Ora basta chiamare governatori i presidenti di Regione. E il Parlamento riprenda la sua centralità nella pandemia

della Redazione del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale

Antonio Esposito, presidente emerito di Sezione della Cassazione, ha messo in evidenza, con rigore, un punto solo apparentemente di forma linguistica e cioè che è sbagliato definire Governatori i Presidenti delle Giunte regionali. In questo si distinguono anche troppi giornalisti che usano – per ignoranza? per piaggeria? – la definizione Governatori che nella nostra Costituzione non esiste. I Governatori sono una figura istituzionale degli Usa, stato federale, a differenza dell’Italia. Esposito ha ricordato che la Costituzione parla di Presidenti delle Giunte delle Regioni e aggiunge che la loro elezione diretta non cambia la sostanza della funzione che svolgono. Non a caso l’articolo 121 della Costituzione afferma, ad esempio, che il Presidente dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica. Inoltre i poteri sostitutivi sono attribuiti dall’articolo 120 al Governo, quando lo richiedono l’incolumità e la sicurezza pubblica e sono vietati provvedimenti che ostacolano la libera circolazione delle persone e delle cose. Questi concetti sono il contrario di quanto abbiamo potuto ascoltare, in diverse occasioni, da alcuni Presidenti.

In troppe occasioni è risultato evidente che la pandemia è stata vista da alcune Regioni come occasione per rivendicare/strappare più poteri in contrasto con il ruolo dello Stato. Ci sarà tempo per vedere meglio se l’Italia può continuare ad accettare 20 sistemi regionali diversi e comportamenti istituzionali che hanno finito per indebolire il contrasto alla diffusione del virus, o almeno lo hanno reso più confuso, a volte aumentando inevitabilmente il numero delle vittime, come è accaduto nelle Rsa e nelle case di riposo. In questo momento è prioritario fronteggiare la pandemia. È il minimo che dobbiamo al sacrificio dei sanitari che hanno lavorato in prima linea, con un numero di morti che ha raggiunto livelli inaccettabili. La leale collaborazione tra i livelli istituzionali dovrebbe essere la naturale conseguenza dopo questi sacrifici. Un segnale certamente utile sarebbe archiviare definitivamente, da subito, l’autonomia regionale differenziata, che è un segnale nella direzione opposta a quanto è necessario.

Nella cosiddetta fase 2 vengono al pettine diversi nodi. Un conto è adottare misure straordinarie di limitazione della libertà delle persone per una fase di emergenza e seguire regole semplificate di adozione, tuttavia dopo due mesi occorre delineare un percorso verso la normalità del funzionamento delle istituzioni. Anche perché l’uso ripetuto dei Dpcm, pur legittimati da una fonte legislativa come un decreto legge, finisce con il creare una modalità che è rapida quanto un decreto legge, con la differenza che quest’ultimo è modificabile in sede di conversione e fa entrare in scena il parlamento. Il vero problema è che il decreto legge presuppone un percorso parlamentare di approvazione e quindi è soggetto alle turbolenze parlamentari di una maggioranza non molto stabile, difficoltà che un Dpcm non ha perché si tratta di un’azione delegata. Il parlamento deve riprendere il suo ruolo di rappresentanza del paese. È vero che questo parlamento è il frutto di una legge elettorale che lo ha separato largamente dalla rappresentanza dei cittadini, tuttavia è lecito attendersi – malgrado questo difetto originale – una maggiore consapevolezza sul ruolo dei singoli parlamentari e della Camera e del Senato. La pandemia non giustifica tutto e comunque non può giustificare modalità eccezionali per periodi lunghi, per questo occorre puntare ad un percorso di rientro nella normale dialettica tra le istituzioni, i loro ruoli, che è fondamento della democrazia.

Altrimenti si può diffondere un veleno che potrebbe mettere in discussione il ruolo stesso del parlamento che nella nostra Costituzione è architrave del sistema istituzionale, con conseguenza che non è difficile immaginare. Non possiamo dimenticare che pende tuttora il referendum costituzionale sul taglio del parlamento, per ora rinviato all’autunno, che deve decidere proprio sul ruolo del parlamento in Italia. È vero che le urla di Salvini e Meloni sulla democrazia in pericolo sono strumentali e non credibili, tuttavia in un paese colpito dalla pandemia e dal contraccolpo di una crisi economica e sociale senza precedenti dal dopoguerra lo smarrimento è forte e anche chi non condivide la strumentalità ha bisogno di risposte politiche e di interventi rapidi. Ad esempio la strumentalità non compensa i ritardi, che esistono, nell’applicazione delle misure di sostegno al reddito, alle imprese. La fase di avvio della chiusura delle attività ha dovuto fare i conti con novità e quantità che non hanno precedenti, questo va ricordato, ora tuttavia occorre fare funzionare le misure di sostegno con la massima rapidità possibile. Conte avrebbe dovuto dedicare più attenzione a questo aspetto davanti alle Camere.

Occorre fare corrispondere gli impegni ai fatti, al massimo possibile. Forse è troppo dire con il Manzoni che “il fulmine tenea dietro al baleno”, tuttavia un disagio diffuso per i ritardi, la sensazione di essere abbandonati può accumulare un risentimento sociale sordo e pericoloso. Inoltre la polemica sguaiata della destra sovranista contro il governo punta a coprire il clamore dei comportamenti di regioni come la Lombardia e rappresenta una sorta di preparazione di un assalto che sarà molto più pesante tra qualche settimana in occasione delle decisioni che il parlamento dovrà adottare sull’adozione degli strumenti europei di sostegno ai paesi più colpiti dalla pandemia e in crisi economica. Far montare la protesta e il malcontento rappresenta una sorta di esercitazione sovranista in vista dello scontro finale, o almeno di quello che essi sperano diventerà tale. Togliere argomenti è giusto anzitutto perché vuol dire risolvere i problemi ma nello stesso tempo è importante perché eviterebbe all’Italia una fibrillazione politica pericolosa.

Sure, Bei, Mes, interventi della BCE, Recovery fund sono fondamentali per affrontare una crisi senza precedenti. Se saranno strumenti di un sostegno reale ai paesi più esposti il risultato potrà essere positivo e quindi è importante arrivare presto ad una soluzione. Va aggiunto che l’Italia non può e non deve solo restare in attesa delle misure europee, per quanto importanti, ma deve avviare un proprio progetto di ripresa economica che non è fatto solo di riaprire quello che è rimasto di ciò che avevamo prima, già abbastanza ammaccato. Solo un intervento pubblico programmatico può decidere investimenti in settori di punta come l’innovazione tecnologica, la sistemazione del territorio, la salvaguardia dell’ambiente, la riparazione di infrastrutture che crollano, il rientro del decentramento produttivo dall’estero, una revisione della tassazione che trasferisca dai ricchi a chi ha bisogno, dalla rendita al produttivo, una gestione del debito pubblico che copiando l’esperienza tedesca costruisca una società pubblica con il compito di tenere più bassi possibili i tassi sul debito, cercando di tenere sotto controllo lo spread. Occorre coraggio e respiro politico, altrimenti il logoramento potrebbe diventare per il Governo insostenibile.

Ora basta chiamare governatori i presidenti di Regione. E il Parlamento riprenda la sua centralità nella pandemia

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