Bari: capoluogo pugliese che nella classifica della qualità della vita nelle città italiane 2020 si è attestata al 72° posto; dove una persona su 5 ha un reddito annuo inferiore a 10mila euro e la disoccupazione colpisce il 20% della popolazione; in cui la percentuale dei giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono in formazione supera il 30%; dove le mafie e la criminalità organizzata si approfittano dei vuoti lasciati dalla politica e della sua incapacità di dare risposte concrete a chi vive in difficoltà, garantendo un welfare sostitutivo sui territori e ampliando il loro esercito di manodopera di riserva.
Questa è la città in cui Don Angelo Cassano – parroco della Chiesa di San Sabino alla periferia di Bari tra il quartiere Japigia e Madonnella e referente di Libera Bari – si batte quotidianamente da oltre 20 anni al fianco delle persone che vivono in difficoltà, per la giustizia sociale, contro diseguaglianze, povertà e mafie.
In questi anni hai saputo costruire un osservatorio privilegiato sulla città accettando quotidianamente il corpo a corpo sui territori, ascoltando le persone che vivono sulla loro pelle situazioni di difficoltà e costruendo risposte concrete all’interno della Parrocchia di San Sabino e non solo. Sin dalle prime settimane del lockdown di marzo la comunità ha saputo rispondere con prontezza all’arrivo della pandemia riadattando le attività di mutualismo solidale per rispondere ai nuovi bisogni delle persone: mensa, consegna di pacchi alimentari, vestiti, medicine, lavanderia ecc. Dal tuo punto di vista che impatto ha avuto la pandemia sulla città di Bari?
Da subito era evidente che questa crisi sanitaria avrebbe svelato tutti quei problemi che per anni sono stati ignorati dalla politica e che avrebbe peggiorato la crisi sociale aperta da anni in Italia, al Sud e nella nostra città. Dall’osservatorio costruito grazie alle attività della Parrocchia e delle realtà sociali con cui da anni collaboriamo, abbiamo potuto leggere in maniera molto dettagliata i bisogni della città, come andava cambiando la povertà e come le mafie tentavano di approfittarsi di questa nuova crisi. Abbiamo visto triplicare i numeri delle richieste e, oltre alle persone che seguivamo già da tempo, ci siamo trovati di fronte persone e gruppi familiari che mai si erano rivolti ai nostri servizi. Grande è stato il ritardo con cui si è mosso il comune di Bari, anche a causa di una burocrazia lenta e inutile che ha schiacciato migliaia di persone in un oblio. Per fortuna noi siamo riusciti a non farci trovare impreparati e abbiamo affrontato i primi mesi della pandemia solo grazie alla forza e alla solidarietà della comunità stessa che ha saputo mettersi in rete con le realtà con cui collaboriamo e senza alcun sostegno da parte dell’amministrazione.
Ora la situazione è ancora più drammatica e dopo 10 mesi i numeri continuano a crescere. Solitamente, nei giorni di Natale si rivolgevano ai nostri servizi circa 50 famiglie. Quest’anno le richieste sono state oltre 300! Ma è importante anche dire che abbiamo visto tanta generosità e solidarietà: un pezzo di città che si è impegnata per contrapporre al cinismo e all’egoismo di pochi la cooperazione e la solidarietà di molti. La situazione è grave e di questo passo sarà sempre più difficile: cresce il numero di persone che vivono in strada; continuano gli sfratti nonostante si era messo uno stop nei mesi della pandemia; aumentano le famiglie che vivevano con lavoretti in nero o grigio e che ora non hanno garanzie o sostegni; aumenta la penetrazione mafiosa, come dimostrato dalle recenti inchieste della Procura di Bari che ha fatto emergere come in alcuni quartieri le persone si rivolgessero ai clan anche solo per 20€ per fare la spesa, per poi ritrovarsi schiacciati dall’usura con prestiti a tassi esorbitanti. Ma che giustizia è questa?
In questo quadro come si inseriscono i fatti accaduti il 22 dicembre scorso all’ex Socrate?
Martedì scorso, mentre eravamo alle prese con la consueta consegna dei pacchi alimentari per garantire alle famiglie almeno un Natale dignitoso, siamo stati avvisati di un grande incendio – che poi incendio non era – all’interno dell’ex istituto scolastico Socrate. Nello stabile vivono da oltre 10 anni circa 60 famiglie in maniera dignitosa e tutte integrate positivamente nella vita del quartiere. Ci siamo recati subito sul posto e una volta entrati nella struttura abbiamo appurato che in realtà l’incendio era localizzato in un piccolo sottoscala dove le persone che abitano lo stabile ripongono passeggini e borse. Dopo pochi minuti sono arrivati anche i Vigili del fuoco con numerose autobotti – totalmente inutili visto che l’incendio era già stato spento dalla comunità, polizia anche in tenuta antisommossa, l’assessora al welfare Francesca Bottalico e l’assessore all’urbanizzazione Giuseppe Galasso.
Con il pretesto dell’incendio istituzioni e forze dell’ordine hanno affermato che le famiglie dovessero lasciare lo stabile perché divenuto inagibile e che a tutte le persone sarebbe stata formina una soluzione alternativa ma tutti sapevano benissimo che erano bugie. La struttura è stata giudicata inagibile quando ancora era una scuola e le soluzioni non ci sarebbero state. Da mesi chiediamo accoglienza per centinaia di persone colpite duramente dagli effetti della pandemia e la risposta è stata sempre negativa: come potevamo credere che ora erano spuntati fuori posti per tutte quelle persone?
Dopo una lunga mediazione con le istituzioni, le famiglie sono riuscite a rientrare ma la situazione non è cambiata. Anzi, sono emersi i reali interessi che si muovono attorno all’ex Socrate. È importante ricordare che nel 2014 la comunità che abita lo stabile aveva siglato un protocollo d’intesa che prevedeva la riqualificazione e la messa in sicurezza dello stabile con un investimento di 800mila euro da parte del Comune e della Regione. Al progetto avrebbe partecipato anche la comunità facendosi carico di un’opera di autorecupero a proprie spese. Questo protocollo negli anni non è mai stato attuato e nel mese di novembre è comparso un nuovo progetto del valore di 3 milioni di euro che prevede la demolizione dello stabile e la costruzione di un centro culturale, cancellando completamente quanto stabilito in precedenza.
Alla luce di tutto questo, ci è evidente come – nonostante ci troviamo ancora in piena pandemia e sia arrivato l’inverno – l’incendio sia stato solo un pretesto per l’amministrazione per tentare di sgomberare le persone che abitano lo stabile senza dare alcuna soluzione reale e attuare il nuovo progetto, arricchendo privati e ignoranti il diritto di 60 famiglie ad avere una casa. Ora queste famiglie sono senza corrente e con il lockdown di questi giorni e le temperature in calo non è facile ma resistono e continuano la loro vita come prima per quanto possibile. Pensare che queste persone dovranno rimanere lì in queste condizioni è inaccettabile.
In seguito a questi fatti domani è stato organizzato un presidio sotto al Comune di Bari. Quali sono le richieste della comunità?
È stata ottenuta una mediazione con le istituzioni ma la battaglia non è finita. Sicuramente ci saranno nuovi tentativi di sgombero e non possiamo permetterlo. Molte sono state le pressioni ricevute per aver scelto di sostenere questa battaglia ma il nostro posto sarà sempre al fianco delle persone più in difficoltà e non intendiamo arretrare. Sosterremo la comunità dell’ex Socrate nelle sue richieste: riallaccio della corrente; ritorno al protocollo d’intesa stipulato nel 2014; stralcio del nuovo progetto e dimissioni dell’assessora Bottalico. Crediamo che questo sia l’ultimo atto indegno di un asserorato che non è in grado di affrontare i problemi e le complessità della città. Abbiamo bisogno di politiche sociali che sappiano rispondere all’aumento delle povertà, delle disuguaglianze e che rappresentino un argine reale alla penetrazione mafiosa nei territori. Solo così usciremo dalla crisi tutti e tutte insieme.
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