di Ilaria Sesana —
Se venisse recuperata l’intera quantità di tasse non pagate nel corso del 2020 da multinazionali e singoli individui, la cifra sarebbe sufficiente a vaccinare tutti gli abitanti della Terra contro il Covid-19. Non una, ma tre volte. Secondo le stime di Tax Justice network -che martedì 16 novembre ha presentato l’edizione 2021 del report “State of Tax Justice”- gli Stati stano perdendo un totale di 483 miliardi di dollari all’anno in tasse non pagate da parte di società multinazionali e singoli cittadini super-ricchi. Un piccolo club di Paesi ricchi -denuncia il network per la giustizia fiscale- attraverso il controllo de facto sulle regole fiscali globali è responsabile della maggior parte delle perdite fiscali subite dal resto del mondo. Una situazione che penalizza in modo particolare i Paesi a basso reddito.
La stima dei 483 miliardi di dollari tasse perse ogni anno è stata elaborata da Tax Justice sulla base dei dati pubblicati dall’Ocse (l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Di questi, 312 miliardi di dollari derivano dai meccanismi di elusione fiscale messi in atto da imprese e multinazionali che trasferiscono la propria sede fiscale in Paesi a fiscalità agevolata. La restante quota -171 miliardi di dollari- riguarda le tasse non pagate da singoli cittadini che riescono a nascondere al fisco le proprie ricchezze personali grazie al ricorso a paradisi fiscali.
I principali responsabili di questa situazione sono proprio i Paesi dell’Ocse definiti da Tax Justice “un piccolo club di Paesi ricchi, il principale regolatore della fiscalità globale”. Nonostante gli impegni presi nel corso degli anni per contrastare gli abusi fiscali, i Paesi del “club” sono responsabili del 78% delle perdite fiscali che gli Stati di tutto il mondo subiscono ogni anno, facilitando la “consegna” di 378 miliardi di dollari all’anno dalle casse pubbliche alle tasche di multinazionali e super-ricchi.
Tra i Paesi del “club”, il principale responsabile è il Regno Unito con oltre un terzo (il 39%) delle perdite fiscali globali “che facilita attraverso una rete composta da territori britannici d’oltremare come le isole Cayman, dipendenze della Corona come Jersey e la città di Londra”. Il Regno Unito e i territori britannici, assieme ai Paesi Bassi, al Lussemburgo e alla Svizzera sommati tra loro sono responsabili di oltre la metà delle perdite fiscali globali (55%) pari a circa 258 miliardi di dollari l’anno. “Nonostante le enormi perdite fiscali causate da questi Paesi -annota Tax Justice- nessuno appare sulla lista nera dei paradisi fiscali stilata dall’Unione europea. La manciata di nazioni, per lo più piccole isole, inserite nella lista nera dell’Ue sono responsabili dell’1,1% degli abusi fiscali globali”.
Le conseguenze di questa situazione e l’incapacità dei governi di contrastarla “contribuisce a ridurre le entrate fiscali e a indebolire i servizi pubblici, incoraggiando invece sistemi di tassazione più regressivi”, denuncia Tax Justice. In termini assoluti, l’elusione e il ricorso ai paradisi fiscali, colpisce soprattutto i Paesi a più alto reddito che si vedono “sottratte” quote maggiori di risorse (443 miliardi di dollari l’anno) che però rappresentano una quota relativamente ridotta delle loro entrate (circa il 9,7% del budget per la sanità pubblica). Per contro, i Paesi più poveri si vedono sottratte meno risorse (circa 39,7 miliardi di dollari) ma “perdono quasi la metà (il 48%) dei loro budget destinati al sistema sanitario. E, a differenza dei Paesi membri dell’Osce, non hanno alcun peso nella definizione delle regole della finanza globale che continuano a permettere questi abusi”.
Chi viene penalizzato da questa situazione -anche nei Paesi ricchi- sono le persone più fragili e più povere, in particolare coloro che appartengono alle minoranze e “affrontano disuguaglianze intersezionali -anche per genere, disabilità, razza e identità indigena”. Questi meccanismi, inoltre, hanno gravi conseguenze anche sul rispetto dei diritti umani: la segretezza finanziaria che facilita gli abusi fiscali transfrontalieri da parte di multinazionali e individui ricchi, fornisce le condizioni ideali per movimentare denaro derivante da attività illecite come il riciclaggio di denaro derivante dal traffico di armi o di droga. “Il continuo fallimento nel contrastare i flussi finanziari illeciti, o anche solo di riconoscerli come una minaccia importante, ha minato i diritti umani in tutto il mondo per decenni”, sottolinea il report di Tax Justice.
“Per affrontare la disuguaglianza globale, dobbiamo affrontare la disuguaglianza di potere sulle regole fiscali globali. Le regole su dove e come le multinazionali e i super ricchi pagano le tasse devono essere stabilite all’Onu all’interno di un processo chiaro e democratico, non a porte chiuse, all’interno di un piccolo ‘club’ di Paesi ricchi”, denuncia Dereje Alemayehu, coordinatore esecutivo della Global alliance for Tax Justice.
Oltre a rilanciare l’appello affinché le regole della finanza globale vengano definite all’interno delle Nazioni Unite, Tax Justice lancia due raccomandazioni ai governi. La prima: istituire una “tassa sui profitti in eccesso” legati alla pandemia da Covid-19. “Questo assicurerebbe che aziende come Amazon -che ha beneficato enormemente dalla chiusura dei negozi fisici, dettata dall’esigenza di tutelare la salute pubblica- dovrebbero essere obbligate a restituire fino al 100% di queste rendite non dovute: cioè profitti ingiustificati che sono il risultato del loro potere monopolistico”, si legge nel report. La seconda raccomandazione è quella di inserire una tassa sulla ricchezza (wealth tax) che vada a colpire il vertice della piramide della ricchezza: i super-ricchi che, grazie a politiche fiscali accomodanti, riescono a pagare poche tasse.
I paradisi fiscali sottraggono al mondo 483 miliardi di dollari all’anno