La salute mentale non è mai messa a dura prova come durante la pandemia che ha amplificato e fatto esplodere problemi preesistenti
Di Gabriele Cruciata – 4 giugno 2021 – La via libera
Tommaso ha 24 anni ed è un precario. Unisce lavori a progetto allo studio universitario, rincorrendo mese per mese un’indipendenza economica che gli consenta di pagarsi l’affitto di una stanza e la spesa. “Guadagno ancora troppo poco per aprirmi una partita Iva, ma più o meno riesco a stare in bilico”, racconta. Ma la pandemia ha messo a dura prova i suoi piani e con essi anche la sua salute mentale. “Il lockdown ha portato via i rapporti umani sia dal mio studio, sia dal mio lavoro, che si basano entrambi sulla socialità – spiega il 24enne che è andato via da casa dei propri genitori alla fine del primo periodo di isolamento –. Il secondo ha poi rallentato molti progetti lavorativi che avevo in cantiere, mettendomi addosso molta paura di non riuscire più a stare a galla”.
Anche se spesso sottaciute, storie come quella di Tommaso sono piuttosto comuni. La pandemia ha infatti aperto a una crisi diffusa della salute mentale, mai messa a dura prova in modo così diffuso prima d’ora. Gli esperti sostengono che – come sempre accade in psicologia – non c’è mai un’unica ragione alla base di un disturbo psicologico, ma la pandemia ha creato le condizioni affinché molti problemi preesistenti si amplificassero fino ad esplodere.
L’anno dell’ansia
Lo psicologo Michele Abbruscato dice a lavialibera che il 2020 è stato caratterizzato da un aumento sensibile di disturbi legati all’ansia e al panico. Poco prima dell’inizio della pandemia, Abbruscato ha fondato insieme ad alcuni suoi colleghi l’associazione linea-menti, che tra i propri obiettivi aveva quello di creare una linea telefonica di emergenza psicologica attiva 24 ore al giorno. La linea – pensata prima della pandemia e che rimarrà attiva anche quando il Covid-19 finirà di essere un problema – si è trovata ben presto a gestire un flusso interminabile di telefonate. “Più della metà delle chiamate ricevute nel 2020 riguardano l’ansia – afferma Abbruscato –. Ci siamo preoccupati anche di una forte presenza di depressione, difficoltà relazionali e abuso di sostanze, soprattutto durante il periodo del lockdown”.
Tommaso racconta che le difficoltà economiche e sociali del secondo lockdown lo hanno fatto sprofondare in una sensazione di costante indolenza. “Mi sentivo apatico. La mattina era difficile alzarsi dal letto e farsi una doccia. Nel frattempo la stanza intorno a me diventava sempre più disordinata, aumentando la mia apatia”.
Dopo alcuni mesi di malessere, a inizio 2021 Tommaso ha deciso di rivolgersi a un consultorio per ricevere assistenza psicologica gratuita. Ben presto ha scoperto di trovarsi nelle fasi iniziali di una parabola depressiva scatenata dall’assenza di relazioni umane e dalle preoccupazioni lavorative ed economiche, peraltro accentuate da due mesi di malattia molto debilitante che gli hanno reso impossibile sia lo studio, sia il lavoro. “Ci sono stati alcuni incontri di racconto e introduzione, e solo dopo siamo passati all’affrontare i problemi in profondità. È stato difficile, ma mi ha aiutato molto”.
Depressione e trauma
Se il 2020 è stato un anno segnato da una forte presenza di ansia, il 2021 sembra star vedendo una prevalenza di depressione e sintomi post-traumatici. “All’inizio dell’anno scorso tutto era nuovo e tutto ci faceva paura – spiega Abbruscato –. C’erano i bollettini quotidiani delle vittime, il nemico era invisibile e poco conosciuto, c’era confusione comunicativa ed eravamo obbligati a stare in casa. Tutto questo ha generato paura, ansia, panico”. Vari studi hanno dimostrato che i soggetti più esposti alle conseguenze psicologiche della pandemia sono stati i soggetti che già in precedenza erano più fragili. Disoccupati, lavoratori precari, tossicodipendenti, ma anche giovanissimi rispetto agli adulti e donne rispetto agli uomini. Di fatto, il Covid-19 è diventato un moltiplicatore di fragilità.
Ma con la normalizzazione dell’emergenza lo scenario cambia. “Oggi assistiamo sempre più a casi di depressione causata dalla perdita del lavoro, dalla difficoltà nella gestione dei lutti e dall’inerzia della vita nella pandemia. E poi c’è il problema della gestione del trauma”, aggiunge Abbruscato.
La sindrome della guerra
Uno dei disturbi che gli psicologi inseriscono nello spettro dell’ansia è la sindrome da stress post traumatico, spesso noto con l’acronimo inglese Ptsd (post-traumatic stress disorder). È la sindrome di chi ha vissuto un forte trauma e tende dunque a riviverlo spesso, facendo incubi o avendo visioni, ed è spesso associata ai militari che sono andati in guerra e ai sopravvissuti a violenze sessuali. Nei casi più acuti bastano pochi stimoli esterni – come ad esempio un rumore o una voce o uno scoppio – per far ripiombare la persona davanti al trauma che ha vissuto.
Al Ptsd sono associati attacchi di panico, abuso di sostanze e pensieri suicidi. “Possiamo dire che il Ptsd post-pandemico sia un’altra epidemia – illustra lo psicologo –. All’inizio della pandemia sembrava di vivere in guerra. Ad oggi abbiamo avuto più morti per Covid-19 di quelli caduti durante la guerra in Vietnam, e decine di migliaia di famiglie hanno dovuto elaborare un lutto senza poter assistere i propri cari né poter fare un funerale in tempi ragionevoli. E tutto questo è un forte trauma che può causare stress”.
La diffusione del Ptsd potrebbe spiegare l’incremento nel consumo di alcol, droghe e psicofarmaci registrato da inizio pandemia, anche se è ancora presto per avere dati sufficienti per affermarlo con certezza. Nonostante l’insorgenza di depressione e Ptsd, comunque, nel 2020 l’Italia non ha riscontrato un aumento nel numero di suicidi, come invece era stato previsto. In compenso però sembrano essere aumentati presso la popolazione giovane: oggi in Italia sono la seconda causa di morte nell’età compresa tra i 10 e i 25 anni, e con la pandemia sono aumentati del 20%.
Gli “eroi” dimenticati
Anche il personale sanitario è molto esposto al problema, specie nei casi degli operatori del 118. Alessandra Schiavoni, psicologa attiva a Firenze che segue molti infermieri, dichiara a lavialibera che “nell’ultimo anno e mezzo gli infermieri si sono trovati a dover lottare contro un nemico invisibile e con armi spesso spuntate. Sono stati descritti ovunque come eroi, ma nei fatti sono stati abbandonati a loro stessi”.
La totale ignoranza iniziale verso il virus ha obbligato gli operatori sanitari a lavorare nell’incertezza. “Gli infermieri erano tenuti a entrare nelle case degli ammalati senza sapere bene come trattare i positivi. Dovevano intervenire indossando tute pesantissime, con varie mascherine che accorciavano il fiato e con la paura di diventare loro stessi veicolo di malattia per altri pazienti o per i propri familiari – dice Schiavoni –. Chiunque li conosca sa che gli infermieri sono persone con un forte spirito di servizio e uno spiccato senso pratico, ma questo non significa che dovessero essere lasciati senza protocolli, senza strumenti e senza i mezzi per gestire stress e traumi”.
Tutto questo ha generato sia burnout (cioè esaurimento dovuto al contesto lavorativo), sia traumi diffusi. “Seguo molti infermieri, e quasi tutti hanno mal di testa, mal di stomaco, distacco emotivo e si sentono demotivati. Spesso hanno disturbi del sonno e hanno conflitti relazionali in casa perché si sono portati lo stress dentro casa”, sostiene Schiavoni.
La paura del veicolo
Anche Tommaso racconta che la paura di… [Continua a leggere su La via Libera]
Se sei in una situazione di emergenza chiama il 118. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 199 284 284 oppure via internet da questo link, tutti i giorni dalle 10 alle 24.
Puoi anche chiamare i l’associazione di volontari Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.
La linea telefonica di emergenza dell’Associazione linea-menti è attiva h24, 7 giorni su 7, gratuitamente. Il numero è 011 19.62.02.22
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