Gli effetti collaterali del coronavirus nei dati analizzati dall’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo
Da diversi anni le analisi che indagano esiti e dinamiche connesse alla distribuzione della ricchezza mondiale evidenziano che il divario che separa la quota di popolazione più ricca da quella più povera è in costante aumento e che ai più poveri spetta la parte più esigua della crescita. Anche nelle realtà occidentali la forbice della diseguaglianza torna ad aprirsi in maniera preoccupante, anche perché i sistemi di welfare, nati per contenerne gli effetti, faticano a ridefinire la loro architettura in un contesto complicato da scarsità di risorse e differenziazione dei bisogni. L’Italia non è esente da queste dinamiche e l’onda lunga della crisi economica, aggravata dalla mancanza di risposte politiche efficaci e da una frattura generazionale irrisolta, ha peggiorato la situazione. Pensando al futuro post-Covid, poi, si aprono scenari ancor più difficili, se non drammatici.
All’interno di questo quadro, essere giovani rappresenta un fattore penalizzante. Il lavoro – primo strumento di contrasto alla povertà – manca e, anche quando c’è, è spesso di bassa qualità, poco garantito e per alcune categorie – i giovani in particolare –, spesso precario, come le indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Giuseppe Toniolo hanno segnalato fin dalla prima edizione nel 2013. Come noto, il lavoro temporaneo rappresenta ormai la porta di ingresso nel mercato del lavoro, la maggior parte delle prime attivazioni (76,6% nel 2017) è infatti di questo tipo. Nel corso dell’ultimo decennio i dati relativi alla continua crescita della disoccupazione giovanile (nel 2018 in Italia si è arrivati al 28,2% nella fascia 18-29 anni) e la crisi del sistema educativo (che non garantisce più la sicurezza di futura occupazione) ci collocano a livello europeo tra i Paesi con il più basso numero di laureati e al tempo stesso come uno dei Paesi con gli indici più alti di disoccupazione intellettuale. Mancando il lavoro, manca il primo fattore di protezione, e quando manca ai giovani – ormai da troppo tempo, è bene ribadire, una delle componenti più penalizzate e politicamente meno rappresentate nel nostro Paese – l’esposizione a fenomeni di diseguaglianza, in particolare economica, aumenta, mettendo sotto pressione le famiglie che spesso non riescono o faticano a sostenerli ma che rimangono comunque il loro principale sostegno.
Nel 2016 i giovani tra i 18 e i 34 anni che vivevano in condizioni di povertà assoluta erano circa il 10% del totale (1 milione e 17mila unità circa), mentre solo due anni prima erano il 3,1% del totale dei poveri. In Italia i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano (Neet) sono più di 2 milioni, concentrati maggiormente tra le donne e nelle regioni meridionali. Nel corso degli ultimi anni il Rapporto Giovani dell’Istituto Giuseppe Tonilo si è più volte occupato della condizione dei Neet italiani, mettendo in luce gli esiti che tale condizione ha sui processi di transizione alla vita adulta ed evidenziando alcune specifiche criticità, come quelle che mettono in relazione l’età e l’investimento educativo. L’istruzione rappresenta infatti una delle principali chiavi per ridurre o comunque contrastare tutte le forme di diseguaglianza.
Tra i giovani (18-24 anni) che lasciano precocemente gli studi e la formazione il tasso di abbandono risulta particolarmente elevato fra quelli nati all’estero (pari al 30%) rispetto ai nativi italiani (11,8%). Anche confrontando il tasso di conseguimento di un titolo di istruzione terziaria si riscontra un gap significativo: nel 2016 i 30-34enni nati in Italia che hanno conseguito almeno un titolo universitario (o equivalente) sono il 29,5%, mentre tra i nati all’estero la percentuale scende al 13,4%, con un differenziale di oltre 16 punti percentuali, rispetto ai 4,6 punti percentuali dell’Europa. L’essere giovane e immigrato si conferma dunque condizione di svantaggio multiplo.
Un nodo cruciale riguarda poi la differenza territoriale. Secondo le stime dell’Istat, il Sud d’Italia è più povero del Nord: la distanza nel tasso di occupazione nel 2016 raggiunge 23,6 punti. La differenza si riscontra ancora di più confrontando il divario di genere: nel Mezzogiorno, infatti, lavora soltanto un terzo delle donne tra i 20 e i 64 anni (contro il 60,1% degli uomini), con un gap di genere di 25,9 punti, a fronte di una differenza di circa 17 punti nel Centro e nel Nord. Nel Mezzogiorno, inoltre, si trovano la più elevata diffusione del rischio di povertà e i valori più elevati di povertà assoluta: l’indicatore si attesta al 9,8%, un valore di quasi 2 punti percentuali superiore a quello registrato nel resto del Paese. Nel 2019 l’Istat rileva ancora una forte associazione tra le relazioni sociali e il territorio, che riguarda circa un quarto dei casi di multi-deprivazione, e quella tra istruzione, lavoro e territorio (un quarto dei casi). La realtà evidenziata da questi indicatori si riflette nelle opinioni dei giovani rilevate dall’Osservatorio Giovani, soprattutto tra quelli che vivono al Sud, consapevoli della loro condizione di svantaggio, che gli è tanto nota da essere causa di mobilità per studio e per la- voro e che molto spesso li allontana definitivamente dalla loro terra di origine.
A tutto questo si è aggiunta l’emergenza Covid, che ha messo e mette a dura prova sia i sistemi politico-istituzionali, che devono gestire l’emergenza, sia i sistemi economici e produttivi, costretti a rallentare, se non a fermarsi. Ma soprattutto ha messo e mette a dura prova tutti e ciascuno, a livello collettivo e individua-le, nello sperimentare le nuove difficoltà nella gestione quotidiana della propria vita e l’accresciuta incertezza del futuro. I primi effetti di questa terribile crisi, che nel nostro Paese ha avuto una diffusione rapida e particolarmente virulenta, mettono in luce con immediata evidenza la sofferenza dei sistemi di protezione sociale e i delicati equilibri socioeconomici. Se in prima istanza sembra che questo virus colpisca indiscriminatamente tutti, così non è dal punto di vista delle sue conseguenze sulla vita delle persone, tanto più colpite quanto più già in condizione di disagio. Si pensi poi ai giovani e all’aggravio di difficoltà che questa situazione sta generando nella definizione della loro progettualità futura. Quello che drammaticamente emerge è l’incidenza della crisi, già evidente sulla polarizzazione delle diseguaglianze, un ampliamento della distanza, già prima così problematica, tra la parte più ricca della popolazione e quella più povera. Per affrontare la necessaria e auspicata ripresa è necessario affrontare seriamente e velocemente alcuni temi chiave. Tra questi, il lavoro – di cui si acuisce la mancanza –, la distribuzione della ricchezza e dei profitti e, per quanto riguarda l’Italia, il fondamentale tema dell’elusione fiscale. Solo in questo modo sarà possibile frenare la spinta individualistica che sta caratterizzato questi anni e che, a seguito degli esiti nefasti della pandemia, rischia di ampliare rapidamente le diseguaglianze già esistenti.
Rita Bichi è ordinario di Sociologia generale nella facoltà di Scienze politiche dell’Università Cattolica Mauro Migliavacca è professore di Sociologia dei problemi economici e del lavoro all’Università di Genova
Entrambi sono membri dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo