Sapevamo di correre questo rischio. Appena scemato l’allarme pandemia, in concomitanza con le prime riaperture e al termine dell’anno scolastico, puntuale si presenta la possibilità dello sgombero dei 105 nuclei familiari abitanti in viale del Caravaggio.
La data dell’11 giugno come termine ultimo per liberare lo stabile di proprietà della famiglia Armellini, produce un’accelerazione che merita l’attenzione dell’intera città. Eravamo soltanto all’inizio (e non certo per scelta o indisponibilità nostra) di un dialogo sul tema delle soluzioni per le famiglie residenti nel palazzo occupato per necessità. Si era avviata faticosamente, anche per la poca disponibilità al confronto dimostrata dall’assessora Vivarelli, una trattativa con la Regione Lazio e il Municipio VIII come interlocutori interessati ad ascoltare le ragioni del Movimento per il Diritto all’Abitare, ma ora alla luce dei tempi dettati da Piantedosi, cosa accadrà? Sarà praticabile una corsa contro il tempo per trovare un alloggio adeguato a tutti i nuclei familiari? Questa domanda è legittima perché proprio nel momento in cui si avvia un lavoro per trovare una soluzione adeguata per tutti e tutte, dettare tempi ultimativi appare come un intervento a gamba tesa generando nuove tensioni che andavano evitate. I sospetti sono veramente tanti, e più scriviamo più ne nascono e si accumulano. Certamente, avevamo già colto col tentativo di sgombero mascherato da censimento dell’occupazione di Valle Ri-Fiorita l’incongruenza tra la realtà dei fatti e quanto dichiarato dallo stesso Prefetto solo poche settimane fa, ossia che l’uso della forza e le fughe in avanti fossero una sconfitta per le istituzioni.
Non lasciamo prevalere questa logica. La stessa che può condannare allo sfratto o allo sgombero migliaia di persone. Figure come Yoidanis e i suoi figli, difese solo dai picchetti solidali e alle quali si offrono centri di accoglienza e separazione del nucleo.
Roma non può permettere che si ripeta un’altra Cardinal Capranica, un’altra Cinecittà o un’altra Piazza Indipendenza, né che si consumi l’ennesima campagna elettorale consumata sulla pelle delle persone più povere. Non possiamo accettare che dopo un anno e mezzo di pandemia, in cui ci è stato ripetuto fino alla nausea “Restate a Casa”, ci si predisponga a buttare in strada 105 nuclei familiari, 380 persone, 80 bambini e bambine non appena si chiuderanno i cancelli delle scuole. Ancora una volta, come accaduto due anni fa quando le sirene di sgombero sembravano ormai imminenti, chiediamo a questa città di non abdicare alla propria tradizione di solidarietà e di aggregazione sociale, e di fare proprio il destino di ognuna delle famiglie che vivono a viale del Caravaggio 105. Difendere Caravaggio significa difendere ogni spazio, sociale abitativo: lo diciamo non solo alla luce degli sgomberi del Cinema Palazzo e di Santa Maria della Pietà, ma a partire dalle ulteriori affermazioni del Prefetto che, senza tanti giri di parole, ha confermato che Caravaggio sia solo l’inizio di una serie di sgomberi che arriveranno nelle prossime settimane e mesi. È dunque compito della città nella sua interezza impedire con ogni mezzo necessario che una nuova ferita sia inferta a questa città, che si consumi l’ennesimo sfregio con tanto di emorragia finale di democrazia.