Di Giuseppe De Marzo – pubblicato sul settimanale di Politica Cultura Economia L’Espresso n°36 anno LXVI 30 agosto 2020
Se viviamo in strada è colpa vostra, era scritto su uno dei cartelli portati in piazza del Campidoglio lo scorso 20 giugno per denunciare la condizione in cui vivono decine di migliaia di famiglie a Roma. Aspettano da molti anni una casa. Vengono invece trattati come invisibili o, peggio, come delinquenti. Insieme alle famiglie in emergenza abitativa, sulla piazza organizzata dalla Rete dei Numeri Pari per dare voce ai senza voce, c’ erano operatori del sociale e del volontariato colpiti dai tagli, lavoratori della multiservizi e dei nidi comunali che rischiano il posto, senza fissa dimora abbandonati dalle istituzioni, cittadini che hanno raccolto e distribuito aiuti e alimenti durante il lockdown, insegnanti e attivisti impegnati contro le mafie, parroci di periferia che rispondono con la solidarietà all’ aumento delle ingiustizie, profughi che non ricevono nessun ascolto, famiglie rom messe per strada, migranti transitanti. Tutti accomunati da una condizione materiale difficile, impoveriti, vittime dello spaventoso aumento delle disuguaglianze che ha reso Roma la Capitale dell’ esclusione sociale e delle mafie.
La povertà offre alla criminalità organizzata «prospettive di arricchimento ed espansione paragonabili a ritmi di crescita che può offrire solo un contesto post-bellico», come denuncia l’ ultima relazione semestrale della Dia, che mette l’ accento sulla drammatica condizione della città eterna. Il welfare sostitutivo mafioso sembra essere l’ unica alternativa per chi è rimasto indietro o non ce la fa da solo. La democrazia funziona quando i diritti sono esigibili, le responsabilità chiare e la partecipazione alla politica condivisa da tanti. La democrazia non funziona quando crescono le disuguaglianze, si cristallizzano le rendite, i partiti non garantiscono un’ ampia partecipazione e le politiche economiche sono orientate da interessi privati più che da quelli comuni. È quello che avviene nella Capitale d’ Italia, dove metà della popolazione è a rischio esclusione sociale. In quartieri come Tor Bella Monaca il 52 per cento vive in povertà assoluta, mentre 134 mila giovani in città sono senza lavoro, hanno smesso di cercarlo, non studiano e non si formano (erano la metà dieci anni fa). Sono 146 mila gli anziani che non hanno un reddito sufficiente per l’ assistenza domestica o per pagare l’ affitto, figurarsi provvedere ad una eventuale emergenza. Da anni assistiamo a tagli “bipartisan” per decine di milioni alle politiche sociali, si chiudono i servizi e si lasciano senza aiuto centinaia di migliaia di cittadini, mettendo a rischio lavoro e competenze di migliaia di operatori del sociale impegnati a garantire diritti e salute. Sono invece 94 i clan che si contendono il territorio e 100 le piazze dello spaccio. Una crescita della penetrazione mafiosa che va di pari passo con l’ aumento delle disuguaglianze e con l’ assenza di politiche sociali efficaci nel contrasto alla criminalità. Ma la cosa più preoccupante è che questi dati sono precedenti al Covid-19. Oggi la situazione è ancora più grave. Il virus ha allargato ulteriormente le distanze. Ci appare evidente che non sono priorità per chi governa né garantire giustizia sociale a quel terzo di società scivolato in povertà, né sconfiggere il ricatto mafioso.
Gli unici a Roma che ci stanno provando sono i soggetti non istituzionali. Sono loro a non aver interrotto i servizi e garantito aiuti ai più deboli. Sono state sperimentate forme di mutualismo e solidarietà che hanno dimostrato quanto forti sia la capacità di resilienza delle nostre comunità. Siamo già in grado attraverso i nostri anticorpi sociali di rispondere alle sfide che abbiamo davanti. Il paradosso è che questi soggetti, queste esperienze concrete di mutualismo, invece di essere considerate straordinarie risorse vengono attaccate da una sindaca chiusa in una torre d’ avorio con i suoi fedelissimi, capace solo di promuovere un legalitarismo securitario e classista che vede con fastidio poveri ed esclusi. Mancano proposte alternative e progetti da condividere su obiettivi comuni. Manca una visione di città che duri più del destino personale del candidato di turno. Abbiamo invece bisogno di una politica che sappia a partire dalle migliori esperienze sociali immaginare Roma nel 2041, non nel 2021. Una visione che duri, capace di tracciare una alternativa concreta che unisca diritti e responsabilità, innovando linguaggi e forme della presa di decisione, sfruttando l’ enorme potenziale che Roma offre in termini di “riserva di umanità”. Ed è da questa eccedenza che la politica può e deve ritrovare la sua forza di trasformazione. Dalla città emergono e si relazionano soggetti sociali che si mobilitano e organizzano, costruendo speranza e alternative. Diritto all’ abitare, accoglienza, lavoro, lotta alle mafie, politiche sociali sono i cinque obiettivi che accomunano già le 100 realtà sociali, tra movimenti, cooperative, parrocchie, presidi antimafia, scuole, sindacati, insegnanti, reti di giornalisti, associazioni e comitati che fanno parte del nodo romano della Rete dei Numeri Pari. Queste realtà metteranno a disposizione del resto della città un percorso chiamato “Mosaico Roma”, che si svilupperà nei prossimi 6 mesi. Ogni mese su ciascuno dei cinque temi che compongono il Mosaico verranno promosse mobilitazioni, vertenze e incontri attraverso i quali elaborare proposte condivise per la città, facendo crescere consapevolezza e partecipazione. Si inizia a settembre con il percorso per il diritto all’ abitare ed al reddito, rispondendo alla tentazione di chi pensa di vincere le elezioni mettendo sullo stesso piano famiglie in emergenza abitativa costrette a occupare stabili abbandonati, con le occupazioni delle organizzazioni fasciste, sempre più legate alla criminalità. La legalità senza giustizia è una truffa. Ottobre sarà dedicato all’ accoglienza ed alla mobilitazione per la giornata mondiale dell’ eradicazione della povertà: il 17 ottobre. A novembre verrà affrontata la questione del diritto al lavoro. A dicembre l’ agenda condivisa sarà sulla lotta contro le mafie. A gennaio invece mobilitazione e proposte metteranno al centro la cooperazione sociale e il mutualismo. L’ ultimo tassello del Mosaico Roma è febbraio, mese in cui tutte le realtà della rete si ritroveranno per condividere con la città e con i candidati a sindaco tutte le proposte e le speranze emerse dal percorso che metterà insieme centinaia di realtà e migliaia di persone. Un percorso ispirato al mutualismo e alla cooperazione come strada per uscire dalla crisi, legittimato dalle persone che vivono in carne propria la crisi e hanno compreso che nessuno si salva da solo. Un percorso opposto rispetto ad una politica verticale, fondata sul leaderismo, cristallizzata su sondaggi e orientata esclusivamente alla ricerca del consenso personale. Una politica fondata sull’ io che è concausa della crisi. Senza reciprocità, cooperazione e solidarietà non si supera la crisi: si perde tutti. Ce lo insegna la natura, di cui facciamo parte. Non esistono scarti, ma una interazione continua che rende interdipendenti e reciproci tutte le entità viventi che compongono la comunità della vita. È questa l’ unica fase 2 alla quale vogliamo partecipare, in un paese che continua a cercare all’ esterno le risposte mentre le ha sotto il proprio naso.