19-05-2022 – di: Tomaso Montanari, Volere la Luna
I nostri valori. Nostri dell’Occidente, si intende. La retorica della guerra ruota tutta intorno a questa formula magica. Siamo in guerra per quelli, ci dicono. Il Corriere della sera scrive che «la resistenza ucraina ha risvegliato i valori occidentali» e Mario Draghi ha detto pochi giorni fa, a Capitol Hill, che siamo di fronte ad «una grande sfida per i valori al centro della democrazia. […] Non è in gioco solo l’integrità territoriale dell’Ucraina, la sua sovranità, la sua indipendenza. Questo è un attacco al sistema internazionale basato sulle regole che abbiamo costruito insieme dopo la Seconda guerra mondiale». Il messaggio è molto chiaro: l’Occidente è il custode non solo dell’ordine mondiale, ma anche della sua etica. La nostra supremazia sull’umanità è implicita. Il nostro interesse è legittimo: chiunque lo minacci non è solo un nemico. È un “cattivo”.
Questa cornice retorica suggerisce che il conflitto in Ucraina non sia un episodio, ma l’inizio di una fase in cui l’Occidente si metta in guerra con il resto del mondo. Il fatto che la maggioranza dell’umanità (guidata da Cina e India) abbia preferito di fatto schierarsi (nel rifiuto delle sanzioni, e nell’opposizione alle inchieste sui crimini di guerra russi) con un tiranno sanguinario come Putin e contro le democrazie occidentali dovrebbe farci capire come siamo percepiti. Del resto, siamo noi ad annunciare guerra al mondo. Su queste pagine, Francesco Pallante (https://volerelaluna.it/commenti/2022/05/11/tra-ideologia-di-guerra-e-politiche-di-potenza/) ha richiamato l’attenzione sulle parole pronunciate dal segretario della Nato Stoltenberg lo scorso 28 aprile: «La Cina per la Nato non è un nemico, ma la sua crescita ha implicazioni per la nostra sicurezza e tutto ciò verrà preso in considerazione dal prossimo piano strategico che gli alleati si daranno a Madrid. […] La Cina non rispetta i nostri valori democratici, investe nella marina e nella tecnologia dei missili ipersonici, si avvicina a noi nell’Artico e in Africa, vuole controllare le infrastrutture tecnologiche come il 5G e ha partnership sempre più stretta con Mosca». Commenta Pallante: «Ecco il problema: anziché starsene buona al posto che noi le abbiamo assegnato, la Cina (ma il discorso vale per qualsiasi potenza non allineata all’Occidente) osa avvicinarsi a noi economicamente, tecnologicamente, militarmente. E, così facendo, insidia la posizione di dominio planetario detenuta dagli Usa e dalla Nato. Autodeterminazione dei popoli, concorrenza di mercato, libertà di scegliersi il proprio sistema di governo? Tutte fandonie, buone a imbonire l’opinione pubblica. Al cuore delle relazioni internazionali vi sono, sempre e soltanto, per tutti gli Stati, politiche di potenza». Uno scenario da incubo: se la guerra Occidente-Russia in Ucraina non sfocia in un olocausto nucleare globale, potrebbe aspettarci una guerra Occidente-Cina.
È allora urgente tirare il freno di emergenza: e quel freno si chiama “pensiero critico”. Questo ospite scomodo, eppure vitale che abita tra i famosi valori occidentali non per difenderli con le armi, ma per rinegoziarli, cambiarli, complicarli, aprirli. Distinguere Europa da America, Nato da Unione Europea, interessi da valori: mai come oggi la distinzione è importante. E ancora di più è la capacità di guardarci da fuori, con gli occhi degli altri: del resto dell’umanità che ci vede (a ragione) come dominatori di un mondo monopolare, cioè appunto sotto il dominio occidentale. Draghi ha parlato più volte del “multilateralismo” che ha fatto grande, in passato, la nostra politica internazionale: oggi la missione del nostro Paese – piantato nel Mediterraneo ai confini dell’Occidente – dovrebbe essere proprio quella, che è il contrario dell’atlantismo che invece Draghi pratica. È papa Francesco – che non per caso non è un occidentale, ma uno che viene «dalla fine del mondo», per dirla con parole sue – a invitarci costantemente a cambiare sguardo. Per farlo, dobbiamo saper ritrovare e ascoltare le tante voci che, nell’Occidente, hanno contraddetto l’immagine Occidente, criticandolo anche in modo aspro.
Nel 1914, per esempio, il grande musicologo francese e premio Nobel per la letteratura Romain Rolland scrisse una serie di riflessioni contro la Grande Guerra, e contro l’ipocrisia della retorica dei valori occidentali, che il lettore italiano di oggi può conoscere grazie a un bel libretto profeticamente comparso nel 2019 (Patrie. Lettere. Tolstoj, Zweig, Rolland e don Milani. Piccola antologia di scritti sul patriottismo con quattro tavole di Frans Masereel, Analogon Edizioni). «Il nemico peggiore – notava – non si trova al di là delle frontiere, esso è all’interno di ciascuna nazione e nessuna nazione ha il coraggio di combatterlo. Questo mostro a cento teste si chiama imperialismo, un orgoglio e una volontà di dominio che vuole assorbire, sottomettere o distruggere tutto, che non tollera alcuna libera grandezza al di fuori di se stesso». Rolland ci guardava da fuori citando le parole che il grande poeta indiano Rabindranath Tagore aveva appena pronunciato a Tokyo sulla civiltà occidentale: «Essa consuma i popoli che invade; stermina o annienta le stirpi che ostacolano la sua marcia di conquista. Una civiltà di cannibali. Opprime i deboli e si arricchisce a loro spese. Col pretesto del patriottismo essa tradisce la parola data, tende senza vergogna i suoi tranelli di menzogne, erige idoli mostruosi nei templi dedicati al Guadagno, il dio ch’essa adora. Ebbene noi profetizziamo che tutto ciò non durerà per sempre…». Rolland sottolineava: «Tutto ciò non durerà per sempre». E chiedeva: «Avete sentito uomini europei? Non tappatevi le orecchie!». Ebbene, vale anche per noi, un secolo dopo: se non vogliamo un futuro di guerra continua, non tappiamoci le orecchie, non copriamoci gli occhi.