Il rapporto ‘Il clima è già cambiato’ presentato dall’Osservatorio Città Clima presenta il ritratto di un Paese dove gli eventi climatici estremi sono in costante aumento. “L’Italia è oggi l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, per cui continuiamo a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione” commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente
I CENTRI URBANI SONO I PIÙ COLPITI – Il cambiamento climatico colpisce in modo più evidente e in tutto il mondo soprattutto i centri urbani e l’Italia non fa certo eccezione, come emerso anche nel recente rapporto della rete Climate Transparency. Dal 2010 a fine ottobre 2020 sono 946 i fenomeni metereologici estremi registrati in 507 Comuni. Hanno provocato, tra le altre cose, danni al patrimonio storico-archeologico in 14 casi e 83 giorni di black out elettrico. Il maltempo ha provocato centinaia di vittime: l’Osservatorio Città Clima ha contato 251 morti, di cui 42 riferiti al solo 2019, in aumento rispetto ai 32 del 2018.Cinquantamila, invece, rileva il Cnr, le persone evacuate in seguito a frane e alluvioni. Le aree urbanizzate sono le più colpite perché “le più popolose e spesso sprovviste di una corretta pianificazione territoriale, nonché le più esposte agli effetti del cambiamento climatico”, spiega Legambiente. Clamoroso, sottolinea l’Osservatorio, il caso di Roma, dove dal 2010 a ottobre 2020 si sono verificati 47 eventi estremi, 28 dei quali riguardanti allagamenti in seguito alle piogge intense. A Bari 41, divisi tra allagamenti da piogge intense (20) e trombe d’aria (18). Segue Agrigento, con 31 eventi legati ad allagamenti (in 15 casi) e danni alle infrastrutture (in 7 casi) come per i danni da trombe d’aria. Da segnalare anche Milano, con 29 eventi in totale, dove si contano almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro.COSA STA CAMBIANDO – Soltanto da inizio 2020 a fine ottobre, si sono verificati 86 casi di allagamento da piogge intense e 72 casi di trombe d’aria, in forte aumento rispetto ai 54 casi dell’intero 2019 e ai 41 registrati nel 2018. Sempre più drammatiche, in particolare, le conseguenze dei danni da trombe d’aria, che nel Meridione sferzano le città costiere, mentre al Nord si concentrano nelle aree di pianura. Più forti e prolungate le ondate di calore nei centri urbani, dove la temperatura media cresce a ritmi più elevati che nel resto del Paese. Tra i fenomeni estremi a maggiore intensità, anche quelli alluvionali, con quantitativi d’acqua che normalmente cadrebbero in diversi mesi o in un anno e che invece si riversano nelle strade in poche ore, seguiti sempre più spesso da lunghi periodi di siccità.
I COSTI PER CURARE E PER PREVENIRE – Secondo i dati di Italiasicura, l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto: dal 1945 l’Italia paga in media circa 3,5 miliardi all’anno. Ma quanto spende lo Stato italiano per la prevenzione? “Se guardiamo alla spesa realizzata in questi anni per gli interventi programmati di messa in sicurezza e prevenzione – si legge nel rapporto – emerge come dal 1999 al 2019 sono stati 6.303 gli interventi avviati per mitigare il rischio idrogeologico in Italia, per un totale di poco meno di 6,6 miliardi di euro (fonte Ispra, piattaforma Rendis), con una media di 330 milioni di euro l’anno”. I dati della Protezione civile sugli stati di emergenza da eventi meteo-idro dal maggio 2013 al settembre 2020 segnano un incremento, da 92 nel 2019, a 103, mentre i fondi assegnati arrivano a 13,2 miliardi di euro. Si tratta di una media di 1,9 miliardi all’anno. C’è quindi un rapporto di uno a sei tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni.
UN PIANO PER L’EMERGENZA DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO – Secondo il Climate Risk Index di Germanwatch, tra il 1999 e il 2018 l’Italia ha registrato 19.947 morti riconducibili agli eventi meteorologici estremi e perdite economiche quantificate in 32,92 miliardi di dollari. E a pagare le conseguenze maggiori, ancora una volta, saranno i più poveri, in Italia come nel resto del mondo. Nel 2014 è stata approvata la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici e, per darle attuazione, doveva essere approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. “Dopo sei anni – scrive Legambiente – siamo ancora in attesa che si passi dal campo degli studi a una vera e propria pianificazione capace di fissare le priorità ed orientare in modo efficace le politiche”. “L’Italia è oggi l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, per cui continuiamo a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione” commenta Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, secondo cui “il Recovery plan deve contenere la risposta a queste sfide, con risorse per l’adattamento e un cambio della governance che oggi non funziona”.
LE BUONE PRATICHE – Il rapporto di Legambiente passa in rassegna una serie di buone pratiche già in essere, all’estero e in diverse città italiane: dai regolamenti edilizi sostenibili allo smart mapping, dalla tutela delle aree verdi estensive alberate a interventi mirati come quelli effettuati in provincia di Pisa, ad esempio, dove si è proceduto al detombamento dei corsi d’acqua, al drenaggio e al rallentamento delle acque meteoriche e all’installazione dei semafori anti-allagamento per prevenire fenomeni alluvionali. Legambiente chiede al governo l’approvazione immediata del piano di adattamento climatico, ma anche di rafforzare il ruolo delle Autorità di distretto e dei Comuni negli interventi contro il dissesto idrogeologico e l’approvazione di una legge che porti a un cambio delle regole d’intervento con un patto tra Governo, Regioni e Comuni che consenta di assumere decisioni non più procrastinabili per mettere in sicurezza territori e persone.