15 agosto 2020 – Di Matías Guerrero Gatica e Marcela Marquez García / El Mostrador, sezione opinioni / elmostrador.cl
La decrescita come opzione inizia a suonare forte nei forum internazionali. Tanto che un gruppo di 174 scienziati ha scritto una lettera al governo olandese con una chiara allusione alla decrescita come unica opzione in un mondo post-COVID. Questa situazione rappresenta un’opportunità per guardare al benessere sociale ed ecologico oltre i semplici indici di transazioni mercantili. Rappresenta un’opportunità per generare condizioni in accordo con un pianeta che mostra che sembra già non dare di più. La decrescita, quindi, è una solida alternativa a un pianeta post-COVID.
Il nostro pianeta è sotto il suo controllo e vediamo come COVID-19 ha sfidato un’intera civiltà. Le conseguenze macroeconomiche si fanno già sentire con una grande recessione globale. Vengono proposte molteplici soluzioni per invertire le scarse cifre economiche, ma COVID-19 è davvero il problema principale? Per capirlo, bisogna prestare attenzione alla natura stessa del virus. Il Sars-CoV-2 è il settimo coronavirus che ha infettato l’uomo e il terzo, dopo SARS-CoV e MERS-CoV, che ha un’origine zoonotica, cioè è stato trasmesso da animali.
Questo fenomeno non è casuale. Come esseri umani, stiamo generando trasformazioni negli ecosistemi planetari, al punto che la fauna è stata confinata a piccoli resti di biodiversità. Di conseguenza, negli ultimi decenni, le nostre interazioni con gli animali selvatici sono diventate sempre più frequenti, aumentando così la probabilità di contagio di più virus di origine zoonotica. In questo scenario di crisi sanitaria e conseguente contrazione economica, il focus è stato sulla riattivazione, attraverso strategie che ci permettano di tornare sulla strada della tanto attesa “crescita economica”. Quest’ultimo concetto non è insignificante, perché alimenta un sistema economico che concepisce il pianeta come in possesso di “risorse” illimitate.
Pertanto, uomini d’affari e autorità eseguono tutti i tipi di trucchi per salvaguardare gli indicatori economici, in particolare il Prodotto Interno Lordo (PIL), dando per scontato il benessere socioeconomico che questo suggerisce e senza alcuna considerazione dei limiti planetari. È curioso, quasi ironico, quindi, che lo stesso Simon Kuznets, inventore della contabilità nazionale statunitense e dell’indicatore del PIL, abbia avvertito nel 1934 che “il benessere di una nazione può a malapena essere dedotto da una misura del reddito nazionale”. Ha poi aggiunto che basare il benessere di un Paese su un indicatore che misura religiosamente l’attività economica del mercato, lascia da parte tre questioni essenziali: benessere, ambiente e felicità.
Per quanto riguarda il benessere, è stato dimostrato, ad esempio, che nonostante il fatto che gli Stati Uniti siano cresciuti costantemente nel loro PIL negli ultimi 50 anni, non hanno aumentato il benessere della loro popolazione dal 1978, misurato attraverso l’Indicatore di Progresso Generale (IPG). A differenza del PIL, questo indice misura altre variabili, come la distribuzione del reddito, i costi ambientali, attività negative come la criminalità e l’inquinamento, tra le altre. In questo modo si rende evidente che l’aumento del PIL non implica necessariamente un benessere della popolazione.
Per quanto riguarda l’ambiente, l’incremento della produzione di beni e servizi da parte della società aumenta il flusso di materiali ed energie con la natura, generando sempre più degrado ambientale. Così, un’indagine pubblicata sulla prestigiosa rivista Conservation Letters, ha mostrato che con una maggiore crescita economica (misurata dal PIL), un maggiore utilizzo delle risorse e delle emissioni di inquinanti, che aumenta il cambiamento climatico, riduce l’area degli habitat naturali e aumenta il propagazione di specie invasive (la seconda grande forza per la perdita di biodiversità a livello planetario). In altre parole, la crescita economica aumenta il degrado dell’ambiente.
Infine, il rapporto tra crescita economica e felicità è stato affrontato dall’economista americano Richard Easterlin. “Il paradosso di Easterlin” indica che l’espansione economica di un paese non si traduce necessariamente in una crescita della felicità dei suoi abitanti. Con uno studio pubblicato nel 2015, è stato dimostrato che la crescita in America Latina si è tradotta in una leggera o grande diminuzione della felicità. Ciò è possibile a causa della produzione di disuguaglianze, componente che inverte gli effetti della crescita economica. In altre parole, l’aumento del PIL non aumenta la felicità.
Sulla base di quanto precede, è rilevante guardare alla “decrescita”, un’alternativa radicale per raggiungere il benessere, intesa come “uno slogan politico con implicazioni teoriche”, secondo Serge Latouche, uno dei suoi maggiori esponenti. Nata nell’Europa degli anni ’70, l’idea ha preso forza a partire dagli anni 2000, che include lo svolgimento di un congresso internazionale semestrale dal 2008. La decrescita non pretende di essere un modello rigido, con l’intenzione di espandersi a livello globale e di dettare fasi o regole che tutte le nazioni dovrebbero seguire, come fa il modello di sviluppo prevalente. Piuttosto, emerge come una critica ferrea alla religione della crescita economica, invitandoci a generare alternative più in linea con un pianeta con risorse limitate e riconoscendo le nostre differenze culturali. Il modello della decrescita propone di intraprendere stili di vita più semplici, ridurre drasticamente i livelli di consumo, ricollocare l’economia riducendo le distanze tra produzione e consumo, compattare l’area urbana per dare maggiore importanza alla produzione agricola locale, promuovere il lavoro condiviso riducendo l’orario di lavoro. Lavorare e rendere visibile il lavoro di cura, tra molte altre alternative.
In questo senso, sono emerse contemporaneamente proposte latinoamericane in linea con la decrescita. Il Buen Vivir è uno di loro (noto anche come sumaq kawsay nella visione del mondo quechua, suma qamaña nella visione del mondo Aymara o küme mongen nella visione del mondo mapuche), un’alternativa che comprende le relazioni tra gli esseri umani e l’ambiente al di là di una relazione tra risorsa e sfruttatore, con elementi pronti per essere sfruttati.
Queste alternative hanno molto più senso di fronte a una pandemia che, appunto, nasce come conseguenza del non rispetto di quella condizione limitante degli elementi e dei processi degli ecosistemi. Fu nel mercato di Wuhan dove, a seguito del consumo di un animale selvatico, che iniziò la proliferazione della più grande pandemia degli ultimi 100 anni. Non solo, ma si prevede anche che questo tipo di malattia si manifesti più frequentemente, a causa dell’impatto che stiamo avendo sula biodiversità.
Queste alternative hanno molto più senso di fronte a una pandemia che, appunto, nasce come conseguenza del non rispetto di quella condizione limitante degli elementi e dei processi degli ecosistemi. Fu nel mercato di Wuhan dove, a seguito del consumo di un animale selvatico, che iniziò la proliferazione della più grande pandemia degli ultimi 100 anni. Non solo, ma si prevede anche che questo tipo di malattia si manifesti più frequentemente, a causa dell’impatto che stiamo avendo sula biodiversità.
La decrescita come opzione sta cominciando a suonare forte nei forum internazionali. Tanto che un gruppo di 174 scienziati ha scritto una lettera al governo olandese con una chiara allusione alla decrescita come unica opzione in un mondo post-COVID. Questa situazione rappresenta un’opportunità per guardare al benessere sociale ed ecologico oltre i semplici indici di transazioni commerciali. Rappresenta un’opportunità per generare condizioni in accordo con un pianeta che mostra che sembra già non dare di più. La decrescita, quindi, è una solida alternativa a un pianeta post-COVID.
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