Fanno donazioni alla Protezione civile ma intanto da anni hanno creato sedi nei Paesi Bassi per eludere il fisco. Dieci esempi di corporation senza scrupoli
Di Matteo Cavallito ed Emanuele isonio per Valori – 9 aprile 2020
Sommati tutti insieme, i soldi sottratti al fisco italiano ammontano a svariati miliardi di euro. Quanti è difficile calcolarlo, probabilmente impossibile. In ogni caso, per i comuni cittadini quei miliardi che le casse pubbliche italiane non vedranno mai vogliono senz’altro dire meno servizi sociali, meno pensioni, meno welfare state, maggiore imposizione fiscale. O, per stare alla stretta attualità, meno posti letto in ospedale, meno strutture di terapia intensiva, meno tamponi, meno medici, meno mascherine, meno reagenti chimici, meno soldi per la ricerca di base.
È l’elusione fiscale, bellezza. E i big dell’industria nazionale quotata in Borsa ne conoscono tutti i segreti, attraverso i loro strapagati consulenti. Certo, in alcuni momenti, quella strategia che fa tanto felici gli azionisti (meno tasse, più utili, più dividendi) risulta più sgradevole del solito. L’emergenza coronavirus con la sua scia di morti e sistema sanitario a un passo dal collasso è sicuramente uno di quei momenti. Soprattutto se quei soldi finiscono per ingrassare le casse di altri Stati europei che, negli stessi momenti in cui fanno dumping fiscale, si mostrano fieramente intransigenti contro le ipotesi di strumenti comuni di debito europei per attutire l’impatto della crisi economica incipiente. Ogni riferimento all’Olanda (pardon, Paesi Bassi) non è affatto casuale.
Tasse, certo, ma non solo. Perché l’Olanda significa anche diritto societario snello e norme favorevoli agli azionisti di lungo periodo. Il che, tradotto in termini pratici, significa spesso la possibilità di esercitare un controllo totale sull’azienda anche con una quota di minoranza. Mettendosi al riparo dalle scalate, ovvero dal quel mercato che è libero, sì, ma solo quando fa comodo. Così sono state istituite nuove società di diritto olandese ai vertici delle galassie aziendali; così sono nate importanti consociate che controllano a loro volta decine di aziende.
Ma diciamoci la verità: Mark Rutte & Co. non potrebbero fare dumping se non ci fossero aziende pronte a sfruttarlo. Irrita vedere che del nutrito gruppo (sono almeno 15mila le società più o meno di comodo create in terra olandese) ci sono campioni italiani. Peggio ancora: alcuni sono addirittura controllati dallo Stato. E altri, nei giorni della pandemia, hanno annunciato ai media la donazione di qualche spicciolo da destinare alla sanità italiana. Begli esempi di amor patrio.
1. Exor
Exor, la finanziaria di casa Agnelli è emigrata in Olanda nel 2016. Un’operazione tout court che ha comportato anche il trasferimento della sede fiscale (quella di FCA resta invece a Londra) e che garantisce tuttora importanti vantaggi alla società e ai suoi storici azionisti: la possibilità di rafforzare il controllo proprietario (grazie al sistema del voto rafforzato previsto dalla normativa olandese) e un significativo risparmio fiscale sulle plusvalenze (che nei Paesi Bassi non sono tassate).
Portafoglio investimenti di EXOR S.p.A. FONTE: exor.com.
2. FCA
Fiat Chrysler Automobiles N.V. o più semplicemente FCA era stata costituita in Olanda già nel 2014, ai tempi della fusione tra il costruttore torinese e la casa statunitense. La regola dovrebbe trovare conferma anche in futuro di fronte alla possibile fusione del gruppo con la francese PSA. Jean-Pierre Mercier, delegato sindacale centrale della Confédération générale du travail, non l’ha presa bene…
3. Ferrari
Scorporata da FCA e dal 2015 quotata a Wall Street, Ferrari ha preso casa in Olanda da qualche anno. La sede fiscale è rimasta in Italia. Nel 2018 il cavallino rampante ha siglato un accordo con l’Agenzia delle Entrate ottenendo le agevolazioni previste dal Patent Box. Il beneficio fiscale complessivo per Ferrari, si legge nel report annuale 2019, è stato pari a 141 milioni per il triennio 2015-17.
4. Eni
Si trova al 1725 di Strawinskylaan, Amsterdam, la sede di Eni International B.V., una delle più importanti consociate della multinazionale italiana controllata dallo Stato tramite ministero dell’Economia e della Cassa Depositi e Prestiti. Fondata nel 1994, la holding olandese controlla decine di società del gruppo. Curiosità: sempre nei Paesi Bassi, nel 1997, era stata costituita la prima joint venture realizzata da Eni con il governo di Pechino: la Chinagip Overseas Petroleum. La Cina, allora, era tutta da scoprire. Oggi gli equilibri sono cambiati. La banca centrale cinese detiene attualmente l’1% delle azioni Eni.
5. Saipem
Da Eni a Saipem il passo è breve. La società di servizi petroliferi controllata al 30% dal cane a sei zampe è presente nei Paesi Bassi con la controllata Saipem International BV che controlla a sua volta più di trenta società del gruppo.
6. Enel
Sempre ad Amsterdam ha sede Enel Finance International N.V. (EFI), la sussidiaria di Enel S.p.A. che gestisce i servizi finanziari del gruppo. Nel 2018, EFI ha collocato sul mercato un bond da 4 miliardi di dollari. Ad ottobre, la società ha lanciato il suo primo General purpose SDG linked bond con rendimenti legati al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite (Sdgs). Enel ha annunciato un progressivo abbandono del carbone anche se alcune centrali sono tuttora aperte. E non senza controversie.
7. Cementir
Una presenza diffusa in 18 Paesi, oltre 13 milioni di tonnellate di cemento prodotte ogni anno che si aggiungono 10 milioni di tonnellate di aggregati e 5 milioni di metri cubi di calcestruzzo. Sono i numeri di Cementir, il colosso del costruttore ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone. Acquisita dall’IRI nel lontano 1992, la società è stata trasferita nei Paesi Bassi lo scorso anno. La legge olandese sul voto maggiorato, ha sottolineato un attento osservatore, dovrebbe consentire allo storico proprietario di mantenere il controllo dell’impresa anche a fronte di future ipotetiche cessioni di quote azionarie.
Il presidente di Cementir, Francesco Gaetano Caltagirone ospite della trasmissione Otto e Mezzo di Lilli Gruber su La7.
8. Campari
«L’introduzione di un meccanismo di voto maggiorato, potenziato rispetto a quello già adottato» è dichiaratamente all’origine della scelta di trasferire in Olanda la sede di Campari, altro storico marchio italiano. L’operazione, annunciata all’inizio dell’anno, dovrebbe essere completata entro luglio. Nei piani a breve termine dell’azienda c’è il proseguimento del programma di riacquisto azionario (buyback) per 350 milioni di euro. Nel 2019 Campari ha registrato un utile netto di 308 milioni (+4,1% rispetto al 2018), con ricavi complessivi pari a 1,8 miliardi.
9. Mediaset
La logica del voto e della stabilità azionaria ha ispirato anche la scelta di Mediaset di trasferire la sua sede legale in Olanda: parola di Pier Silvio Berlusconi. L’operazione si basa sulla costituzione di una nuova holding MediaForEurope (Mfe) quotata a Milano e a Madrid ma con sede fiscale in Italia. «La normativa olandese permetterà di usufruire di una governance che consente al socio di controllo di stabilire quanti diritti di voto associare a ciascun titolo posseduto, fino a un massimo di dieci» ha ricordato Forbes. La nascita della holding olandese dovrebbe mettere la famiglia Berlusconi al riparo da ogni tentativo di scalata da parte dei francesi di Vivendi che, non a caso, hanno dato battaglia sul fronte legale contestando l’operazione.
10. STMicroelectronics
Il gigante italo-francese dei semiconduttori è un esempio di struttura proprietaria «assai complessa» spiega Borsa Italiana. «Il quartier generale e gli uffici operativi del gruppo si trovano a Ginevra e sono gestiti da STMicroelectronics International N.V» si legge in una recente analisi. «Questa società è interamente controllata dall’olandese STMicroelectronics N.V. a sua volta per il 71% ad azionariato diffuso e per il 28,1% dell’olandese STMicroelectronics Holding N.V. che è il socio di riferimento del gruppo ed è partecipata in parti uguali da Bpifrancre Participations (organo di gestione delle partecipazioni statali francesi) e dal Ministero dell’Economia italiano. Il socio di riferimento è insomma una holding franco-italiana che opera tramite uffici in Svizzera». Chapeau.
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