Da quattro anni la Commissione Ue lavora a una tassonomia che definisca quali siano gli investimenti verdi (e quali no). Ma 226 scienziati e ong denunciano: l’ultima bozza è un’operazione di greenwashing
15 aprile 2021 – Francesca Dalrì – La Via Libera
Sostenibilità, transizione ecologica, fonti rinnovabili, investimenti verdi. Ormai questi termini sono divenuti vocaboli d’uso quotidiano. Ma in che modo decidiamo se un’attività economica può essere considerata sostenibile per l’ambiente? La risposta sta in un altro vocabolo, questa volta più astruso e meno noto: tassonomia. Il termine è preso in prestito dalle scienze naturali e serve a indicare il sistema di classificazione con cui le attività economiche e finanziarie possono essere definite verdi. Ad oggi, infatti, una definizione univoca non esiste né a livello internazionale né europeo. Un grattacapo su cui la Commissione europea sta lavorando da almeno quattro anni.
La partita è tutt’altro che tecnica perché riguarda la possibilità di escludere (o includere) nella transizione ecologica settori miliardari come l’idrogeno (che può essere verde se ottenuto sfruttando l’elettricità in eccesso prodotta da fonti rinnovabili, ma anche grigio se da fonti fossili come il gas naturale e come avviene oggi nel 95 per cento dei casi). Il vocabolario della sostenibilità ambientale tira in ballo il mondo della finanza (quanto è verde un investimento?), i governi (quali finanziamenti erogare a quali aziende? per esempio quelli europei in arrivo grazie al recovery plan), le imprese (la transizione verso un’economia pulita non avrà successo senza i capitali privati, la Commissione europea lo sa bene).
È evidente come la definizione di una tassonomia verde europea sia uno strumento fondamentale per centrare l’obiettivo del Green deal europeo, fortemente voluto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per rendere l’Europa il primo continente climaticamente neutro entro il 2050. Tutto bene, dunque, se non fosse che nell’ultima bozza del Taxonomy delegated act pubblicata da contexte.com i combustibili fossili sono rientrati dalla finestra. Il gas naturale, per esempio, una fonte energetica fossile che i Paesi dell’Est Europa (ma non solo) vorrebbero mantenere almeno come combustibile di transizione, e il nucleare (sdoganato da un recente report del Joint research centre, un centro di ricerca interno alla Commissione Ue e, come rivelato a fine marzo da Greenpace, legato all’industria dell’atomo).
“La bozza pubblicata da Contexte mostra come la Commissione europea stia abbandonando ogni impegno nel far avanzare il Green deal europeo attraverso le regole sulla finanza sostenibile – commenta Ariadna Rodrigo, portavoce di Greenpace per la ripresa verde dell’Ue –. La tassonomia dell’Ue avrebbe dovuto essere il gold standard degli investimenti verdi, ma sembra destinata a diventare un esercizio di greenwashing”. “La Commissione si è di fatto arresa alle lobby e ai Paesi conservatori in maniera inaccettabile. A questo punto è meglio nessuna tassonomia. Se il testo non verrà migliorato, causerà danni irreversibili alla credibilità dell’intero Green deal”, replica Sebastien Godinot, economista e responsabile della finanza sostenibile dell’ufficio delle politiche europee del Wwf. Lo sgomento è stato collettivo: 226 tra scienziati, istituzioni finanziarie, associazioni e ong si sono immediatamente rivolti a von der Leyen con un’accusa precisa: così formulata, la tassonomia contiene “affermazioni infondate e in contrasto con la scienza del clima”.
Le tappe della tassonomia verde Ue
A marzo 2018 la Commissione europea ha lanciato il proprio Piano d’azione per una finanza sostenibile, consapevole che per contrastare il cambiamento climatico è necessario reindirizzare i capitali pubblici e privati. Il primo passo è stato affidato a un gruppo di 35 esperti tecnici (Teg) chiamati a fornire raccomandazioni per individuare le attività economiche in grado di contribuire agli obiettivi del Green deal. Il report finale del loro lavoro è stato pubblicato a marzo 2020. La priorità, spiega il report, è stata data ai “settori responsabili del 93,5% delle emissioni dirette di gas a effetto serra nell’Ue”: dall’agricoltura al settore manifatturiero, dall’information and communications technology (Ict) ai trasporti.
La seconda tappa è stata l’approvazione a giugno 2020 del regolamento Ue sulla tassonomia con cui l’Europarlamento ha fissato sei obiettivi ambientali: mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, uso sostenibile e protezione delle risorse idriche e marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento, protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. Un’attività economica è considerata sostenibile se contribuisce ad almeno uno degli obiettivi senza danneggiare gli altri (do no significant harm principle).
Per dare sostanza ai primi due obiettivi servono gli atti delegati in cui inserire i criteri tecnici di screening per definire a quali condizioni un’attività possa essere definita sostenibile. Per farlo, il primo ottobre la Commissione ha creato la Piattaforma per la finanza sostenibile, un organo consultivo composto da esperti e che ha sostituito il Teg. Dopo la scrittura di una bozza e l’apertura di una consultazione pubblica chiusasi il 18 dicembre con oltre 46mila commenti, gli atti delegati avrebbero dovuto essere pubblicati a fine 2020, ma dieci Stati (Bulgaria, Croazia, Cipro, Repubblica Ceca, Grecia, Ungheria, Malta, Polonia, Romania e Slovacchia) ne hanno ottenuto il rinvio. La Commissione ha quindi chiesto ai propri consulenti di rielaborare le regole sulla tassonomia, arrivando così alla seconda bozza, quella pubblicata da contexte.com e che ha fatto insorgere scienziati, ong e ambientalisti. Una terza proposta da parte della Commissione è attesa ora entro il 21 aprile, dopodiché la palla passerà a Europarlamento e Consiglio europeo. Con il primo gennaio 2022 diventerà infatti operativo il primo blocco di criteri tecnici di selezione.
Politica vs. scienza
Uno degli aspetti più criticati della bozza di tassonomia proposta dalla Commissione riguarda l’inclusione del gas tra le fonti energetiche al centro della transizione ecologica. In base alla prima elaborazione dei criteri tecnici, il gas era stato escluso dai combustibili di transizione: la soglia di emissioni fissata per ottenere l’etichetta verde era così bassa (100 grammi di CO2 equivalente per chilowattora) da escludere dagli ingenti finanziamenti europei praticamente tutte gli impianti ad oggi esistenti. Un grosso problema per quegli Stati – in primis i Paesi dell’Europa dell’Est – che ancora oggi basano la propria produzione di energia sulle centrali elettriche a gas. Così le pressioni degli Stati di cui sopra e della lobby del gas hanno portato alla scrittura di una seconda versione che rende possibile la sostituzione entro il 2025 di un vecchio impianto fossile a elevate emissioni di anidride carbonica con uno della stessa capacità ma che consenta di tagliare di almeno il 50 per cento le emissioni emesse per ogni chilowattora prodotto.
L’altra questione scottante, emersa più di recente il seguito al report del Joint research centre (Jrc), riguarda il nucleare. A marzo 2020 il Teg aveva espresso un chiaro parere negativo riguardo alla sua possibile inclusione nelle attività definite sostenibili dalla tassonomia, non tanto per le emissioni di CO2 prodotte (molto basse), ma per l’impatto ambientale legato allo smaltimento dei rifiuti radioattivi. Ma dopo nuove pressioni, la Commissione europea ha chiesto un nuovo parere allo Jrc che ha di fatto riaperto la strada all’industria dell’atomo.
Ma gas e nucleare non sono gli unici aspetti problematici dell’ultima versione della tassonomia verde firmata Ue. Secondo nove scienziati della Piattaforma per la finanza sostenibile, anche icriteri forestali e bioenergetici sono in contraddizione con la scienza del clima. “Questo testo dà carta bianca a un intero settore, quello della gestione forestale. Ogni impresa che in Europa si basa sullo sfruttamento delle foreste risulterà dare un contributo significativo alla mitigazione del cambiamento climatico senza danni per la biodiversità – spiega Ariel Brunner, uno dei firmatari dell’appello, nonché responsabile delle politiche di BirdLife Europa e Asia centrale –. Per esempio, ogni appezzamento inferiore ai 25 ettari è escluso dall’analisi dei benefici climatici e viene considerato sostenibile per definizione. Ma 25 ettari è il doppio della dimensione media delle proprietà forestali nel continente. La gestione sostenibile delle foreste è poi lasciata nelle mani della legislazione nazionale, ma la tassonomia era pensata per indirizzare tutti verso le migliori pratiche, non per rispettare le leggi nazionali. È il risultato della pressione dei Paesi del Nord Europa, Svezia e Finlandia in primis”.
Basta scorrere la tabella inserita nell’analisi congiunta pubblicata a inizio aprile da ong ed esperti della Piattaforma, per rendersi conto a colpo d’occhio del peggioramento dalla versione di novembre a quella trapelata a marzo:
“Questa tassonomia non è allineata con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Abbiamo problemi con [CONTINUA A LEGGERE SU LA VIA LIBERA]