Il M5S e il presidente dell’INPS dicono che il reddito di cittadinanza li ha ridotti del 60 per cento, ma le cose stanno diversamente: negli ultimi anni sono più che raddoppiati
All’incirca un anno fa Luigi Di Maio, il capo politico del Movimento 5 Stelle, proclamò con soddisfazione che il primo governo Conte si apprestava ad abolire la povertà. Di Maio si riferiva all’approvazione del cosiddetto “reddito di cittadinanza”, il sussidio contro la povertà che ha iniziato a essere erogato questa estate. A circa sei mesi di distanza dall’introduzione della misura, i leader del Movimento 5 Stelle sostengono che se non hanno ancora abolito la povertà ci sono andati vicini.
Prima il presidente dell’INPS Pasquale Tridico, considerato vicino al Movimento 5 Stelle, poi lo stesso Di Maio e infine il presidente del Consiglio Giuseppe Conte hanno annunciato che, in base ai loro calcoli, in sei mesi il reddito di cittadinanza ha dimezzato la povertà in Italia. Sfortunatamente tutti i dati sembrano indicare diversamente, e dopo giorni di polemiche lo stesso Tridico è stato costretto ad ammetterlo.
La diffusione della povertà è considerata una delle principali emergenze sociali del nostro paese, ed è diventata particolarmente acuta dopo l’ultima grande crisi economica. Nei dieci anni trascorsi tra il 2008 e il 2018 gli italiani che non fanno pasti adeguati, non riescono a scaldarsi d’inverno e hanno problemi ad acquistare vestiti (la definizione ISTAT di “povertà assoluta“) sono passati da 2,5 a 5 milioni. Nel frattempo il reddito medio disponibile per le famiglie è tornato ai livelli degli anni Novanta, mentre accanto a un’occupazione che ha raggiunto i (non eccezionali) record del passato, il numero di ore lavorate è ancora sotto ai livelli precedenti alla crisi (significa che più persone lavorano, ma per meno tempo e con minori stipendi).
In un’inchiesta pubblicata lo scorso dicembre, Internazionale ha raccontato come negli ultimi anni sia diventato facile precipitare in situazioni di emarginazione e indigenza per famiglie che si ritenevano parte della classe media. Un’impiegata part-time di una biblioteca comunale di Palermo ha raccontato che i problemi della sua famiglia sono iniziati quando la catena di supermercati per cui lavora il marito è entrata in crisi e ha iniziato a pagare gli stipendi con ritardo di mesi. «Non potevo garantire la regolarità dei pagamenti al proprietario di casa», raccontava. «Per questo abbiamo deciso di condividere la casa con un’altra coppia di amici». Oggi la donna vive con il marito e i due figli in un’abitazione condivisa con un’altra famiglia di cinque persone.
Nonostante il sistema italiano di welfare e di contrasto alla povertà si sia rivelato del tutto inadeguato a far fronte alla situazione prodotta dalla crisi, per anni i governi hanno sostanzialmente trascurato il problema. Soltanto tra il 2017 e il 2018 il governo Gentiloni ha accelerato l’approvazione del cosiddetto “Rei”, il primo strumento universale di lotta alla povertà e all’esclusione sociale mai introdotto in Italia. Nello stesso periodo il Movimento 5 Stelle adottò come sua principale proposta politica l’introduzione del “reddito di cittadinanza”, un sussidio per certi versi simile al Rei, ma finanziato con maggiori risorse (circa 2 miliardi di euro contro gli 8 del reddito di cittadinanza a pieno regime).
Al momento dell’approvazione del reddito di cittadinanza, nei primi giorni del 2019, c’erano molte aspettative sugli effetti di questa misura. Le dichiarazioni fatte nelle ultime settimane da Tridico, Di Maio e Conte sembrano voler dire che i leader del Movimento 5 Stelle ritengono di non aver tradito quelle aspettative. Ma come molti hanno sottolineato in questi giorni, purtroppo l’affermazione secondo cui il reddito di cittadinanza avrebbe ridotto la povertà assoluta del 60 per cento non ha fondamento.
Il dato non si trova in alcun documento ufficiale, né dell’INPS né di altre amministrazioni pubbliche. L’unico documento che contiene cifre simili è una presentazione sugli effetti del reddito di cittadinanza realizzata dall’INPS lo scorso novembre. In questo documento si legge che il numero di individui in povertà relativa è calato grazie al reddito di cittadinanza dello 0,8 per cento. Secondo l’ISTAT, in Italia ci sono 9 milioni di individui in povertà relativa (cioè che guadagnano meno di una soglia stabilita sulla base della media dei guadagni degli italiani) e 5 milioni in povertà assoluta (persone che, come abbiamo visto, non possono permettersi una serie di beni essenziali).
Se i primi sono calati dello 0,8 per cento, sembra molto difficile che i secondi si siano ridotti del 60 per cento. Le affermazioni di Tridico e degli altri leader del Movimento 5 Stelle sono state analizzate e criticate da molti e, mano a mano che diventava chiaro come la cifra non avesse una solida fonte, si sono moltiplicate le richieste al presidente dell’INPS di mostrare le ricerche alla base della sua affermazione. Alla fine lo stesso Tridico ha ammesso in un’intervista di aver interpretato i dati in maniera un po’ forzata.
Come molti avevano già intuito, quello che Tridico intendeva dire è che il 60 per cento delle persone che si trovano in una situazione di povertà assoluta soddisfa i requisiti necessari per ricevere il reddito di cittadinanza. Il fatto che lo riceva effettivamente, e che la cifra che gli viene corrisposta sia sufficiente a garantire un’uscita dalla povertà assoluta, però, è un altro discorso. Come ha rilevato la Banca d’Italia nella sua Relazione Annuale, infatti: «La platea dei potenziali aventi diritto al reddito di cittadinanza coincide solo in parte con quella degli individui classificabili come “poveri assoluti”».
Al Nord, per esempio, quasi il 60 per cento di coloro che risultano poveri assoluti in base alle indagini ISTAT non ha diritto al reddito di cittadinanza, o perché stranieri da troppo poco tempo in Italia (quasi il 30 per cento di tutti i poveri assoluti in Italia sono stranieri, nonostante questo gruppo sia meno dell’8 per cento del totale della popolazione residente) oppure perché persone “troppo ricche” per ricevere il sussidio in base ai rigidi criteri stabiliti dalla legge (l’assegnazione del reddito di cittadinanza, ad esempio, non tiene infatti conto del maggior costo della vita al Nord).
Se insomma non tutti i poveri assoluti ricevono il reddito di cittadinanza, è altrettanto probabile che non tutti coloro che lo ricevano siano effettivamente poveri assoluti. Infine, non è affatto scontato che un sussidio medio pari a 520 euro al mese sia una cifra adeguata per uscire dalle condizioni di povertà, specialmente per famiglie che si trovano in condizioni particolarmente gravi, per esempio quelle che hanno anziani o disabili a carico e che hanno contratto debiti per far fronte alle spese necessarie per sostenerli.