa della necessità di usufruire dello stesso bacino idrico.
Ci sono anche altri altri esempi importanti: il bacino dell’Eufrate e del Tigri, che è suddiviso tra Turchia, Siria e Iraq. In questo caso c’è una condivisione dei fiumi che, unita anche alle tensioni geopolitiche già in atto tra questi paesi, ha creato dei notevoli attriti, legati proprio alla gestione dell’acqua.
Su questo punto mi preme dire che è importante sia il ruolo giuridico, sia la cooperazione internazionale. Esistono dei trattati che regolano la gestione delle acque transfrontaliere. Purtroppo questi trattati non sono ancora vincolanti; un po’ come sono vincolanti l’Accordo di Parigi sul clima o la risoluzione ONU che sancisce il diritto umano all’acqua. Quindi il mio augurio per i prossimi anni è che da un punto di vista giuridico si faccia di più e meglio per avere un quadro più stringente ed evitare conflitti futuri.
Uno dei paesi che non ha recepito nella sua legislazione la direttiva dell’ONU, appunto quella che garantisce a tutti l’acqua corrente e pulita, è l’Italia che non ha neanche risposto a quel referendum di qualche anno fa che sanciva il carattere pubblico dell’acqua. Qual è la situazione dell’acqua in Italia, dal punto di vista del water grabbing e, in generale, del diritto alla fruizione di questo bene essenziale.
La risoluzione ONU che sancisce il diritto umano all’acqua è del luglio del 2010. In Italia si è votato per il referendum l’anno dopo, nel 2011. Referendum completamente disatteso e non concretizzato perché si richiedeva l’acqua pubblica. Ad oggi siamo fermi. In stallo c’è una proposta di legge per riprendere in mano la natura di quel referendum, ma è tutto bloccato. La situazione è abbastanza sconfortante dal mio punto di vista anche perché tengo a ricordare che l’Italia è il secondo consumatore mondiale di acqua in bottiglie di plastica., Questo è un dato allarmante perché ci fa vedere che gli italiani non hanno fiducia nell’acqua del rubinetto. La situazione dell’acqua in Italia è un po’ a macchia di leopardo, ma abbiamo tendenzialmente una qualità molto buona e molto elevata e, ovviamente, avere acqua pubblica garantirebbe anche un notevole risparmio per tutti i cittadini. Invece si continua a considerare la risorsa idrica come una merce, gestita sia da multinazionali private, sia da multinazionali dell’acqua in bottiglia. Il guadagno e il lucro che viene fatto sopra l’acqua in Italia è veramente elevato su tutti i fronti. Questo ci fa capire molto bene che non si può parlare di diritto: i diritti umani non hanno un prezzo.
La cosa curiosa è che in realtà questa legge sarebbe nel “contratto di governo”.
Esatto, è uno dei punti: “acqua e ambiente”; ma senza entrare nel vivo della posizione politica, siamo in una situazione di completo stallo. Tengo a precisare che non è semplice ri-municipalizzare [i servizi idrici], perché dovremmo passare da un regime di non completa privatizzazione. Attualmente vigono i modelli pubblico-privati: vuol dire che ogni comune ha una compartecipazione pubblica e un’azienda privata che gestisce l’acqua. Ri-municipalizzarsi in toto, cioè il 100% di gestione pubblica, non è un processo semplice e immediato. Deve e dovrà prevedere dei periodi di transizione, anche a tutela dei lavoratori delle aziende private. Però se non si comincia mai questo processo di ri-municipalizzazione e ri-pubblicizzazione della risorsa idrica non si arriverà mai ad avere un paese dove l’acqua sia veramente pubblica.