I dati pubblicati da SVIMEZ e Istat ci dicono che nel 2018 nel Mezzogiorno sono stati investiti 102€ pro capite in opere pubbliche, rispetto ai 278 nel Centro-Nord. Dalla seconda metà del 2018 l’occupazione meridionale ha avuto un calo di 107 mila unità (-1,7%); nel Centro-Nord, invece, si è registrato un aumento di 48 mila unità (+0,3%). Nello stesso arco temporale al Sud è aumentata la precarietà e si è ridotta al Centro-Nord: i contratti a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sono stati 84 mila in meno (-2,3%), mentre nelle regioni centro-settentrionali sono aumentati di 54 mila (+0,5%). Resta ancora troppo basso il tasso di occupazione femminile al Sud, con un dato del 35,4% contro il 62,7% del Centro-Nord e il 67,4% dell’Europa a 28.
Il taglio delle politiche pubbliche al Sud incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati alle persone. Il divario è dovuto soprattutto a una minore quantità e qualità delle infrastrutture sociali e riguarda i diritti fondamentali di cittadinanza in termini di sicurezza sociale, istruzione e servizi sanitari. Nel comparto sanitario sono messi a disposizione 28,2 posti letto di degenza ordinaria ogni 10 mila abitanti al Sud, contro i 33,7 al Centro-Nord. La spesa pro-capite per i servizi socio-assistenziali passa dai 22€ di Crotone ai 517 di Bolzano. Il divario in questo caso colpisce soprattutto i servizi per gli anziani: ogni 10.000 utenti con più di 65 anni, 88 usufruiscono di assistenza domiciliare e/o servizi sanitari al Nord, 42 al Centro e 18 al Sud, di cui addirittura 4 su 10 mila in Basilicata, 8 in Molise, 11 in Sardegna, 15 in Sicilia. I dati che riguardano l’edilizia scolastica ci dicono che il 50% dei plessi scolastici al Nord è accessibile, mentre al Sud solo il 28,4%. Inoltre, mentre nella scuola primaria al Centro-Nord il tempo pieno è garantito nel 48,1% dei casi, al Sud solo nel 15,9%, con punte del 7,5% in Sicilia e del 6,3% in Molise. Dal 2016 le carenze strutturali del sistema scolastico meridionale e l’assenza di politiche di supporto alle fasce più deboli della popolazione, determinano – per la prima volta nella storia repubblicana – un peggioramento dei dati sull’abbandono scolastico. Il numero di giovani che, conseguita la licenza media, resta fuori dal sistema di istruzione e formazione professionale raggiunge nel Sud il 18,8%, con punte oltre il 20% in Calabria, Sicilia e Sardegna. Dal 2002 al 2017 sono emigrate dal Mezzogiorno oltre 2 milioni di persone, di cui 132.187 nel solo 2017 – di cui il 50,4% sono giovani e il 33% laureati – con un saldo migratorio negativo di 852 mila unità al netto dei rientri.
Sostanzialmente si sta consegnando un esercito di mano d’opera di riserva alle mafie che sui territori garantiscono un welfare sostitutivo, il lavoro e – se non parli in carcere – persino la pensione.
Questa situazione non è stata causata dalla “storica arretratezza del Sud”, bensì dall’assenza di adeguate politiche del lavoro; di un piano di investimenti nel settore delle infrastrutture, della mobilità e dei trasporti; dal costante indebolimento degli investimenti pubblici; dal taglio dei trasferimenti ai Comuni causato dalle politiche di austerità e dal fatto che le mafie continuano a perseverare in assenza di politiche sociali adeguate a sostegno delle persone che vivono in condizioni di povertà e disagio. È evidente dunque che al Sud non si parte da pari condizioni ed è prioritario ripartire da questo punto, ristabilendo l’uguaglianza sostanziale nel Paese. Che farà su questo il nuovo governo, qualora dovesse vedere la luce? Sarà “discontinuo” oppure ci sarà una sostanziale continuità nelle scelte politiche? Diverse le proposte inascoltate fino a oggi dalla politica, a partire da quelle avanzate dalla Rete dei Numeri Pari che chiede di mettere la spesa per i servizi sociali fuori dal calcolo del patto di stabilità e una riforma del welfare che coinvolga cittadini, operatori e operatrici del sociale, cooperative e istituzioni locali per capire quale sia il sistema migliore per garantire diritti in questa fase della storia.