L’acqua è un diritto, non un bene privato

28 luglio di quest’anno “celebriamo” il 10° anniversario della risoluzione dell’ONU che riconosce il diritto umano (universale, indivisibile e imprescrittibile) all’acqua potabile e all’igiene. Purtroppo la situazione è tale che questo decennio è trascorso come se la decisione approvata dalla più alta organizzazione politica della comunità internazionale non avesse avuto luogo: 2,2 miliardi di persone non sanno che cos’è l’acqua potabile e 4,2 non hanno accesso ai servizi igienici; più di 9 milioni di bambini sotto i 5 anni muoiono ogni anno a causa di malattie causate, tra l’altro, dalla mancanza di acqua pulita. Il lavaggio delle mani è un atto impossibile per centinaia di milioni di esseri umani, con le conseguenze che conosciamo bene in questo periodo di pandemia (1)!

L’acqua idonea all’uso umano è diventata sempre più scarsa: molti dei più importanti fiumi, laghi e falde acquifere del mondo stanno morendo, prosciugati da prelievi d’acqua di molto superiori alla loro naturale capacità di rinnovamento (in quantità e qualità), avvelenati dall’inquinamento e dalla contaminazione, soffocati dai rifiuti … Le siccità strutturali stanno colpendo un numero crescente di regioni del mondo (inclusa perfino l’Amazzonia!). La terra si sta desertificando e la devastazione delle foreste ha ruolo decisivo al riguardo. Infine, diverse grandi città del mondo (da New York a Nairobi, da Tokyo a Dacca…) sono seriamente minacciate dalle inondazioni dovute all’innalzamento del livello dell’acqua. Jakarta, per esempio, è già in corso di abbandono (2).

In questo contesto, parlare di diritto all’acqua e agli impianti igienici è un eufemismo. D’altra parte, gli “esperti”, i leader politici e gli imprenditori, non fanno che parlare della scarsità d’acqua nel mondo. Con una evidente mistificazione, essi attribuiscono la colpa della carenza alla crescita della popolazione mondiale e al cambiamento climatico (il che è solo in minima parte corretto). Dimenticano, però, di menzionare il ruolo decisivo dell’economia mondiale dominante, che divora le risorse del pianeta fino al loro esaurimento, e il ruolo dei nostri sistemi sociali basati sulla sete di potere e di ricchezza privata, favoriti da uno sviluppo tecnologico bellicoso, violento e predatore della vita. Di fronte a una scarsità d’acqua che è data come inevitabile, i gruppi sociali dominanti indicano la via per la salvezza in un cammino di resilienza, di capacità di resistere e di adattarsi agli shock provocati dalla penuria. Nelle condizioni attuali, tuttavia, la resilienza è possibile soltanto per chi dispone di una grande capacità tecnologica e finanziaria (3). Riuscite a indovinare quali paesi e quali gruppi sociali saranno resilienti nei prossimi decenni?

Secondo le Nazioni Unite, il diritto all’acqua, all’acqua per la vita, si traduce concretamente nella disponibilità di 50 litri di acqua potabile al giorno a persona per uso domestico e di 1.800 m³ d’acqua all’anno a persona per tutti gli usi combinati. Tuttavia, il concetto stesso di diritto umano all’acqua, che è uguale per tutti e giustiziabile, è stato sostituito negli ultimi 30 anni dal concetto di accesso all’acqua equo e a un prezzo accessibile.  Con il concetto di accesso  equo e a un prezzo accessibile non vi è più alcun obbligo in capo allo Stato. Si esce dal campo del diritto per entrare nel campo dei bisogni di acqua da soddisfare sulla scorta della possibilità dei singoli consumatori di accedervi economicamente, politicamente e socialmente. Il prezzo “accessibile” dell’acqua è un potere discrezionale nelle mani dei gestori dei servizi idrici che fissano il prezzo dell’acqua in modo tale da garantirsi dei profitti (4). Attualmente, sia che si tratti di privati oppure di “pubblici”, i gestori fanno soldi con l’acqua per la vita!

Questo profondo cambiamento culturale e politico è stato possibile grazie alla combinazione di quattro trasformazioni strutturali: la mercificazione della vita (tutto è stato ridotto a merce: semi, acqua, trasporti pubblici, conoscenza, salute, abitazione, piante, animali, geni umani …); la privatizzazione di tutti i beni e servizi (nulla è sfuggito a questo processo, compresa la moneta, che ha cessato di essere un simbolo per eccellenza della sovranità delle nazioni e degli Stati); la liberalizzazione e deregolamentazione di tutte le attività economiche in nome di una governance libera tra i detentori di interessi (i famosi stakeholders) e, infine, la finanziarizzazione dell’economia che ha sottoposto le principali decisioni sull’allocazione e l’utilizzo delle risorse disponibili alle logiche finanziarie di produttività ed efficienza a breve termine. Gli stessi esseri umani sono stati ridotti a “risorse umane” per essere così sfruttati al massimo della loro resa economica, nonostante e al di là dei diritti umani.

Di conseguenza, non esistono più dei beni comuni e dei servizi comuni reali e neppure dei veri e propri beni pubblici. Nel 1980, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha legalizzato la brevettabilità degli esseri viventi a scopo privato e di lucro. La brevettabilità degli algoritmi (Intelligenza Artificiale) è diventata una pratica comune negli anni ‘90. Il settore privato ha così ottenuto il riconoscimento di oltre 50.000 brevetti sulla vita. Idem nel campo dell’IA. Nel 1992, in occasione della Conferenza internazionale sull’acqua di Dublino in preparazione del primo Vertice della Terra di Rio de Janeiro, la risoluzione finale ha affermato che l’acqua non deve più essere considerata un bene sociale, un bene comune, ma un bene economico privato, soggetto alle regole dell’economia di mercato. La sete di acqua per la vita umana ha lasciato il posto alla sete di acqua per le attività economiche per la competitività e il profitto. Peggio ancora, nel 2002, in occasione del Secondo Vertice della Terra di Johannesburg, è stato dichiarato che alla natura dovrebbe essere dato un valore monetario calcolando i costi e i benefici dei servizi “ambientali” forniti dalla natura. La monetizzazione della natura (nature pricing, nature banking) e la brevettabilità degli esseri viventi hanno ucciso ogni forma di economia del bene comune, dei beni pubblici, dell’economia sociale e solidale al di fuori dei microprogetti.

Il controllo della vita è scappato di mano alle autorità pubbliche. Le politiche agroalimentari, sanitarie, informative e di sviluppo tecnologico, così come le politiche di “sviluppo sostenibile” e di sicurezza idrica, non rientrano più nella sfera della sovranità dello Stato. Sono molto più dipendenti dagli interessi di grandi gruppi privati globali come Suez, Vivendi, Big Pharma, GAFAM, ma anche di oligopoli minerari e, non ultimi, di grandi gruppi finanziari (banche, assicurazioni). Una delle attività in crescita più redditizie nel settore idrico è il settore assicurativo di fronte ai cambiamenti meteorologici (attività turistiche, agricoltura…) e agli “incidenti climatici” (siccità, inondazioni, …). Più le incertezze ridefiniscono l’acqua del Pianeta, più si alza il valore di mercato dell’acqua. Nella “logica” speculativa finanziaria dominante, è chiaro che quanto più si conferma la scarsità d’acqua, tanto più il valore economico dell’acqua aumenterà a scapito del suo valore per la comunità globale della vita sulla Terra.

Addio all’effettivo diritto universale all’acqua? Sì, se non vengono rovesciati i principi, le politiche e le pratiche collettive che abbiamo descritto. La società e lo Stato devono essere liberati dalla privatizzazione e dalla finanziarizzazione. È necessario costruire la società dei beni comuni e dei beni pubblici cooperativi mondiali. È urgente costruire il sistema politico pubblico globale basato sulla responsabilità collettiva condivisa e solidale per la salvaguardia, la cura e la promozione della vita e dei diritti alla vita, e quindi all’acqua per tutti. La ri-municipalizzazione dell’acqua è fondamentale per la costruzione di una politica pubblica globale, a condizione naturalmente che si tratti di una vera e propria municipalizzazione la cui gestione è finanziata attraverso la fiscalità generale e non per mezzo dei ricavi generati dalla vendita dei servizi idrici, anche se a prezzi accessibili.

In ogni caso, il futuro dell’acqua e del diritto alla vita non può essere realizzato attraverso l’acqua tecnologica (5), ma solo attraverso una nuova era di creatività ingegneristica collettiva e di cultura politica e sociale guidata dalla volontà di vivere insieme nel rispetto della Terra Madre.

Note

(1) https://www.un.org/fr/observances/water-day
(2) Vedi “Oceano e cambiamenti climatici: le nuove sfide”, https://ocean-climate.org/wp-content/uploads/2019/09/fiches-DEF.pdf
(3) Cfr. Riccardo Petrella, Acqua e Resistenza. Le strategie dei dominanti in questionehttps://wsimag.com/fr/economie-et-politique/61408-eau-et-resilience, e dallo stesso autore, Water security for all the inhabitants of the Earthhttps://wsimag.com/fr/economie-et-politique/61870-la-securite-hydrique-pour-tous-les-habitants-de-la-terre
(4) Nel quadro dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU, l’acqua è l’Obiettivo 6, che recita: «6.1: Entro il 2030, garantire un accesso universale ed equo all’acqua potabile sicura ad un costo accessibile» (https://www.agenda-2030.fr/odd/odd-6-garantir-lacces-de-tous-leau-et-lassainissement-et-assurer-une-gestion-durable-des…). Non si fa alcun riferimento al diritto all’acqua.
(5) Con il termine “acqua tecnologica” ci si riferisce all’acqua “prodotta” da esseri umani, come l’acqua desalinizzata, l’acqua derivante dal trattamento delle acque reflue, l’acqua derivata da iceberg “catturati”.

L’acqua è un diritto, non un bene privato

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