Dopo aver assistito a quasi 5 anni di rimpalli di responsabilità tra Regione e Comune intorno alla Delibera della Giunta Zingaretti approvata nel 2014 sull’emergenza abitativa, mai applicata nella città di Roma e con ben 197 milioni stanziati e mai usati. Dopo decine di mobilitazioni con migliaia di persone coinvolte, fino alle ultime estenuanti manifestazioni davanti la sede del consiglio regionale alla Pisana. Finalmente un poco di luce si vede in fondo al tunnel oscuro delle politiche alloggiative pubbliche.
Si potrebbe disquisire per giorni se il pacchetto di articoli, legato al tema casa, approvato nell’ambito del voto sul collegato al bilancio regionale, sia un bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Fatto sta che un piccolo passo l’abbiamo visto e da lì vogliamo ripartire.
Intanto il tema non viene trattato come una questione di ordine pubblico, cosa che invece il Campidoglio con l’ordine del giorno approvato nel consiglio straordinario di giovedì 20 febbraio che non mette in discussione il cronoprogramma sugli sgomberi nella capitale non ha fatto. Nel collegato regionale invece c’è una norma che prevede un ulteriore riserva del 10% del patrimonio alloggiativo da destinare all’emergenza abitativa, che va ad aggiungersi al 25% già esistente. Questo provvedimento ha convinto la Prefettura a congelare le procedure di sgombero previste per lo stabile di via del Caravaggio e a seguire degli altri 21 spazi da liberare.
Anche le norme che prevedono la regolarizzazione degli occupanti senza titolo degli alloggi popolari Ater e del Comune vanno viste con attenzione. Purtroppo l’aver posto come limite la legge Renzi-Lupi del maggio 2014 come confine da non oltrepassare depotenzia parecchio il tentativo posto in essere dalla maggioranza e da alcuni coraggiosi consiglieri 5stelle. Ora bisogna vedere se le norme a tutela da eventuali sgomberi per chi ha i requisiti ma ha occupato dopo questa data funzioneranno. Possiamo anche dire che la necessità di fare cassa dell’azienda Ater non ha aiutato e purtroppo sembra che la filosofia del pareggio di bilancio abbia condizionato non poco le scelte dell’assessore Valeriani nella sua proposta definitiva da portare in aula.
Il manipolo di consigliere e consiglieri che si è battuto per dare ascolto alle richieste del movimento per il diritto all’abitare e al sindacalismo dell’inquilinato non sappiamo quanto sia soddisfatto del risultato, a noi appare del tutto evidente che senza risorse serie e una valida politica pubblica sulla casa questi provvedimenti sono al massimo di tamponamento dell’emergenza esistente ma non affrontano le necessità del fabbisogno abitativo attuale.
Ora è il momento di invertire la rotta e di ripensare le politiche pubbliche dell’abitare. Di ragionare sul patrimonio disponibile da recuperare e sull’invenduto privato che non viene messo al servizio del fabbisogno abitativo del nostro tempo. Di tornare a definire la casa come bene d’uso e non di scambio, capace di assolvere quella parte di welfare necessario mai come oggi dove la precarietà di reddito soprattutto tra i più giovani è un dato di fatto.
La Regione Lazio e il comune di Roma possono ridare slancio a politiche finora decisamente insufficienti o addirittura punitive nei confronti del disagio e della povertà, anche di quella relativa. Per affrontare i dati allarmanti di esclusione sociale che spesso vengono sciorinati con didascalie di vario genere c’è solo una strada, quella di non ritenere colpevoli le persone della loro condizione sociale ma di intervenire per risolverla. Le esperienze di autogestione e di riappropriazione della propria esistenza vanno ascoltate e non criminalizzate o peggio ancora sorvegliate quotidianamente. I concetti di fragilità e di legalità vanno restituiti alla loro funzione e non usati per differenziare ed escludere.
Quel percorso autoritario e discriminatorio iniziato con il cosiddetto “Piano Casa” del 2014 va interrotto con decisione. La voce va alzata e la questione va sollevata con forza perché la gestione dell’emergenza ha prodotto e continua a produrre danni sociali tremendi sia in termini di spreco di risorse che di fratture profonde dentro la società tra gli ultimi e i penultimi, gli aventi diritto e i senza titolo, gli autoctoni e i migranti, i garantiti e i non garantiti. L’operazione di separazione sociale in corso va fermata e sul tema casa, residenza anagrafica e libertà di movimento si gioca una partita decisiva. Crediamo opportuno dopo aver strappato questa nuova tregua e questa parziale regolarizzazione, produrre la pressione utile a spingere governo e amministrazioni locali a posizionare risorse economiche importanti sull’abitare e sul riuso delle città e dei territori costringendo anche la rendita fondiaria e le grandi proprietà immobiliari ad un passo indietro.
Lottare insieme per una sola grande opera affermando la centralità della casa e del reddito dentro un abitare sostenibile senza ulteriore uso di suolo è una battaglia che possiamo condividere nei quartieri popolari e nel paese. Ci aspettiamo che il percorso intrapreso con la Regione Lazio non si fermi e che l’amministrazione comunale sia capace di ascoltare in maniera non ideologica la voce di chi per necessità ha occupato uno stabile, uno spazio abbandonato o un alloggio vuoto.
Ci vediamo in città!