Un mondo più diseguale, inquinato, armato

di Sergio Segio

Il 2021, come già l’anno precedente, ha visto crescere sensibilmente diseguaglianze, povertà, emergenze climatiche, violazione di diritti, oltre che, specificatamente, l’insieme di questioni legate alla pandemia da coronavirus, che a loro volta rimandano e anche direttamente derivano da quelle stesse problematiche sociali e ambientali.

Il 19° Rapporto sui diritti globali (Futura editore per l’edizione italiana e Milieu per quella internazionale in lingua inglese), curato dall’Associazione Società INformazione e promosso da Fight Impunity, lo documenta con la consueta articolazione dell’analisi e dei dati in macro-temi intrecciati tra loro, nella prospettiva e con l’originale approccio, appunto, dei diritti globali: i diritti economici e del lavoro, quelli sociali e ambientali, per arrivare ai diritti umani e civili.

Ne risulta che l’emergenza pandemica è stata utilizzata da molti esecutivi e da poteri sovranazionali per ridurre gli spazi democratici, per deresponsabilizzare o estromettere i parlamenti, per reprimere il dissenso, per varare leggi d’eccezione, per sperimentare nuove tecniche e tecnologie di controllo sociale. In definitiva, per rafforzare i poteri del “complesso industrial-militare-finanziario”, che guida il mondo al posto dei governi – o provvisoriamente dentro di essi – e grazie alla loro acquiescenza e a un sistema di “porte girevoli” tra esecutivi e consigli di amministrazione delle corporation. E basti qui vedere come tra i beneficiari di risorse e stimoli per la ripresa ci siano anche le fabbriche di armamenti. O come le compagnie dei combustibili fossili stiano muovendo nella stessa direzione e con il medesimo intento predatorio, ora grazie anche alla tassonomia proposta dalla Commissione Europea che contempla il gas naturale e il nucleare tra le fonti di energia definite sostenibili e utilizzabili nella transizione. Un ritorno al passato e un’operazione di greenwashing favoriti dal fallimento della COP26 di Glasgow.

Il tempo è stato lasciato scadere

Quella Conferenza di novembre 2021 era stata considerata e indicata come l’ultima, tardiva, opportunità per un radicale cambio di rotta: «non c’è più tempo» avevano argomentato da tempo le migliaia di scienziati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change e ribadito per le strade i milioni di giovani attivisti e ambientalisti con Friday for Future ed Extinction Rebellion. Il tempo è stato invece lasciato colpevolmente scadere. Quel cambiamento radicale è stato ancora una volta posticipato; peraltro, avvertono gli scienziati, ormai non è più in grado di bloccare e revertire il riscaldamento globale ma solo di mitigarne gli effetti.

Si tratta di un fallimento gravissimo e irresponsabile ma non inaspettato, dato che la potenza massicciamente presente a quel vertice mondiale è stata, giustappunto, quella delle corporation del fossile, che hanno portato a Glasgow ben 503 rappresentanti, i quali hanno attivamente ed efficacemente lavorato al suo svuotamento, assieme a paesi come l’Arabia Saudita, tra i maggiori produttori di petrolio e il primo acquirente mondiale di armi, oltre che patria della violazione dei diritti umani. A ricordarci, di nuovo, chi comanda davvero a livello globale e quanto sia urgente – ma anche qui, in realtà, comunque pericolosamente tardivo – riflettere sulle trasformazioni, crisi e svuotamento della democrazia; un processo di verticalizzazione tecnocratica e oligarchica che la gestione della pandemia ha ulteriormente approfondito e accelerato. E basti qui vedere le dinamiche italiane relative alla elezione del nuovo capo dello Stato.

Il mondo malato

Quello che si affaccia all’anno terzo della pandemia è, insomma, un mondo gravemente malato, vulnerato e privato di diritti, profondamente diseguale.

La pandemia della disuguaglianza, titola Oxfam il suo consueto rapporto di “controcanto” all’annuale assise che a Davos vede riuniti i massimi responsabili di quei distruttivi processi e dei loro tragici effetti. Processi che, dal punto di vista di chi sta in basso della piramide sociale, gridano vendetta e chiedono giustizia. Nei due anni passati la “variante miliardari” ha fatto sì che i dieci uomini più ricchi del pianeta abbiano più che raddoppiato la loro immensa ricchezza, passata da 700 a oltre 1.500 miliardi di dollari. Il capitalismo pandemico, nella sua più aggressiva variante ecocida, sta allargando a dismisura la base di quella piramide, precipitandovi anche quelli che sinora erano riusciti faticosamente a resistere al baratro e al declassamento sociale e, contemporaneamente, a dispetto della geometria, sta allontanando il suo vertice a distanze irraggiungibilmente siderali.

Il nuovo passatempo di quella super-casta, infatti, è quello del turismo spaziale. Attività non certo socialmente e ambientalmente neutra, dato che ogni singolo viaggio determina più emissioni di quelle prodotte dal miliardo di persone più povere del pianeta in un anno. In verità, non si tratta di solo divertimento elitario e di delirio di potenza, e neppure solo di competizione interplanetaria tra colossi – la Space X di Elon Musk, la Blue Origin di Jeff Bezoz, la Virgin Galactic di Richard Branson – propedeutica a un neocolonialismo stellare, ma anche di predisposizione di una via di fuga dall’olocausto ambientale e climatico prossimo venturo che si prepara – col loro robusto contributo – per la Terra.

Le guerre del prossimo futuro

Elon Musk, padrone della Tesla, è attualmente in vetta alle classifiche dei più ricchi del pianeta, grazie al fatto che solo nello scorso anno il suo patrimonio è aumentato di 114 miliardi di dollari, arrivando così al record di 270 miliardi, il che lo rende il più ricco di sempre, assieme a John Davison Rockefeller, che fondò la sua ricchezza sul petrolio nella seconda metà dell’Ottocento.

Nel mentre, anche Apple ha sfondato un nuovo record con una capitalizzazione che già era raddoppiata a due trilioni di dollari nell’agosto 2020 per giungere a tre trilioni nel gennaio 2022. La rapidità di crescita dei profitti non è inferiore a quella della variante Omicron del Covid-19, ma i suoi effetti sono assai più letali e socialmente devastanti.

Chi guarda con scetticismo o incredulità a questi scenari già in atto, sappia che, dall’alto di quella montagna di miliardi, Musk ha di recente annunciato, con un’altra delle sue aziende, la Neuralink, l’avvio dei primi test per l’impianto nel cervello umano di chip interfacciati con i computer, dopo averli in precedenza sperimentati sulle scimmie. La fantascienza, insomma, è da tempo tradotta in realtà e non promette nulla di buono.

La locomotiva – così come riguardo la concentrazione delle ricchezze e il maggior deficit ecologico – sono gli Stati Uniti, con un apparato militare in posizione avanzata nella ricerca riguardo le neuroarmi, le armi autonome letali (Lethal Autonomous Weapons, cosiddetti robot killer) e l’esplorazione spaziale. Apparato che si è espanso a fine 2019 con la istituzione della sesta branca delle forze armate, la United States Space Force, costituita da circa 16.000 uomini. I compiti assegnati sono eloquenti e dovrebbero ancor più preoccupare: tutelare gli interessi americani in orbita e mantenere il predominio statunitense, insidiato dalla Russia e soprattutto dalla Cina, e ancor prima, elaborare una «dottrina militare per il potere spaziale».

Ma se la guerra spaziale e quella condotta attraverso l’intelligenza artificiale non paiono ancora all’immediato ordine del giorno, seppur dietro l’angolo, l’attuale scivolosa ed esplosiva crisi ucraina dovrebbe invece riportare sotto gli occhi del mondo il permanente e rimosso rischio nucleare, anch’esso sostanzialmente oscurato da un uso della pandemia, pur nella sua drammatica e letale realtà, come distrazione di massa.

Pochi sanno che nel maggio 2022 comincerà la produzione su larga scala della nuova bomba nucleare B61-12, con caratteristiche da first strike. Fabbricata negli Stati Uniti ma destinata anche all’Italia, dato che tale ordigno potrà essere montato sui caccia F-35° e immagazzinato nelle basi di Ghedi e di Aviano, dove già sono presenti bombe nucleari, senza che alcun parlamento ne abbia mai potuto discutere. E sempre l’Europa è destinata a essere il – corresponsabile – vaso di coccio nell’escalation dello sciagurato confronto geostrategico in corso tra gli Stati Uniti e la NATO con la Russia.

«Niente tornerà come prima», recitava il mantra ingenuo e autoconsolatorio di inizio pandemia. Va, infatti, constatato che tutto sta andando peggio, mentre un sistema che produce ingiustizie sociali, economiche e ambientali su scala planetaria persevera imperterrito nella sua opera distruttrice ed ecocida.

Il mondo globalizzato del nuovo millennio si è fatto sempre più complesso ma, in fondo e al fondo, la questione rimane sempre quella antica: la divisione ingiusta, profonda e intollerabile tra chi ha ogni cosa e chi è privato di tutto, persino della possibilità di cura e di vaccino, ovvero della vita.

Sergio Segio
Curatore del Rapporto sui diritti globali e direttore di Società INformazione

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