Terremoti, alluvioni, attentati e altro. In questi scenari i volontari di Psicologi per i Popoli intervengono a sostegno di chi subisce gravi traumi. Lo hanno fatto anche durante la pandemia: “Tutte le emergenze sono anche psicologiche”, dice la presidente Donatella Galliano
23 ottobre 2020 – Andrea Giambartolomei – Redattore lavialibera
“Tutte le emergenze sono anche psicologiche”. E di emergenze Donatella Galliano ne ha viste: i terremoti, la tragedia di Rigopiano, l’attentato terroristico di Nizza e altro. Presiede Psicologi per i Popoli Federazione, un insieme di associazioni fondato nel 1999 da Luigi Ranzato. Lei e gli altri volontari sono specializzati in psicologia dell’emergenza. Lavorano a stretto contatto con la Protezione civile che, in caso di bisogno, chiede il loro intervento. È avvenuto anche per la pandemia: “Abbiamo collaborato all’attivazione della linea telefonica di sostegno psicologico del Ministero della salute. Dopo i primi giorni, abbiamo ricevuto qualcosa come 40mila telefonate”.
Dottoressa Galliano, quindi l’emergenza Covid-19 non è stata solo sanitaria?
Tutte le emergenze hanno una forte componente psicologica perché provocano la distruzione delle strutture portanti degli individui e della comunità, dei riti e dei miti condivisi, della socialità e di quelle cose piccole e banali della nostra quotidianità, ma fondamentali per la nostra esistenza. Per questa ragione le emergenze vanno “previste” e richiedono programmazione. Lasciano dietro di loro distruzione e il vissuto di normalità deve essere ricostruito e ricucito sull’identità delle persone, che devono riconoscersi nella loro nuova casa interna ed esterna.
Cosa avete visto in questo periodo?
Rispetto a terremoti o attentati, è stata un’emergenza strisciante e impietosa. Le persone erano disorientate, spaventate e incredule. Abbiamo assistito a un dolore che ha colpito sfere inaspettate della quotidianità. Pensiamo alla vita di comunità e alle relazioni o alle separazioni di chi accompagnava i parenti malati al pronto soccorso: alla tenda del triage venivano separati e di lì in avanti avevano poche informazioni. Ricordo una famiglia di Torino che si è rivolta a noi: avevano un familiare ricoverato a Cuneo, uno a Palermo e uno a Bologna, ottenevano da ogni ospedale poche notizie e loro stessi erano in quarantena, chiusi in casa con la paura di ammalarsi senza la possibilità di essere seguiti.
Anche medici e infermieri si sono rivolti a voi. Con quali paure?
Non temevano il contagio personale: i sanitari hanno maggiore coscienza dei pericoli e una grande convinzione sul loro ruolo, che è salvare gli altri. Avevano paura invece di non fare abbastanza e di diventare untori, contagiando anche i loro cari. Molti hanno cambiato l’architettura delle loro relazioni familiari, lasciato le loro case per vivere soli, mantenere le distanze ed evitare i contatti.
E i bambini?
Di solito, nel corso delle emergenze, ricevono molta attenzione. In questo caso sono stati completamente affidati alle [Continua a leggere su La via Libera]