A chi vanno i i bonus spesa stanziati dal governo? Lo decidono i Comuni, con criteri diversi e a volte discriminatori. Maglia nera per L’Aquila e Ferrara, promossa Palermo che non ha fatto distinzioni in base alla residenza né al titolo di soggiorno
18 aprile 2020 | Di Davide Pecorelli –Responsabile dell’ufficio stampa di Libera Piemonte, giornalista e videomaker – e Rosita Rijtano – Redattrice lavialibera
Sei rimasto senza lavoro e bloccato in un Comune diverso dalla tua residenza per il coronavirus? Non puoi ottenere i bonus spesa. Succede in provincia di Cuneo ed è uno dei tanti parodossi creati dai diversi criteri adottati dai Comuni per ripartire i fondi per la “solidarietà alimentare” stanziati dal governo. Soldi che, stando a quanto si legge nell’ordinanza della protezione civile, le amministrazioni locali hanno il compito di distribuire tra i nuclei familiari “più esposti agli effetti economici derivanti dall’emergenza da virus Covid-19 e tra quelli in stato di bisogno”. Nonostante non venga fatta alcuna distinzione tra residenti e no, né tantomeno tra italiani e stranieri, i Comuni hanno introdotto dei paletti che di fatto impediscono a determinate persone di farne richiesta. Criteri che in alcuni casi sfociano in un’aperta discriminazione, come sta accadendo a Ferrara e l’Aquila, dove la questione è finita in tribunale: la concessione dei buoni spesa è stata circoscritta solo ai cittadini italiani o di Paesi facenti parte dell’Unione Europea, e agli stranieri con un permesso di soggiorno di lungo periodo o la carta di soggiorno.
Quei buoni per soli residenti
Senza arrivare a questi estremi, la prima barriera adottata da molti Comuni è la residenza anagrafica. Un criterio che “compie un’ampia scrematura”, spiega Paola Fierro, avvocato del servizio anti-discriminazione dell’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che in questi giorni ha lanciato un appello ai comuni esortandoli a non compiere discriminazioni nella distribuzione degli aiuti per l’emergenza. I primi a essere esclusi sono i senzatetto sia italiani sia stranieri. In seconda battuta, tutti i migranti irregolari e che, precisa Fierro, “in questo momento non hanno altro luogo in cui andare, dato che non possono essere rimpatriati per ragioni di salute pubblica”. Infine i richiedenti asilo che, tranne rare eccezioni, dopo i decreti Salvini non possono più iscriversi all’anagrafe del Comune in cui si trovano: questione sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale, i cui lavori sono però temporaneamente sospesi a causa del coronavirus. Ma non solo, visto che a pagarne lo scotto sono anche i cittadini italiani. Kafkiano è il caso, segnalato dall’Asgi, di un italiano residente nel sud Italia che adesso è bloccato in un paese nella provincia di Cuneo in cui lavorava prima che il Covid-19 gli facesse perdere il posto: l’amministrazione comunale del luogo in cui si trova non gli permette di accedere ai buoni spesa perché non residente, mentre quella del suo paese di residenza lo esclude in quanto non presente fisicamente sul territorio.
Maglia nera per l’Aquila e Ferrara
Alcuni Comuni non si sono limitati alla residenza anagrafica, ma hanno adottato criteri discriminatori. Ad esempio, per poter chiedere i buoni spesa a Ferrara bisogna essere non solo residenti, ma anche cittadini italiani, o di un paese dell’Unione europea, o stranieri con un permesso di soggiorno di lunga durata o carta di soggiorno. Una scelta che esclude, quindi, non solo i migranti irregolari ma anche molti stranieri regolari: coloro che si trovano in Italia con un permesso di lavoro temporaneo, o con un permesso umanitario, nonché i richiedenti asilo. “Requisiti completamente contro la legge — prosegue Fierro —. Il testo unico sull’immigrazione prevede che per l’accesso alle prestazioni d’assistenza sociale sia sufficiente un permesso di soggiorno di almeno un anno, che tutti gli stranieri debbano poter accedere ai diritti fondamentali al pari dei cittadini italiani e non essere discriminati”. Sulla questione irremovibile sembra essere il sindaco di Ferrara, Alan Fabbri, pupillo dei “Giovani Padani” poi diventato testa d’ariete della Lega nella città dell’Emilia-Romagna, conquistando l’elezione nel 2019. Una vittoria che ha suscitato scalpore dato che Ferrara, dopo essere stata fascista, per 70 anni ha avuto solo governi di centrosinistra. Alle accuse di discriminazione nei confronti degli stranieri Fabbri ha risposto con un post su Facebook in cui scrive: “Abbiamo applicato ciò che chiede il governo Conte, cioè aiutare chi ha sofferto più di altri questa crisi”.
Stessa situazione a L’Aquila, guidata Pierluigi Biondi, che ora milita in Fratelli d’Italia ma ha avuto come palestra politica il movimento di estrema destra CasaPound. “Stiamo attraverso un periodo molto duro”, ripete al telefono Abdou (nome di fantasia). Ventidue anni, Abdou è uno dei ragazzi che — supportato dall’Asgi — sta presentando ricorso contro la scelta dell’amministrazione locale. Si trova in Italia dal 23 dicembre del 2016, dopo essere scappato dalla Guinea, dove era perseguitato per motivi politici insieme al padre, che è stato ucciso. Ha frequentato la scuola, fa parte di una squadra di calcio in promozione, e ha fatto il servizio civile in un oratorio della città che gli consentiva di guadagnare circa 400 euro al mese. Ora è tutto sospeso. “Per fortuna ho messo un po’ di soldi da parte con cui adesso pago l’affitto, ma è dura. Non so quanto resisterò”, dice.
Il dietrofront di Ventimiglia
Persino oltre si era spinta Ventimiglia, al momento sotto la sindacatura di Gaetanno Scullino, politico con Forza Italia dalla prima ora, noto alle cronache perché il comune è stato commissariato per infiltrazione mafiosa mentre lui ne era alla guida, decisione annullata dal Consiglio di Stato nel 2016…. [continua a leggere su La Via Libera]
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