Di Emanuele Coen – pubblicato sul settimanale di Politica Cultura Economia L’Espresso n°35 anno LXVI 23 agosto 2020
C’è un bollettino che ogni giorno registra i danni causati dal Covid. Non i contagi ma le imprese che chiudono, le famiglie del ceto medio sprofondate sotto la soglia di povertà, i lavoratori precari che non riescono ad accedere alle misure straordinarie come il Reddito di Emergenza (Rem), prorogato dal governo con il Decreto Agosto. Uno smottamento sociale che non conosce confini, dalle periferie delle metropoli alle zone rurali, da NOrd a Sud. A misurare la gravità della situazione sono le centinaia di organizzazioni del terzo settore, associazioni laiche e cattoliche, volontari che affiancano e in molti casi sostituiscono le istituzioni, forniscono gratis pacchi di cibo e medicine, organizzano mense, aiutano chi ha bisogno a districarsi tra le scartoffie. Cooperative sociali come Dedalus, a Napoli, dove il cardinale Crescenzio Sepe ha lanciato l’allarme contro la criminalità organizzata, ingolosita dalle opportunità del coronavirus. «Muoviamoci. Occorre intervenire subito perché la malavita è più rapida della burocrazia. La camorra non aspetta. Bisogna fare più in fretta di loro», ha detto l’arcivescovo di Napoli.
Dopo lo scoppio della pandemia la cooperativa Dedalus ha ricalibrato i servizi puntando sulla fornitura di generi alimentari e di beni di prima necessità. «In molti avevano lavori precari, sommersi e irregolari, svaniti come neve al sole dopo pochi giorni di lockdown. L’ansia di arrivare a fine mese è diventata l’ansia di arrivare a fine giornata», sintetizza Andrea Mornirol, socio e amministratore della cooperativa che ha dato vita al centro interculturale Officine Gomitoli, nell’ex lanificio borbonico: laboratori gratuiti, spettacoli, cineforum, corsi di lungua, musica e arte per i giovani in una zona ad alta densità multiculturale. «Il Covid ha ampliato le aree della povertà assoluta e relativa. A Napoli già prima del coronavirus il 30 per cento del lavoro era irregolare, sommerso o in nero. La partita dei prossimi mesi si giocherà sui territori, in tutta Italia».
I numeri dicono che oggi, nel nostro Paese, dieci milioni di persone non riescono a vivere senza reddito per più di due settimane. Nel secondo trimestre di quest’anno, rileva l’Istat, i l numero degli occupati si è ridotto di 459 mila unità rispetto al trimestre precedente, hanno perso il lavoro soprattutto i giovani e le donne. Un divario cresciuto negli ultimi dieci anni: tra il 2008 e il 2018 il numero di persone in povertà assolta è quasi raddoppiato, da due milioni e 900 mila a cinque milioni, si legge nel Rapporto sulle disuguaglianze realizzato dalla Rete dei Numeri Pari, composta da 600 organizzazioni che condividono l’obiettivo di garantire diritti sociali e dignità. «Da marzo le richieste per i nostri servizi sono raddoppiate: consegna di pacchi alimentari e farmaci, assistenza medica, sportelli psicologici anche online, dentisti popolari, assistenza ai ragazzi senza computer», dice Elisa Sermarini, responsabile della comunicazione e coordinatrice dei nodi territoriali della Rete, molto attiva anche nella Capitale. «Già prima del Covid a Roma esistevano 94 clan e 100 piazze di spaccio. È la capitale delle disuguaglianze e rischia di diventare la capitale delle mafie. Il 53 per cento delle famiglie vive con un reddito inferiore ai 15 mila euro, le politiche sociali sono del tutto insufficienti, dalla Giunta comunale non è arrivato alcun aiuto, hanno scaricato tutto sulle associazioni», aggiunge Sermarini.
La Rete lavora da mesi insieme al Forum Disuguaglianze e Diversità, think thank e alleanza composta da otto organizzazioni (Fondazione Basso, ActionAid, Caritas Italiana, Cittadinanzattiva, Dedalus Cooperativa Sociale, Fondazione di Comunità Messina, Legambiente, UISP). Nel saggio “Un futuro più giusto” (Il Mulino), a cura di Fabrizio Barca e Patrizia Luongo, gli autori del Forum sottolineano come la pandemia abbia reso eclatanti le gravi sperequazioni sociali. Al centro pongono una strategia fondata sulla giustizia sociale e su un nuovo patto tra i produttori. «Come in tutte le pandemie e le catastrofi precedenti, con il Covid-19 le disuguaglianze sono cresciute. È una crisi che colpisce soprattutto il lavoro a tempo determinato, a chiamata, irregolare: 6 milioni e mezzo su 22 milioni di occupati. Oggi milioni di persone non riescono a ricostruire il proprio percorso di vita», dice Barca, statistico, economista e coordinatore del Forum che ha elaborato un documento-proposta per liberare il potenziale di tutti i territori: «Alla soglia di questo incredibile autunno, uno dei più incerti di sempre, la prima cosa da fare è sopperire ai bisogni materiali. Il reddito di emergenza, faticosamente prorogato, va in questa direzione», aggiunge il coordinatore del Forum, che sottolinea tuttavia i limiti delle politiche tradizionali, gli aiuti a pioggia senza prospettive. «L’Italia resta un Paese sano e vivacissimo dal punto di vista imprenditoriale. Milioni di persone, in tanti settori, stanno cercando di reinventare il proprio futuro, hanno voglia di fare. La crisi ha creato una nuova domanda: un turismo diverso, un’agricoltura diversa, una scuola migliore. Bisogna rimuovere gli ostacoli all’imprenditorialità», conclude Barca.
L’area del disagio, nel frattempo, continua ad allargarsi. In base alla seconda rilevazione nazionale di Caritas Italiana, effettuata a giugno le persone accompagnate o sostenute, da marzo a maggio, risultano quasi 450 mila – oltre 6 su 10 italiane – di cui un terzo non si era mai affacciato a strutture Caritas: mense, centri di ascolto, servizi di accoglienza, empori. «La platea dei beneficiari è cambiata. Prima del Covid erano disoccupati, precari, casalinghe, pensionati. Ora c’è anche chi ha perso un impiego irregolare per colpa della pandemia, chi è in attesa della cassa integrazione, intermittenti non coperti dagli ammortizzatori sociali», dice Nunzia De Capite, sociologa impiegata in Caritas Italiana. Cosa si aspetta per settembre? «C’è grande sfiducia, paura e preoccupazione, molti hanno perso i cardini della sicurezza: salute, lavoro, casa, speranza».
Un quadro in evoluzione: sull’onda dell’emergenza molte organizzazioni hanno riscoperto la propria vocazione originaria. Una delle campagne più riuscite di Arci, grande associazione culturale e di promozione sociale, in intitola #Solidarietavirale: molti circoli e comitati, costretti a chiudere (4.500 in tutta italia), si sono mobilitati per la consegna a domicilio della spesa (anche “sospesa””, cioè offerta da altri cittadini), hanno attivato mense popolari, distribuito pacchi famiglia agli sportelli online. Tra i più attivi c’è il circolo Maite, a Bergamo: con il progetto “Superbergamo” oltre 110 volontari hanno creato una rete solidale per aiutare con consegne a casa chi non poteva uscire durante il lockdown, soprattutto anziani. «Con il Covid abbiamo ritrovato la nostra radice mutualistica», dice Francesca Chiavacci, presidente nazionale Arci, che precisa: «non abbiamo dimenticato la cultura, vero antidoto contro paura e rabbia. Oltre alla pasta e alla farina, nei pacchi dell’Arci abbiamo messo libri. Il web non è ancora per tutti»