Nelle periferie siciliane, dallo Zen a Palermo al quartiere Librino a Catania, molti giovanissimi frequentano la scuola in maniera irregolare. Un problema di cultura, ma anche una grave mancanza delle istituzioni, incapaci di fornire strutture e un’assistenza adeguate. Il rischio è che possano diventare “manovalanza per le organizzazioni criminali”, denuncia la commissione Antimafia guidata da Claudio Fava
Andrea Giambartolomei – Redattore lavialibera, 12 aprile 2022
In Sicilia il tasso di dispersione scolastica più alto d’Italia, pari al 19,4 per cento. Soltanto il 10 per cento degli alunni ha il tempo pieno a scuola, contro il 16 per cento di Trento e Bolzano, per un totale di quasi 250 ore di lezione in meno ogni anno. Un numero elevato di neet, giovani tra i 14 e i 21 anni che non studiano né cercano lavoro e che rischiano di “alimentare il mercato nero attraverso piccoli lavori nei quali vengono sfruttati, o diventare essi stessi manovalanza per le organizzazioni criminali”, come d’altronde dimostrano alcune recenti operazioni antidroga nelle piazze di spaccio delle periferie di Palermo e Catania con protagonisti giovanissimi spacciatori. È su queste basi che la Commissione d’inchiesta e vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia dell’Assemblea regionale siciliana, guidata da Claudio Fava, ha condotto un’inchiesta sulle condizioni dei minori sull’isola.
Minori vittime di burocrazia e carenze
“Occorre un numero sufficiente di assistenti sociali, i primi ad intervenire nelle situazioni di abbandono della scuola e ad avere i primi contatti con le famiglie; molti hanno invece denunciato la fragilità del sistema dei servizi sociali locali di fronte all’aggressività e alla chiusura di ambienti familiari mafiosi”
I commissari hanno cercato di ricostruire i contesti sociali dei quartieri più disagiati (come lo Zen e lo Sperone a Palermo, Librino a Catania, e altri ancora), ma si sono soffermati sulle “incertezze amministrative e burocratiche nella risposta di sostegno sociale e sanitario”, sulla “perpetua carenza di risorse, la frammentarietà degli interventi, l’assenza di sinergia istituzionale”. Ne è emerso un catalogo di mancanze, malfunzionamenti e sprechi. “Ad arginare un bilancio sostanzialmente negativo resta il lavoro – in alcuni casi quasi eroico – dei presidi scolastici e l’impegno di molte esperienze del terzo settore. Troppo poco”, si legge.
Il numero di operatori sociali a disposizione, spesso, è “irrisorio”: “Occorre un numero sufficiente di assistenti sociali, i primi ad intervenire nelle situazioni di abbandono della scuola e ad avere i primi contatti con le famiglie – si legge nelle ultime pagine del rapporto –; molti hanno invece denunciato la fragilità del sistema dei servizi sociali locali di fronte all’aggressività e alla chiusura di ambienti familiari mafiosi. Sono insomma indispensabili adeguate politiche sociali di prevenzione e di supporto alle condizioni marginali”. Il lavoro dei garanti per l’infanzia – regionale o comunale – è invece ostacolato dall’assenza di fondi e mezzi a disposizione, ma anche dall’inerzia degli uffici pubblici. Nella tutela dei minori, molti sono gli attori in campo, ma ciò che emerge è la mancanza di sinergia tra le istituzioni e gli organismi; con un “garbuglio di previsioni normative (spesso scarne e non sempre coerenti tra loro), protocolli (non sempre applicati), consuetudini istituzionali (non sempre rispettate), intese verbali e volontarismi”.
A dare una grande mano alle istituzioni, non bastano la volontà e gli sforzi delle associazioni del terzo settore (Arciragazzi Sicilia, Libera…) e degli enti ecclesiastici. Gli interventi sono spesso troppo brevi per poter incidere, sottolineano alcune organizzazioni: “Funzionano se sono continuativi – ha detto Carmelo Pollichino, presidente Libera Palermo nel corso della sua audizione –: o noi ragioniamo non su alcuni anni ma sul tempo di vita di questi ragazzi oppure rischiamo di arrivare all’esaurimento dell’attività del progetto nel momento in cui ci sono dei passaggi esistenziali cruciali che non riescono più ad essere seguiti, se non in maniera volontaria, dalle associazioni”. Secondo Annapaola Specchio, responsabile del Dipartimento Povertà di Save the Children, “i progetti brevi in questi contesti non risolvono e non aiutano, c’è bisogno di una programmazione a lungo termine, quindi anche l’immissione delle risorse non deve essere momentanea, ma continuativa. Ricordiamoci però che stiamo parlando anche di Comuni in dissesto finanziario”.
Abbandono scolastico in Italia, la diaspora dei ragazzi fragili
Le condizioni delle periferie siciliane
Il quartiere Zen a Palermo (Wikimedia)”Esiste il fenomeno della frequenza irregolare, vuoi perché hanno delle assenze settimanali fisse, a volte per andare a visitare dei parenti in carcere, perché noi abbiamo un’incidenza di problematiche con la giustizia di circa il 75 per cento”Daniela Lo Verde – Dirigente scolastico istituto “Giovanni Falcone”, Palermo
Ma perché il problema dell’abbandono scolastico è così grave nelle periferie? I commissari hanno cercato di capirlo. Sono spesso quartieri-isole, lontani dal centro non tanto dal punto di vista geografico, quanto esistenziale, quelli presi in esame dalla commissione antimafia. Zone senza servizi, né buoni collegamenti col trasporto pubblico. Luoghi in cui le scuole sono fatiscenti, dove mancano le palestre, gli spazi per fare sport e attività ricreative, e dove – se esistono – le strutture diventano bersaglio di atti vandalici, come successo alle scuole dei quartieri Zen, Sperone e Brancaccio nel 2020.
Qui Palermo
Ma non è soltanto un problema materiale. Nelle periferie c’è anche un problema culturale, con un forte assistenzialismo e una scarsa autonomia. Allo Zen, dice Mariangela Di Gangi, di “Laboratorio Zen insieme”, “non esiste la mafia in senso classico, quella verticistica, organizzata, ma esiste la mentalità del favore che spesso, purtroppo, non rende le persone libere”. “Questo è un territorio molto particolare, segnato negli ultimi sei mesi da tre retate antidroga e che hanno visto, tra l’altro, come ci fosse un pesante coinvolgimento da parte di minori – ha raccontato Antonella Di Bartolo, dirigente scolastico dello “Sperone-Pertini” –. Gli ultimi 57 nomi di arrestati o comunque fermati sono tutte persone che noi conosciamo per essere nonni o genitori o fratelli o madri di alunni nostri o ex alunni nostri”. Daniela Lo Verde, dirigente scolastico dell’istituto “Giovanni Falcone”, sostiene che più che l’abbandono e l’evasione, “esiste il fenomeno della frequenza irregolare, vuoi perché hanno delle assenze settimanali fisse, a volte per andare a visitare dei parenti in carcere, perché noi abbiamo un’incidenza di problematiche con la giustizia di circa il 75 per cento”.
Qui Catania
Librinoè un quartiere della periferia sud-ovest di Catania, costruito negli anni Settanta per volontà della politica democristiana di creare un quartiere modello. Negli anni, però, è divenuto un ghetto in cui si vive un senso di distacco da Catania, ma anche un forte stigma. “Eppure, nonostante l’encomiabile impegno delle scuole presenti sul territorio, Librino resta una delle realtà più disagiate d’Italia. E il rischio di restare sedotti da modelli comportamentali criminali (ne abbiamo ampiamente dato risalto nelle pagine precedenti) è altissimo. Persino per i più giovani”, si legge nel rapporto. A dimostrarlo, alcune indagini sulle piazze di spaccio in cui c’erano giovanissimi pusher di quasi 10 anni d’età. “Qui i ragazzi non vanno a scuola, compiono innumerevoli reati, soprattutto quelli legati allo spaccio di stupefacenti, sotto il controllo delle organizzazioni criminali. Hanno come mito personaggi storici, come Nitto Santapaola”, ha illustrato il presidente del Tribunale per i minori, Roberto Di Bella. A Catania, migliaia di persone, soprattutto in quei quartieri, vivono di reddito di cittadinanza. Così lo scorso 11 febbraio è stato sottoscritto un patto per incentivare le famiglie che percepiscono questo aiuto a mandare i figli a scuola, pena la sospensione del sussidio.
Intervista a Di Bella: Liberi di scegliere, un modo diverso di fare antimafia
Il reclutamento della criminalità
Nelle periferie, ma non solo, “il modello educativo imposto ai figli nell’ambito familiare è sin dall’infanzia impregnato di disvalori criminali o comunque è fortemente condizionato dalla loro influenza”, si legge. È un comportamento definito “familismo criminale” difficile da sradicare e capace di condurre i minori a gesti violenti. Certo, sottolinea la commissione, “resta il fatto che Cosa nostra non ha mai operato una massiccia campagna di reclutamento di minorenni”, ritenuti poco affidabili e quindi potenzialmente pericolosi per l’organizzazione. Eppure non bisogna stupirsi “quando mafie e criminalità avranno vita facile a reclutare, a trasformare adolescenti in carne da cannone, a perpetuare un modello culturale che vede nello Stato (e nelle scuole, e negli assistenti sociali, e nelle caserme dei carabinieri) solo un segno di ostilità”, si legge nelle conclusioni.
Nei confronti di questi giovani “senza identità” a Palermo nel 2011 è stato previsto un intervento specifico: è il progetto “Amunì”: “Noi non abbiamo dalle parti del catanese, agrigentino e palermitano, minori imputati o indagati per 416bis – ha premesso il direttore Ufficio di Servizio sociale per i Minorenni di Palermo, Salvatore Inguì –. Abbiamo molti ragazzi che sono figli, comunque, di genitori che hanno avuto una imputazione e condanna con il 416 bis. I ragazzi che noi stiamo seguendo, figli di questi soggetti, non hanno reati di apparente allarme sociale, di apparente gravità. Noi stiamo cercando, però, di inserire questi ragazzi in un percorso educativo che abbiamo chiamato ‘Amunì’ e che è una esortazione a darsi una mossa. Un percorso fatto dal nostro servizio in collaborazione con alcune associazioni antimafia, ‘Libera’ in particolare, e prevede una serie di attività non giudicate e non giudicanti che consentono al ragazzo di avere un rapporto diretto, per esempio, con i familiari delle vittime innocenti di mafia, con i testimoni di giustizia, con quelle situazioni che forse loro non hanno mai visto e di cui, spesso, non conoscono neanche l’entità e la portata emotiva. Quando questi ragazzi hanno avuto la possibilità di incontrare familiari di vittime di mafia, soprattutto laddove sono donne o bambini o bambine, è evidente che si innesca una capacità di empatia differente, per cui la strage di Pizzolungo raccontato da Margherita Asta (leggi qui l’intervista, ndr) che racconta di quando aveva dieci anni ed era una bambina un po’ più piccola di loro, consente una empatia che questi ragazzi spesso traducono dicendo che “io la mafia non l’avevo mai incontrata’. Ecco, questo è un modello di lavoro che noi stiamo cercando di esportare un po’ su tutto il territorio e so che le colleghe di Messina, le colleghe di Catania, anche loro stanno da tempo lavorando su questo solco che, ripeto, ha dato già buoni frutti da oltre dieci anni”. “Anziché contrapporre in modo diretto i valori dell’antimafia a questa mitizzazione della mafia – ha aggiunto il presidente del Tribunale per i Minorenni di Palermo, Francesco Micela –, si inseriscono questi ragazzi, previa loro richiesta di adesione in laboratori di gruppo nei quali ci sono discussioni, nei quali ci sono proiezioni di film, ci sono racconti…”
La Regione corre al riparo
La Regione Sicilia, nel “Piano straordinario 2021-2023”, ha previsto 32 milioni di euro per la lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa in Sicilia: “Abbiamo speso circa 120 milioni di euro nella lotta alla dispersione scolastica e alla povertà educativa e stiamo lavorando per riproporre le iniziative che hanno consentito risultati significativi, come il tempo pieno per la scuola elementare, il recupero dei ritardi nell’apprendimento, laboratori formativi, tirocini e apprendistato – ha spiegato il presidente siciliano Nello Musumeci –. Partivamo da un tasso di dispersione scolastica del 24,3 per cento e oggi siamo al 19,4 per cento. Questa drastica riduzione, però, non basta. Non siamo ancora soddisfatti, né appagati”. Di quella somma, 15 milioni sono stati destinati a questo intervento di adeguamento delle mense, dei laboratori, delle biblioteche, degli spazi gioco, delle palestre e altri 15 milioni di euro serviranno a potenziare il tempo pieno. Gli ultimi due milioni serviranno per la scuola in estate o le attività extra estive, per recuperare il tempo perso per colpa della pandemia. Il problema, oltre che di risorse, è anche [CONTINUA A LEGGERE SU LA VIA LIBERA]