Il DEF approvato in Parlamento è totalmente inadeguato a rispondere al peggioramento delle condizioni del Paese denunciate dall’ultimo rapporto BES dell’Istat

Il governo Draghi con le sue scelte riafferma la prevalenza del mercato sulla dignità e i diritti delle persone

Il benessere dovrebbe essere l’obiettivo finale delle politiche. L’ultimo rapporto Bes presentato dall’Istat con i suoi 153 indicatori permette di misurare come va la vita in Italia per ciò che riguarda la salute, l’istruzione, il lavoro, i servizi sociali, la formazione, la ricerca, il benessere economico, la qualità dell’ambiente e del paesaggio, l’accesso al patrimonio culturale. Dati e informazioni articolate per età, genere e territorio che consentono di dare una risposta ancora più approfondita alla domanda sulle condizioni di vita reali nel Paese. Quanto emerge dall’ultimo rapporto conferma purtroppo la tendenza sul continuo peggioramento delle condizioni materiali e della qualità della vita già registrato a partire dal 2008, amplificato ulteriormente dalla pandemia e dall’assenza di risposte efficaci della politica economica e finanziaria del Governo.

L’incidenza della povertà assoluta raggiunge il livello più elevato dal 2005, anno di inizio della serie. Riguarda oltre 1 milione 950mila famiglie (7,5%) e più di 5 milioni 500 mila individui. I minori in povertà assoluta sono 1 milione e 384mila. Rispetto al 2020 le famiglie che dichiarano un peggioramento della propria situazione economica aumentano per il secondo anno di seguito, affiancandosi all’incremento delle famiglie che arrivano a fine mese con grande difficoltà. Una quota consistente di famiglie dichiara che il COVID-19 ha comportato una perdita di reddito per il proprio nucleo familiare (32,9%, 32,1% e 28,1%, rispettivamente in Centro, Mezzogiorno e Nord), l’11,3% ha avuto bisogno di ricorrere ad aiuti economici da parte di familiari o parenti – comportamento diffuso più tra le famiglie del Mezzogiorno (12,9%) e del Centro (11,9%) che tra quelle del Nord (9,9%) – e il 9% delle famiglie ha chiesto prestiti o finanziamenti bancari (9,5% al Nord, 9,3% al Centro e 8,1% nel Mezzogiorno).

Non vi è nessuna reale ripresa dell’occupazione. Nel 2021 la crescita dei posti di lavoro ha riguardato esclusivamente dipendenti a termine e collaboratori, soprattutto di breve durata. Aumenta invece il lavoro povero, precario ed insicuro. 

Cresce la percentuale di persone che vivono in grave deprivazione abitativa, cioè in abitazioni sovraffollate o in alloggi privi di alcuni servizi e con problemi strutturali (soffitti, infissi, ecc.). L’Italia scende al quinto posto della graduatoria dei Paesi dell’UE per la peggiore condizione abitativa, superata solo da Ungheria (7,6%), Bulgaria (8,6%), Lettonia (11,5%) e Romania (14,3%).

Aumenta la percentuale di persone che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie ritenute necessarie. Nel 2021 l’11% delle persone che avevano bisogno di visite specialistiche (escluse le visite dentistiche) o esami diagnostici ha dichiarato di averci rinunciato per problemi economici o legati alle difficoltà di accesso al servizio. Al livello regionale, permangono alcune situazioni particolarmente critiche: in Sardegna questa percentuale è pari al 18,3%, con un aumento di 6,6 punti percentuali rispetto al 2019; in Abruzzo si stima al 13,8%; in Molise e nel Lazio al 13,2% con un aumento di circa 5 punti percentuali rispetto al 2019. 

La popolazione femminile è quella che subisce gli arretramenti maggiori, sia nei livelli di benessere mentale che di occupazione, soprattutto per le madri con figli piccoli. Ma sono stati anche i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi a pagare un altissimo tributo alla pandemia e alle restrizioni imposte dalle misure di contrasto. 

Le condizioni di benessere psicologico dei ragazzi di 14-19 anni, nel 2021, sono peggiorate. Se gli adolescenti insoddisfatti e con un basso punteggio di salute mentale erano nel 2019 il 3,2% del totale, nel 2021 tale percentuale è raddoppiata (6,2%); si tratta di circa 220 mila ragazzi che si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico. 

Il tasso di occupazione dei giovani di 25-34 anni, che era già tra i più bassi di tutti i Paesi europei, con una distanza particolarmente ampia per le ragazze, è addirittura peggiorato con la pandemia. Ai giovani più istruiti e qualificati, l’Italia non offre ancora opportunità adeguate. Le emigrazioni all’estero dei giovani laureati italiani si sono intensificate rispetto al 2019, in netta controtendenza rispetto ai trasferimenti di residenza della popolazione nel complesso. Le direttrici principali dei flussi di giovani laureati continuano a essere verso l’estero e dal Mezzogiorno al Centro-nord. Il bilancio delle migrazioni dei cittadini tra i 25-39 anni con un titolo di studio di livello universitario si chiude con un saldo dei trasferimenti di residenza da e per l’estero di -14.528 unità. In particolare, il Mezzogiorno, soltanto nel corso del 2020, ha perso 21.782 giovani laureati. 

L’Italia è al primo posto per presenza di NEET in Europa. Il 23,1% dei giovani tra 15 e 29 anni non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa. Le differenze regionali rimangono elevate e ricalcano la dicotomia Nord-Mezzogiorno. Le regioni con la quota più elevata di NEET sono la Puglia (30,6%), la Calabria (33,5%), la Campania (34,1%) e la Sicilia (36,3%).

Gli effetti si vedono anche sull’istruzione. L’uscita dal sistema di istruzione e formazione è un fenomeno che riguarda più frequentemente dei sottogruppi di giovani che, provenendo da contesti socio-economici più difficili, non riescono ad affrontare i problemi oggettivi riscontrati nell’apprendimento. La quota di coloro che hanno abbandonato precocemente gli studi è più elevata nel Mezzogiorno: sono il 19,5% nelle Isole e il 15,3% nel Sud. In Sicilia, Puglia, Calabria e Campania la quota è particolarmente alta tra i maschi, rispettivamente 24,8%, 19,6%, 18,6% e 18,4%. Peggiorano le competenze dei ragazzi. In alcune regioni del Mezzogiorno i valori evidenziano situazioni di forte criticità con più del 50% dei ragazzi insufficienti nelle competenze alfabetiche (in Campania, 54,1%; Calabria 59,2%; Sicilia 52,8% e Sardegna 56,9%) e più del 60% delle ragazze insufficienti nelle competenze numeriche (in Campania 64,3%; Calabria 68% e Sicilia 63,3%). Se il quadro delle competenze acquisite dai ragazzi appariva già molto compromesso, con la DAD la situazione è peggiorata, nonostante gli sforzi delle scuole, dei docenti e delle famiglie. 

Alla drammatica condizione della qualità della vita nel nostro Paese il governo Draghi non dà risposte concrete, né garantisce investimenti nei settori, territori e fasce di età e popolazione che più avrebbero necessità. Il DEF e le scelte portate avanti con i fondi del PNRR alimentano e sostengono la stessa visione che ha prodotto la crisi e lo stesso modello di sviluppo neoliberista che per ammissione dell’UE è ritenuto insostenibile socialmente e ambientalmente. Purtroppo, dopo quindici anni in cui peggiorano le condizioni di vita, l’incessante richiesta di ritorno alla “normalità” e la brutale semplificazione dettata dall’agenda della guerra, rischiano di determinare una condizione senza ritorno non solo per la maggioranza della popolazione impoverita ma per la democrazia nel nostro Paese. Il DEF e il PNRR del Governo hanno come conseguenza l’aumento delle disuguaglianze e del debito pubblico. 

Per migliorare le nostre vite e rispondere alla crisi di sistema in cui siamo immersi, abbiamo bisogno di una inversione completa di rotta, di un metodo inclusivo e partecipativo e di un radicale ripensamento del modello di sviluppo.

A questo link la sintesi delle nostre richieste e proposte al governo e il nostro punto di vista sul PNRR.

Ufficio Stampa Rete dei Numeri Pari

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