La regionalizzazione del servizio sanitario è una scelta irreversibile, ma nessun sistema a regionalismo forte o federale può permettersi la mancanza o la debolezza di una guida politica nazionale
6 novembre 2020 – Rosy Bindi Ex ministro della Salute, presidente Commissione antimafia nella XVII legislatura
La tragedia che ci ha colpito ha avuto conseguenze gravi non solo per l’imprevedibilità che l’ha caratterizzata, ma soprattutto perché ha evidenziato le carenze strutturali del nostro sistema sanitario. Non è da attribuire alla cattiva sorte il fatto che i sistemi regionali che hanno registrato i problemi più grandi siano stati quelli dove in questi anni si è abbandonata la prevenzione, la presa in carico delle cronicità, si è indebolita la sanità dei distretti territoriali, l’integrazione socio sanitaria, dove sono considerati inutili i medici di medicina generale. Hanno fallito i modelli organizzativi ad alta competizione pubblico-privato. Si è persa un’intera generazione non a causa del destino cattivo, ma a causa dell’abbandono al quale è stata condannato.
I beni comuni. Davvero questa è l’occasione, e non vorrei che ce ne scordassimo nei prossimi mesi, per riflettere sull’importanza dei beni comuni. I padri fondatori sono stati lungimiranti: la salute è l’unico diritto che viene definito “fondamentale” dalla nostra Costituzione. Mi auguro che la parte politica che ha nel Dna questa storia culturale si liberi dalle timidezze e dalle subalternità che ha avuto in questi anni nei confronti di un – legittimo – pensiero liberistico, che ha mortificato i beni comuni e servizi pubblici come la scuola e la sanità nazionale.
Penso che la regionalizzazione del servizio sanitario sia una scelta irreversibile, ma nessun sistema a regionalismo forte o federale può permettersi la mancanza o la debolezza di una guida politica nazionale. Occorre un ministero della Sanità che non sia subalterno a quello dell’Economia, perché la sanità non è un bilancio ma un diritto dei cittadini, il più importante perché il presupposto per esercitare tutti gli altri. Occorre un Ministero che riconduca l’autonomia alle coerenze del sistema. Se vogliamo un servizio sanitario pubblico che garantisca in maniera uniforme i servizi essenziali, non possiamo permetterci gli apprendisti stregoni che in questi anni hanno realizzato modelli organizzativi tra di loro diversissimi e spesso incoerenti rispetto ai principi di un sistema universalistico.
Siamo alla vigilia di nuovi investimenti, come abbiamo intenzione di usarli? Io credo vadano impegnati in progetti, sotto la guida del Ministero, per intervenire secondo la nostra Costituzione e le riforme del sistema sanitario che già prevedono, per esempio, l’integrazione pubblico-privato, con il privato sociale, la valorizzazione della cooperazione all’interno di un sistema integrato, non competitivo, dei servizi. Nonostante i principi, abbiamo finito per costruire, soprattutto in alcune parti del nostro Paese, un sistema che eroga prestazioni, che cura la malattia, ma non produce salute ed è per questo che il virus ha rischiato di avere la meglio.
Potremo vincere questa sfida se… [Continua a leggere su La Via Libera]