Dalla rubrica Societàinmovimento della rivista La via libera – numero 1 | gennaio-febbraio
Di Giuseppe De Marzo
Tra pochi anni in Artide il mare sarà quasi completamente navigabile. Alla fine della primavera dello scorso anno le stazioni meteo hanno registrato il 12 giugno temperature fino a 22 gradi sopra la media stagionale e la fusione dei ghiacci superficiali era già al 40 per cento, quattro volte superiore alla media dello stesso periodo degli anni precedenti. I climatologi avevano previsto che questi fenomeni si sarebbero potuti verificare ma intorno al 2070. Sta già succedendo. Sono invece 3,2 miliardi le persone a vedere la loro sicurezza minacciata dal degrado dei suoli, come denuncia la piattaforma della Convenzione Onu contro la desertificazione. Dall’altra parte lo scioglimento prematuro della Criosfera causato dall’aumento della temperatura mette a rischio l’umanità, accelerando l’impatto dei cambiamenti climatici. Mentre l’UNEP, l’agenza per l’ambiente della NU, ha denunciato lo scorso novembre che le emissioni di gas serra sono cresciute anche nel decennio passato e nessuno dei risultati annunciati è stato centrato: significa in sostanza che di questo passo l’aumento medio previsto della temperatura in questo secolo sarà di 3,2° e non di 1,5°, indicata come soglia esiziale da non oltrepassare per non innescare conseguenze devastanti per la sopravvivenza della razza umana.
Secondo le NU e la scienza se vogliamo evitare la catastrofe dobbiamo triplicare gli sforzi sino al 2030: significa ridurre del 7,6% ogni anno le emissioni di gas serra. Ma nonostante 25 conferenze mondiali sul clima, due incontri mondiali della Terra e decine di convenzioni internazionali firmate ad oggi non ci sono azioni, scelte, finanziamenti adeguati e prospettive che vincolino lo sviluppo e le politiche economiche a queste necessità. Eppure sappiamo che l’economia è solo un sottosistema dell’ecologia: senza servizi ambientali gratuiti gentilmente messi a disposizione dalla Terra non esisterebbe niente nel nostro tempo, altro che sviluppo. Siamo dipendenti dai cicli vitali, dai suoi limiti e dalle sue capacità di rigenerazione ed autorganizzazione. Nonostante questa ineludibile verità, la governance globale continua a essere interessata unicamente alla crescita economica, immaginata come infinita a fronte di un pianeta con risorse finite. Così mentre non ci sono mai fondi per combattere le ingiustizie ambientali e sociali, un’analisi della Banktrack rivela che nei tre anni passati dall’adozione degli accordi di Parigi per il clima (2016-2018) 33 tra i maggiori gruppi bancari mondiali hanno fornito 1900 miliardi di dollari di prestiti al settore dei fossili. Addirittura 600 miliardi sono andati alle 100 imprese che stanno ampliando le attività legate ai fossili. Di questi 33 gruppi bancari, 16 hanno firmato lo scorso 24 settembre con l’ONU il patto per “I principi per un settore Bancario Responsabile”. Il trionfo dell’ipocrisia di un sistema fuorilegge, nonostante il suo legalismo securitario di maniera. [continua a leggere]
Mafia siciliana. Cosa cova
Per il primo numero siamo tornati in Sicilia, con un dossier sulla mafia nell’isola. Abbiamo trovato un quadro incerto, una Cosa nostra fiaccata dall’azione repressiva, ma che non ha mai rinunciato al tentativo di riorganizzarsi.
L’analisi sulla mafia siciliana è affiancata da altri contenuti esclusivi, come l’intervista a una moderatrice di contenuti social, la prima a rompere il silenzio sul mercato italiano di Facebook e Instagram. Un contributo che ci permette di approfondire il tema dell’odio, sempre più strumento per farsi riconoscere.
Per fortuna non esiste solo l’odio. Nel deserto di punti di riferimento emergono spinte positive che vanno in un’altra direzione, chiedendo giustizia sociale, come i movimenti ambientalisti. Sono loro a darci la buona notizia: è ancora possibile immaginare un futuro realmente diverso, a patto di operare cambiamenti radicali.