Settanta donne vittime di violenza incontrate in dieci mesi. “Il primo passo è l’autonomia”

Una Giornata che si celebra ogni anno è un gesto di memoria e, insieme, una forma di lotta. Serve per tenere traccia, nella Storia che avanza, degli eventi traumatici o virtuosi di un popolo; ma, insieme, s’accompagna alla necessità – politica – di mettere mano a un cambiamento reale. La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che si celebra anche quest’anno, come ogni anno, il 25 novembre, è una di quelle che più assume questo doppio connotato simbolico e pratico. Perché in quest’epoca il fenomeno è tutt’altro che attutito e le violenze, morali e fisiche, sono parte integrante della nostra società.

Da oltre due decenni, il Gruppo Abele opera con le donne vittime violenza grazie a uno strumento di ascolto e supporto importante: uno sportello che le aiuta a uscire dal buio e dall’angolo e le guida verso la riconquista dell’autonomia specie nella fase che segue la denuncia del partner.

Ci spiega l’importanza del progetto Chiara Salpietro, dell’equipe dello Sportello Offl’attività del Gruppo Abele che si occupa delle donne vittime di reati.

 

Cosa offre il Gruppo Abele?
Il Gruppo Abele ha uno sportello di ascolto che accoglie donne vittime di violenza di genere da circa 20 anni. Lo sportello riservato, si occupa di accompagnare le donne che hanno subito violenza nei passaggi successivi alla denuncia verso il proprio partner, o in alternativa, accompagnarle alla denuncia stessa qualora non si siano rivolte alle Forze dell’Ordine. In questi 10 mesi del 2019 abbiamo incontrato circa 70 donne, di qualsiasi fascia di età e di qualsiasi ceto sociale e di qualsiasi cittadinanza, ma con prevalenza italiana. L’equipe è formata da educatori, operatori sociali e avvocati: un’equipe che è multidisciplinare affinché possano essere presi in considerazione più aspetti che riguardano la persona stessa.

Quali sono le persone incontrate?
Nel corso degli anni la tipologia di persone incontrate è variata. Negli ultimi anni si è riscontrato come non ci sia  un vero e proprio identikit, ma sia l’età che la classe sociale sono diverse: incontriamo donne dai 18 ai 75 anni circa che hanno subito qualsiasi tipologia di reato, il più comune è senz’altro il reato di maltrattamento fisico e psicologico da parte del proprio partner.

Quali storie portano e raccontano?
Le donne che incontriamo raccontano il più delle volte delle lunghe storie di vita segnate da maltrattamenti, talvolta anche dalla propria famiglia di origine dove il loro unico stile educativo era segnato da agiti violenti da parte delle persone a loro più strette. Talvolta invece raccontano singoli episodi di violenza, imbattute in storie intrecciate e difficili da cui faticano ad uscire in maniera autonoma. È per questo che lo sportello ha un’equipe multidisciplinare: per accompagnare la persona ad un cambiamento che possa agevolare il suo benessere fisico e mentale.

Quali sono i servizi che maggiormente richiedono?
Le persone che incontriamo richiedono spesso una informazione legale sia civile che penale. Vogliono informazioni sul susseguirsi delle vicende una volta sporta denuncia, sul come gestire un immobile che magari era cointestato con il partner stesso, come gestire un figlio una volta giunta la separazione, sul come si evolve un processo. Inoltre il Gruppo Abele è partner di un’altra associazione, Rete Dafne, dove la donna può essere indirizzata per richiedere anche un supporto psicologico.

Quali sono i bisogni delle donne vittime di violenza e quali sono i servizi  che maggiormente aiuterebbero a rendere una donna autonoma?
La maggior parte delle persone che passano presso il nostro sportello hanno delle storie, con il proprio compagno, molto intrecciate e alle volte sviluppano una dipendenza verso il partner. Capita per esempio che la loro uscita da una relazione violenta sia parecchio faticosa, poiché dipendenti anche economicamente.

La separazione è già di per sé un momento molto difficile che spesso espone all’impoverimento e le donne sono le più vulnerabili da questo punto di osservazione dal momento che spesso sono dipendenti dal coniuge economicamente o hanno lavori meno retribuiti. Si tratta di pagare affitti, bollette e spese per le necessità della famiglia. Le fragilità si amplificano poi quando le donne provengono da storie di violenza perché si accompagnano a fragilità personali a volte importanti. Queste necessità materiali molto concrete e urgenti che non sempre trovano risposte nei circuiti del sistema di accoglienza per le vittime di violenza.

Talvolta capita, per esempio, che la donna appena denunciante abbia la necessità di trovare un lavoro per rendersi indipendente, ma questo è reso più complicato dal suo essere madre e dovere accudire ad un figlio minore. A volte è possibile contare sulla rete familiare ma altre volte le donne non hanno una famiglia su cui fare affidamento e quindi si pone il problema di dover collocare il minore durante un ipotetico lavoro.

Sicuramente poter contare un sostegno economico costituisce un ottimo trampolino di lancio per fare uscire da questo circolo vizioso le donne in difficoltà. Ovviamente tutti questi servizi da noi attivati sono soltanto alcuni di quei supporti che il Gruppo Abele può provare a fornire, ma bisogna avere la consapevolezza che il percorso  per aiutare una donna ad uscire da una condizione di violenza è lungo e che necessita di molte e diversificate risorse da mettere in campo.

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