di Guido Viale su Comuneinfo
Nell’ottobre del 2017 papa Francesco aveva annunciato la convocazione di un sinodo episcopale (è una riunione di vescovi; in questo caso sia cattolici che riformati) sull’Amazzonia. Quel sinodo si terrà a Roma dal 6 al 27 ottobre di quest’anno. Due documenti preparatori, redatti dai vescovi dell’Amazzonia sotto la guida di papa Francesco – Instrumentum laboris (IL) e Nuovi Cammini per la Chiesa e per una Ecologia integrale (NC) – da poco pubblicati, presentano diversi approfondimenti di temi già al centro dell’enciclica Laudato sì (2015). In quei documenti problematiche di ordine teologico o ecclesiale si intrecciano a quelli di ordine economico e sociale anche più che nell’enciclica; il che è naturale, in quanto la Laudato sì si rivolge a tutti i popoli del mondo, indipendentemente dalla loro fede, mentre l’elaborazione dei vescovi amazzonici riguarda innanzitutto il loro campo di azione. Tuttavia, il sinodo si tiene a Roma e non in America latina, perché i temi al centro del dibattito riguardano tutto il mondo e non solo l’Amazzonia.
In sintesi, e letti da laico, quei documenti sviluppano l’approccio fondato sull’ecologia integrale, centrale già nella Laudato sì, elevando l’ecosistema socio-ambientale amazzonico (la connessione inestricabile tra la natura, la vita dei popoli della selva e la cultura che scaturisce da questa connessione) a paradigma di una svolta da imprimere non solo alla religione cattolica, ma al pensiero di chiunque intenda battersi per la salvezza della Terra in un tempo in cui la crisi climatica e ambientale mette in forse la sopravvivenza stessa della specie umana: “La cultura amazzonica, che integra gli esseri umani alla natura, diventa un punto di riferimento per la costruzione di un nuovo paradigma di ecologia integrale” (NC).
Inculturazione è il termine che i due documenti in questione adottano per illustrare questo proposito e questo processo, riecheggiando il tema dell’incarnazione, nodo centrale della fede cristiana: il dio che si fa uomo in un contesto socioculturale definito – la Palestina ai tempi di Erode – che non rinnega ma, anzi, adotta per trasformarlo. Così la missione dei cristiani in Amazzonia non è cancellare le culture dei popoli della selva e del fiume per sostituirle con una religione e una cultura importate, quelle proprie di tutto il dominio coloniale e postcoloniale, a cui la Chiesa non è stata certo estranea, e ora in gran parte ridotte a “Pensiero Unico”. La missione dei cristiani è comprendere e far proprie quelle culture, anche e soprattutto nella loro dimensione spirituale e religiosa, comprese le loro divinità, che sono anch’esse manifestazioni del creato. Anche i riti religiosi, infatti, sono espressioni di una spiritualità a cui né la fede in Cristo, né il pensiero moderno possono continuare a restare estranei, pena la rinuncia a stabilire contiguità, continuità e condivisione tra l’essere umano e la Terra, il vivente, il “creato”. Un rapporto che già papa Francesco aveva messo al centro del suo messaggio con la Laudato sì, sovvertendo l’approccio antropocentrico che ha dominato secoli di cultura occidentale.
“Il primo grado di articolazione per un autentico progresso è il vincolo intrinseco fra l’elemento sociale e l’elemento ambientale. Dato che come esseri umani siamo parte degli ecosistemi che favoriscono le relazioni che danno vita al nostro pianeta, prendersi cura di questi ecosistemi – nei quali tutto è interconnesso – è fondamentale per promuovere sia la dignità di ogni individuo che il bene comune della società, sia il progresso sociale che il rispetto dell’ambiente” (NC). Nella formulazione dei vescovi amazzonici “quell’unità comprende tutta l’esistenza: il lavoro, il riposo, le relazioni umane, i riti e le celebrazioni. Tutto è condiviso, gli spazi privati – tipici della modernità – sono minimi. La vita è un cammino comunitario dove i compiti e le responsabilità sono divisi e condivisi in funzione del bene comune. Non c’è posto per l’idea di un individuo distaccato dalla comunità o dal suo territorio” (IL).
Al centro di questa elaborazione c’è ovviamente la conversione ecologica: “Soltanto quando saremo coscienti di come il nostro stile di vita e il nostro modo di produrre, commerciare, consumare e scartare influenzano la vita del nostro ambiente e delle nostre società, allora potremo avviare un cambiamento di rotta integrale”. Ma “cambiare rotta, o convertirsi integralmente, non può esaurirsi in una conversione di tipo individuale. Un cambiamento profondo del cuore, espresso in comportamenti personali, è necessario quanto un cambiamento strutturale, espresso in comportamenti sociali, in leggi e in programmi economici coerenti” (NC).
E’ un appello esplicito alla lotta contro un dominio che distrugge vite e ambiente: “Il grido amazzonico ci parla di lotte contro coloro che vogliono distruggere la vita concepita integralmente. Questi ultimi sono guidati da un modello economico legato alla produzione, alla commercializzazione e al consumo, dove la massimizzazione del profitto è prioritaria rispetto alle necessità umane e ambientali. In altre parole, sono lotte contro coloro che non rispettano i diritti umani e della natura” (IL). Questo approccio si presenta dichiaratamente in conflitto con i poteri che dominano non solo l’Amazzonia, ma il mondo intero: Occorre “ascoltare il grido della ‘Madre Terra’ attaccata e gravemente ferita dal modello economico di sviluppo predatorio ed ecocida, che uccide e saccheggia, distrugge e sgombra, allontana e scarta, pensato e imposto dall’esterno e al servizio di potenti interessi esterni” (IL).
Dunque l’Amazzonia, maggiore riserva di biodiversità del mondo e “polmone della Terra” insieme ai suoi abitanti, alla sua cultura, alla sua spiritualità legata ai cicli naturali, ma anche e soprattutto con le sue lotte per salvaguardare sia la foresta che le sue comunità, costituisce una riserva di senso a cui attingere per indirizzare verso una sostenibilità ricca di scoperte e di promesse atteggiamenti e comportamenti di tutta l’umanità.
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