Sono tra i numeri illustrati dal presidente uscente dell’Ente Raffaele Cantone, che ha prediposto un dossier con tutti i dati più rilevanti del suo mandato. Il settore più a rischio si conferma quello legato ai lavori pubblici, segue il ciclo dei rifiuti e quello sanitario
di Ivan Cimmarusti
Tra il 2016 e il 2019 è stato scoperto un caso di corruzione alla settimana. A essere interessate sono pressoché tutte le regioni d’Italia. Da un punto di vista numerico la Sicilia spicca per casi registrati: 28 (il 18,4% del totale), quasi quanti ne sono stati individuati in tutte le regioni del Nord (29). Seguono il Lazio (22), la Campania (20) la Puglia (16) e la Calabria (14). Le stime sono state rivelate dal presidente uscente di Anac, Raffaele Cantone, per illustrare i risultati del suo mandato.
L’infiltrazione corruttiva negli appalti pubblici
Nell’ente Cantone è entrato il 27 marzo 2014, quando l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi lo propose quale presidente, nomina poi confermata dalle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato all’unanimità. Da luglio 2014 a ai primi mesi del 2019, considerando tutti gli ambiti di propria competenza, l’Autorità ha potuto verificare che il 74% delle vicende corruttive esaminate riguarda l’assegnazione di appalti pubblici, a conferma della rilevanza del settore e degli interessi illeciti legati per via dell’ingente volume economico.
Bandi “sartoriali”
Il settore più a rischio si conferma quello legato ai lavori pubblici, che comprende sia la riqualificazione sia la manutenzione di edifici, strade e messa in sicurezza del territorio. Segue il comparto relativo al ciclo dei rifiuti (raccolta, trasporto, gestione, conferimento in discarica) e quello sanitario (forniture di farmaci, di apparecchiature mediche e strumenti medicali, servizi di pulizia).
I cartelli per ottenere gli appalti
Stando alle rielaborazioni di Anac, si registra una strategia diversificata a seconda del valore dell’appalto. In particolare, per quelli di importo particolarmente elevato, prevalgono i meccanismi di turnazione fra le aziende e i cartelli veri e propri (resi evidenti anche dai ribassi minimi rispetto alla base d’asta, molto al di sotto della media). Per le commesse di minore entità, invece, si assiste al coinvolgimento e condizionamento dei livelli bassi dell’amministrazione (ad esempio il direttore dei lavori) per intervenire anche solo a livello di svolgimento dell’attività appaltata.
Posto di lavoro come nuova tangente
Gli scambi corruttivi rispondo a «meccanismi stabili» e a «regole informali». Anac ha potuto riscontrato il cosiddetto fenomeno della “smaterializzazione” della tangente, che vede un sempre minor uso della contropartita economica. Il posto di lavoro si configura come la nuova frontiera del “pactum sceleris”. Si registrano anche altre forme di corruzione, come l’attribuzione di consulenze o prestazioni professionali occasionali.
Rafforzare la prevenzione
Nelle conclusioni della relazione illustrata da Cantone si fa riferimento alla necessità di «rafforzare la prevenzione». Il quadro complessivo che emerge dal rapporto testimonia che la corruzione, benché all’apparenza scomparsa dal dibattito pubblico, rappresenta un fenomeno radicato e persistente, verso il quale tenere costantemente alta l’attenzione. Al tempo stesso, occorre rilevare come la prevalenza degli appalti pubblici nelle dinamiche corruttive giustifichi la preoccupazione nei confronti di meccanismi di deregulation quali quelli di recente introdotti, verso i quali l’Anac ha già manifestato perplessità.
Un modello di prevenzione della corruzione
Numerosi, inoltre, gli atti a carattere generale adottati per dare indicazioni ad amministrazioni e stazioni appaltanti (oltre 60 tra piano nazionale anticorruzione, linee guida in varie materie, bandi-tipo e prezzi di riferimento) e ben 35 le segnalazioni a Governo e Parlamento per evidenziare disfunzioni e proposte di modifica normativa.
Nel corso dell’intervento alla Camera dei deputati del 6 giugno scorso, Catone parlò di «un metodo di lavoro, quello sperimentato nel quinquennio, che viene riconosciuto all’estero – e lo dico con una punta di orgoglio – come il “modello italiano” della prevenzione della corruzione, che ha ricevuto numerosi apprezzamenti, fra cui quelli del Greco (Consiglio d’Europa) e dell’Ocse».
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