I think tank Ecco, E3G e Wuppertal Institut hanno realizzato un sito ad hoc con analisi dettagliate dei piani nazionali di ripresa dal punto di vista dell’attenzione alla transizione ecologica. Molti degli investimenti che l’Italia ha presentato come funzionali alla decarbonizzazione potrebbero avere un impatto addirittura negativo. Per esempio si favoriscono le infrastrutture per il gas. Nel mirino anche il Superbonus: per ottenerlo basta che la prestazione energetica dell’immobile migliori di due classi. Francia e Spagna hanno progetti simili, ma con condizionalità più severe
Di Chiara Brusini – 7 giugno 2021 Il Fatto Quotidiano
Il Recovery Plan italiano è il più avaro, tra quelli dei grandi Paesi europei, per quota di risorse dedicate a obiettivi davvero green: solo il 16%. E si scende al 13% se si considera l’intero pacchetto di interventi per la ripresa, compresi quelli finanziati con il fondo complementare. Questo a fronte di un 38% di risorse complessive destinate alla transizione verde dalla Germania, 23% dalla Francia e 31% dalla Spagna. A fare i calcoli ed esprimere un giudizio decisamente severo sul Pnrr del governo Draghi sono i think tank Ecco, E3G e Wuppertal Institut, che hanno realizzato un sito ad hoc – battezzato Green recovery tracker – con le analisi sui piani nazionali di 17 Stati europei dal punto di vista dell’attenzione all’obiettivo della transizione ecologica. Per il quale, stando alle linee guida della Commissione, ogni Stato dovrebbe impiegare almeno il 37% dei fondi che riceverà da Bruxelles. Secondo Matteo Leonardi, co-fondatore di Ecco, “il carisma di Draghi in Europa permette di fare questo. Ma un buon piano per l’Europa non è un buon piano per il clima in Italia“.
L’analisi sull’Italia: il piano strizza l’occhio al gas, troppo poco per le rinnovabili – Passiamo all’Italia: il report sulla Penisola spiega che molti degli investimenti etichettati come verdi dal governo “appaiono insignificanti rispetto alle necessità legate a una transizione alla neutralità climatica che coinvolga l’intera economia”. I problemi individuati dai ricercatori sono tanti: “Manca un supporto appropriato per pilastri cruciali, come l’espansione della generazione di energia da rinnovabili e infrastrutture sostenibili per la mobilità“. E ancora: “Il piano e le riforme connesse favoriscono le autorizzazioni delle infrastrutture per il gas, mentre non spingono l‘elettrificazione dei consumi finali di energia (l’aumento della quota di consumi coperti con l’energia elettrica in vista della decarbonizzazione, ndr)“. Così “c’è il rischio che una quota relativamente alta di fondi sia allocata a progetti legati a biometano e idrogeno, attribuibili al settore del gas. In alcuni casi attività legate al gas fossile potranno accedere direttamente alle risorse del recovery, per esempio attraverso l’inclusione negli investimenti per l’efficientamento energetico dei boiler a gas o il supporto per i bus alimentati a gas, cosa che comporta un rischio di creare un’inerzia che rallenterà la transizione”.
Il superbonus 110% “non prevede sufficienti condizionalità” – Tenendo conto di tutti questi aspetti, i think tank hanno calcolato con il metodo che sarà usato dalla Commissione (cioè “pesando” i progetti per il contributo effettivo che daranno alla transizione) l’ammontare di risorse che può effettivamente essere considerato green spending. Su 235 miliardi complessivi la quota si ferma al 13% (19 miliardi), mentre un altro 28% (66,7 miliardi) andrà a interventi che avranno probabilmente un impatto sul clima, ma per i quali risulta impossibile determinare la direzione di quell’impatto. Come dire che potrebbero anche andare a discapito dell’ambiente. E tra questi c’è pure il superbonus del 110% che assorbe ben 18 miliardi ma non prevede “sufficienti condizionalità”: per ottenerlo basta che la prestazione energetica dell’immobile “migliori di due classi”. Visto che in Italia la classe energetica più diffusa è la G, significa passare alla E, con una riduzione dei fabbisogni energetici davvero limitata. Per di più si ammettono al bonus “investimenti in sistemi di riscaldamento alimentati da fondi fossili”
L’efficientamento delle scuole? “Riguarda 195 edifici su 32mila” – L’analisi passa in rassegna molti altri punti deboli. L’obiettivo di ridurre le emissioni del 51% entro il 2030 rispetto al 1990 “è solo menzionato nel Piano e non è un target nazionale ufficiale di decarbonizzazione”. Sulle rinnovabili “manca ambizione”, le misure sono “frammentate e non inserite in una strategia complessiva”. Tra il resto, “il supporto per il solare fotovoltaico è limitato ai Comuni con meno di 5mila abitanti e non accompagnato da riforme” e “non ci sono risorse o riforme per sviluppare lo storage di energia, nonostante il target di sviluppare 10 Gw di capacità di stoccaggio”. Inoltre “non c’è una strategia di efficientamento per il settore pubblico e il progetto di miglioramento dell’efficienza delle scuole comprende solo 195 edifici su 32mila“. Il Green recovery tracker critica infine le semplificazioni degli iter di autorizzazione che, per come sono state scritte, rischiano di “favorire soprattutto le centrali a gas” nonostante “il picco di domanda – 58,8 GW – sia già significativamente più basso rispetto alla capacità della rete attuale”. Non solo: la riforma “rilassa le regole dei processi autorizzativi per reti ferroviarie ad alta velocità, idrogeno e biometano“. E “ci sono preoccupazioni sul fatto che questo possa indebolire disposizioni importanti per la protezione ambientale”. Che dovrebbe essere la stella polare dell’intero piano.