La strategia di boss e criminali: dare aiuto oggi per avere riconoscenza domani. Dal Messico al Giappone, dalla Siria alla Gran Bretagna, fino all’Italia in tutto il mondo si espande il fenomeno del «welfare» offerto dalla criminalità
«Quello che è successo qui è quasi un miracolo». Intervistato dalla Bbc, il pastore Andie Steel-Smith commentò così la tregua decisa dalle gang di Cape Town a inizio aprile, in piena emergenza Covid-19. Nelle desolate township era appena scoppiata la pace e le bande di strada, raccogliendo l’appello del pastore, avevano deposto le armi per iniziare a distribuire viveri alla popolazione, costretta a rimanere rinchiusa nelle baracche sotto il peso di un lockdown rigidissimo. Ma quando i cattivi diventano buoni è meglio non fidarsi troppo: dietro c’è quasi sempre un secondo fine. In questo caso, i capibanda avevano colto al volo la possibilità di rafforzare e allargare la propria base di consenso sociale, linfa vitale di cui si nutre ogni organizzazione criminale. Più sorrisi e meno spari, ecco la nuova politica dei boss ai tempi del coronavirus. Una “generosità” inattesa che diventa un ottimo pretesto per confondere le acque attorno a vecchi e nuovi traffici. Preso atto dell’improvviso crollo della domanda di droga, le gang di Cape Town si sono infatti subito riconvertite. Tra un gesto umanitario e l’altro si sono dedicate con successo al mercato nero di alcol e sigarette, messi al bando dal governo durante la quarantena.
La trasformazione di Barabba nel Buon samaritano è andata in scena anche in molte altre zone del mondo ad alta densità criminale. In Messico, i narcos si sono subito prodigati per distribuire beni di prima necessità ai più poveri. Il cartello del Golfo ha regalato riso e fagioli, i rivali di Jalisco hanno puntato su olio, pane, prosciutto e carta igienica. Una macchina da guerra della solidarietà, con tanto di loghi sui pacchi e video promozionali diffusi su Youtube. Chiaro il messaggio: visto che lo Stato non vi aiuta, ci pensiamo noi. Un’ostentazione di potenza, mascherata da campagna di beneficenza. Anche le gang di strada del Guatemala hanno dato prova di improvvisa sensibilità, sospendendo la riscossione del “pizzo” tra i commercianti.
In Sudamerica il virus ha picchiato duro, mandando in pezzi le reti distributive di un’economia legale già fragile di suo. In questo panorama desolante, i gruppi criminali entrano in scena offrendo un sistema logistico efficiente e capillare, capace di alimentare ogni tipo di mercato clandestino. Secondo gli analisti, presto potrebbero diventare protagoniste assolute della scena le temibili “prison gang”, esperte come nessuno nel mettere in piedi traffici sotterranei. Se dietro le sbarre riescono a fare circolare di tutto, figuriamoci fuori.
Vi è chi distribuisce riso e fagioli alla popolazione, chi olio, pane, prosciutto e carta igienica. Una macchina da guerra della solidarietà, con tanto di loghi sui pacchi e video promozionali diffusi su Youtube
Lo “stato parallelo” è pronto a cogliere l’attimo per occupare gli spazi lasciati sguarniti dalle autorità riconosciute, impegnate nella lotta al virus. La minaccia incombe anche sulle periferie europee. In Inghilterra il “child’s commissioner” ha messo in guardia il governo dal rischio che le organizzazioni criminali reclutino i minorenni, lasciati soli in interminabili giornate in strada, privati come sono non solo della scuola ma anche delle attività ricreative e sportive. Solo il 5% dei giovani inglesi “vulnerabili”, secondo il dipartimento dell’educazione, ha avuto la possibilità di tornare in aula negli ultimi mesi. Il rischio è che molti finiscano per accettare lavoretti poco puliti, entrando in una spirale di marginalità e violenza. S ono tante, troppe le insidie che si nascondono dietro la facile tentazione del “welfare” criminale, come documenta l’Unodc (l’agenzia Onu che si occupa di criminalità e traffici illeciti) in un re- cente dossier. In Giappone la Yakuza si è mossa in grande stile per recuperare una popolarità crollata ai minimi termini, negli ultimi anni, anche nei suoi feudi storici. Gli sgherri della potente Yamaguchi-Gumi si sono messi a distribuire mascherine gratis nelle farmacie e negli asili, mentre i boss più influenti, molti dei quali anziani, hanno annullato i loro summit per evitare il rischio di contagio. Sul fronte sanitario si sono mossi con decisione anche i talebani, inviando équipe mediche ben equipaggiate nelle aree tribali dell’Afghanistan più colpite dal virus. In Siria un gruppo di ribelli ha battuto i villaggi della provincia di Idlib per diffondere le buone pratiche igieniche necessarie al contrasto del coronavirus.
Il messaggio è chiaro: visto che lo Stato non vi aiuta, ci pensiamo noi. Una prova di potenza mascherata da beneficenza
A prima vista, la pandemia sembra dunque aver trasformato i lupi in agnelli. Ma è un’illusione. Perché se oggi le belve ti tendono la zampa, domani torneranno a mostrare gli artigli. E inevitabilmente ti chiederanno qualcosa in cambio. Guardare da un’altra parte, nascondere un ricercato, scrivere un nome su una scheda elettorale. Impossibile rispon- dere con un no, perché la mancanza di riconoscenza è lo sgarbo peggiore agli occhi di un boss. Dare una mano oggi per riceverla domani, ecco la regola aurea delle mafie globali. Una tradizione solida, che viene da lontano. La Yakuza si affrettò a soccorrere la popolazione di Kobe dopo il terremoto del 1995, inviando cibo, acqua e biancheria. Lo stesso copione fu replicato nel 2011, quando il sisma colpì la regione di Tohoku. I cartelli messicani non furono da meno nel settembre 2013, sostenendo la gente della costa est dopo il passaggio dell’uragano Ingrid. Uno “sforzo” umanitario puntualmente amplificato dalla propaganda sui social.
Niente di nuovo sotto il cielo. La “carità” criminale ha radici antiche, che spesso hanno trovato terreno fertile anche nel nostro Sud. Fu Raffaele Cutolo a brevettare il “reddito di cittadinanza” per le famiglie dei detenuti della Nuova camorra organizzata: un modo infallibile per tenere compatto il clan anche nei momenti difficili. Una tradizione ampliata negli anni successivi, con l’istituzione di vere e proprie forme previdenziali e pensionistiche per gli affiliati. Un fenomeno ben descritto, qualche anno fa, dal sociologo Alessandro Colletti nel saggio “Il welfare e il suo doppio. Percorsi etnografici nelle camorre del casertano”. Oggi c’è il rischio che questi “servizi” vengano offerti anche ai civili, soffocati dalla crisi economica. Secondo la Dia, le mafie nostrane potrebbero «porsi come welfare alternativo, come valido e utile mezzo di sostentamento e punto di riferimento sociale ». L’ultima relazione investigativa traccia uno scenario allarmante, con i clan impegnati a «consolidare sul territorio, specie nelle aree del Sud, il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali».
Un’ombra sulla politica, ma non solo, perché il «supporto passerà anche attraverso l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti». Il contagio criminale, insomma, è in agguato. Urge trovare un vaccino, restando alla larga da ingannevoli antidoti.