Un paese diseguale, impoverito, depresso, immobile, dove il lavoro è per la maggioranza precario, povero, non pagato e un ragazzo su tre ha smesso di cercarlo, non studia e non è in formazione. Senza la nostra azione, il nostro impegno, le nostre competenze, la nostra passione, non c’è nessuna ripresa ma solo peggioramento delle nostre condizioni materiali ed esistenziali e declino della democrazia.
Di Giuseppe De Marzo – 27 maggio 2022 | CRS
Nella storia della Repubblica non abbiamo mai vissuto una situazione così grave. Disuguaglianze, povertà, precarietà, sfruttamento lavorativo, dispersione scolastica e analfabetismo di ritorno continuano a crescere da troppi anni per non accorgerci di quanto siano drammatiche le condizioni in cui vivono la maggioranza degli italiani. Una condizione che ferisce nel profondo la democrazia e rafforza scorciatoie, corruzione e mafie, sempre più presenti nei territori e nell’economia cosiddetta legale. Questo racconta la crescita senza precedenti dei reati spia dopo due anni di pandemia: operazioni finanziarie sospette, interdittive antimafia, truffe, frodi e delitti informatici, cambi di assetti societari, riciclaggio, usura. La pandemia ha evidenziato la fragilità del nostro sistema produttivo, della filiera energetica e di un modello di welfare cronicamente sottofinanziato, a macchia di leopardo, che scarica il peso del lavoro di cura sulle donne. Manca una politica economica e industriale che abbia come obiettivo la creazione di posti di lavoro degni e di qualità, un’offerta coerente di servizi sociali, il reddito minimo garantito per coloro che sono sotto la soglia del 60% del reddito mediano e la garanzia del diritto all’abitare. Sono quelli che l’Europa definisce “pilastri sociali” da confermare e promuovere in ogni paese dell’Unione per garantire a tutti e tutte l’intangibilità della dignità umana che rappresenta la cifra della civiltà europea.
Manca una visione politica che sappia mettere finalmente insieme giustizia sociale, ambientale ed ecologica, rispondendo all’urgenza di un nuovo paradigma di civilizzazione alimentato dalla consapevolezza che noi siamo la Terra, la vita è una rete di vite interconnesse e di relazioni inseparabili1.
Durante la pandemia non solo non è andato tutto bene, come ci è stato frettolosamente raccontato, ma non si è imparato nulla dall’insostenibilità sociale e ambientale del modello di sviluppo che tra le sue conseguenze determina non solo il collasso climatico ma l’alterazione dei processi di trasmissione delle nuove patologie come il Coronavirus. Non abbiamo imparato niente e l’agognato ritorno alla normalità distruttiva del liberismo economico produce come conseguenza (conosciuta) un ulteriore aumento delle disuguaglianze. La scomparsa dei ceti medi, l’impoverimento e la precarizzazione del lavoro, l’aumento dell’esclusione e della rabbia sociale sono le ovvie conseguenze di scelte politiche disastrose per noi ma coerenti per coloro che hanno fede esclusiva nella capacità distruttiva e rigeneratrice del capitale. Se qualcuno obietta e ritiene che sia folle pensare di chiedere alla Terra di adeguarsi ai ritmi di crescita del capitalismo e alla sua necessità di aumentare il prelievo di risorse e il rilascio di rifiuti in un pianeta con risorse finite e limiti fisici; se qualcuno considera che il diritto all’esistenza vada garantito sempre e comunque e che le politiche sociali ed economiche debbono rispondere a questo imprescindibile obiettivo di civiltà, le risposte della politica sono sempre le stesse: non ci sono i soldi o non te lo meriti. Un accanimento nei confronti di milioni di concittadini impoveriti da 12 anni di politiche di austerità e dai tagli ai diritti sociali, che conferma il ribaltamento delle responsabilità. Ha prevalso culturalmente una sorta di “darwinismo sociale” che ha istituzionalizzato e normalizzato la povertà nel nostro Paese, scaricando sul più debole e sul più povero le responsabilità dell’ingiustizia. Come se non fosse più obbligo della Repubblica rimuovere gli ostacoli e compito prioritario della politica sconfiggere disuguaglianze e mafie per garantire dignità, coesione sociale e pace. Perché è evidente dai rapporti Istat, Censis, Oxfam2 che le misure messe in campo da Governo e Parlamento non sono solo insufficienti ma controproducenti per chi è stato colpito dalla crisi e oggi sta pagando il prezzo della guerra voluta da Putin, ma su cui le responsabilità di altri nella prosecuzione del conflitto e nelle speculazioni in atto sono evidenti.
Una politica forte con i deboli e debole con i forti che accetta di buon grado livelli intollerabili di disuguaglianze e se ne infischia che la maggioranza del Paese non vota più. Una politica che ci vuole sudditi invece che cittadini. Figlia di una cultura che si regola sugli istinti di una perenne competizione, fondata sull’apparire piuttosto che sull’essere e sulla percezione emotiva invece che sulla sostanziale conseguenza delle scelte. Perché sono le scelte compiute dalla politica negli ultimi 20 anni ad aver privilegiato e garantito gli interessi di pochi a discapito dei diritti di molti. Sono queste scelte ad aver determinato la crescita della rabbia sociale, che in assenza di ascolto e risposte adeguate è stata intercettata e capitalizzata dal populismo dell’estrema destra e dagli interessi della criminalità organizzata. In Italia crescono povertà assoluta, relativa, precarietà, morti sul lavoro, deprivazione materiale, dispersione scolastica, analfabetismo di ritorno, disuguaglianze di genere, geografiche, ambientali, coloro che non possono permettersi le cure. Allo stesso tempo però aumenta il numero dei miliardari: tra marzo 2020 e novembre 2021 sono passati da 36 a 51. Nonostante la pandemia abbia dimostrato la fondamentale importanza per le nostre vite del sistema sanitario nazionale pubblico e i limiti di quello privato, nessuno degli impegni presi dal Governo si è tradotto in realtà, dal rafforzamento della medicina territoriale, alle assunzioni del personale medico e infermieristico necessario a garantire il diritto alla salute. Continuano le privatizzazioni, mentre mancano investimenti all’altezza delle necessità della sanità territoriale. Solo le briciole del Pnrr sono andate alla sanità pubblica, nonostante 160 mila morti durante la pandemia, 11 milioni di persone che non riescono a curarsi e livelli di analfabetismo mai visti prima. Come se non bastasse, i presidenti di Regione di Emilia Romagna, Veneto e Lombardia continuano a chiedere al Governo la cosiddetta “autonomia differenziata”, che se dovesse passare si tradurrebbe in buona sostanza nella secessione dei ricchi e nella fine dell’unità della Repubblica stabilita dalla Costituzione.
Dopo la crisi iniziata nel 2008 e l’arrivo della pandemia nel 2019, che ha amplificato l’aumento delle disuguaglianze sino a livelli mai visti prima nel Paese, il mondo è entrato in una nuova e grave fase di deriva bellica. In questo nuovo contesto i fondi del NGEU invece che per equità sociale e sostenibilità ambientale rischiano di essere usati per gas, nucleare e armi.
Siamo in una fase in cui il rischio di un’escalation nucleare del conflitto è dietro l’angolo, dove l’unica certezza è che, in nome della guerra, le nostre condizioni di vita e di salute continuano a peggiorare. Il dibatto politico e sui media è avvilente per il livello di semplificazione e assenza di approfondimento. Un quadro che impedisce soluzioni efficaci per il conflitto e ci spinge verso un’escalation senza precedenti. Sembra che non sia chiaro alla stragrande maggioranza di Governo, Parlamento e media che se dovesse scoppiare una guerra la razza umana rischierebbe l’estinzione. Mentre viene zittito e messo all’angolo chiunque si opponga alla campagna di arruolamento o si permetta di richiamare alle proprie responsabilità e impegni il Governo per le drammatiche condizioni del paese.
Stiamo assistendo a una criminalizzazione del dissenso e della solidarietà mai vista prima d’ora, a ulteriore conferma del clima e del linguaggio di guerra introiettato dalla politica, sempre più abituata a vivere le relazioni con i cittadini e i corpi sociali intermedi come relazioni di comando. Nessun cittadino o soggetto sociale può mettere in discussione quanto deciso in alto. Il punto è che questa situazione e queste modalità non possono essere accettate in democrazia. Una politica che ignora il confronto, non ascolta, rifiuta approfondimento e dialettica e identifica come rompiscatole o nemico della patria chiunque si permetta di mettere in discussione nel merito e nel metodo le decisioni prese è l’esatto opposto della democrazia. Una politica che continua a non raccontare il presente ma che incurante della crisi sociale, ambientale, migratoria, energetica, alimentare, narra di un futuro che per noi non è mai cambiato, e che stando così le cose non cambierà mai. Perché per cambiare il futuro non basta pregare (per chi ci crede) ma bisogna cambiare le condizioni che determinano le ingiustizie nel presente. E il presente non cambia con questa classe dirigente politica, abile solo a nascondere le gigantesche responsabilità per le scelte compiute in questi ultimi 15 anni ma priva di visione e realismo.
La realtà dei fatti ci dice che nonostante una condizione sempre più drammatica delle nostre condizioni di vita, come denunciato dal Rapporto Bes 2021 e dal Rapporto Oxfam, il Governo Draghi continua a non dare risposte per quei territori, fasce di età e popolazione che più avrebbero necessità.
Sulla pandemia delle diseguaglianze e sulla mancanza di ascolto del Governo Draghi, insiste allo stesso tempo quella che abbiamo definito la “variante criminalità”. Ma non è una sorpresa. Denunciamo da tempo come le mafie siano cambiate, diventando più pervasive, reticolari e con uno spiccato profilo imprenditoriale. Sono enormemente cresciuti il “welfare sostitutivo mafioso” e la zona grigia. Le mafie traggono grande vantaggio dall’aumento delle disuguaglianze e dall’incapacità della politica di dare risposte efficaci. Come dalla precarietà e dal lavoro povero e sfruttato.
Il Def e le scelte portate avanti con i fondi del Pnrr alimentano e sostengono la stessa visione che ha prodotto la crisi e lo stesso modello di sviluppo neoliberista che, per ammissione dell’Ue, è ritenuto insostenibile socialmente e ambientalmente.
Manca una visione politica capace di superare la crisi divenuta insostenibile. A questo si aggiunge l’assenza di spazi di confronto e di ascolto delle proposte delle reti sociali, dei sindacati e della società civile organizzata. Il Governo Draghi ha accentuato questi problemi, ignorando persino gli obblighi imposti dalla sentenza n. 131/2020 della Corte Costituzionale e dall’art. 3 del codice del Partenariato europeo, che indicano nella co-programmazione e nella co-progettazione il metodo da seguire per garantire partecipazione e rendere inclusivi ed efficaci i progetti del NGEU e le politiche nazionali3.Per rispondere alle conseguenze nefaste prodotte dalle politiche di austerità e dall’impatto della pandemia – che ha provocato 160 mila morti solo in Italia – il Consiglio europeo ha definito l’equità sociale e la sostenibilità ambientale come due dei principali obiettivi da perseguire con i fondi NGEU. Il Pnrr del Governo Draghi presenta invece enormi criticità nel merito e nel metodo. I progetti non saranno una leva per costruire posti di lavoro giusti e di qualità, né un volano per un nuovo modello economico in grado di garantire allo stesso tempo il diritto al lavoro e alla salute, come prevede la nostra Costituzione. Così come non promuoveranno la sostenibilità ambientale, erroneamente e volutamente intesa come “transizione energetica” dal Governo, che punta a favorire il ritorno alla “normalità” e cioè a dare continuità al modello “business as usual” all’origine della crisi e della pandemia. Lo hanno detto chiaramente che l’obiettivo è aumentare i consumi e la crescita economica, dimostrando così di non aver capito nulla (o di far finta di non voler capire) della relazione tra crescita economica in regime capitalista, aumento delle disuguaglianze e collasso climatico.
Ma il problema più rilevante in questa fase è la totale assenza di co-programmazione, co-progettazione e l’esclusione dei corpi sociali intermedi nella costruzione dei progetti. Una scelta che sequestra il futuro del Paese e tradisce completamente gli obiettivi iniziali del NGEU, aumentando con l’opacità dell’azione del Governo il rischio concreto che i fondi siano utilizzati dalle mafie. L’hanno denunciato più volte dalle Procure antimafia, perché è quello che avviene quasi sempre da noi quando su ingenti risorse pubbliche non c’è un forte monitoraggio civico e non si coinvolge direttamente nei progetti gli attori locali, i soggetti sociali e le comunità che vivono il territorio. La conseguenza sarà un ulteriore aumento delle disuguaglianze, delle ingiustizie sociali e ambientali e del debito pubblico, visto che due terzi dei fondi del NGEU sono in prestito. Ed è sempre più evidente una “normalizzazione/accettazione del fenomeno mafioso” e una “istituzionalizzazione della povertà”.
Viste le scelte del Governo nel Def e con il Pnrr, ed i conseguenti rischi per le nostre vite e la nostra sicurezza sociale, ambientale ed economica, l’unica opzione che abbiamo è quella di accettare che nessuno di noi ce la fa da solo, che le vecchie ricette del ‘900 non sono sufficienti a tirarci fuori dalla crisi, che inclusione e partecipazione devono sempre essere il metodo da seguire per decidere anche nelle nostre realtà.
Se vogliamo cambiare la nostra condizione dobbiamo metterci in cammino, abbandonando immobilismi e paure. Non c’è nessuno che ci salverà dall’alto e non abbiamo bisogno dell’ennesimo capo carismatico. La natura ci dice che siamo tutti unici e indispensabili, che non esistono scarti, perché la vita è ponderata in quanto tale. Il risultato migliore per tutti lo si ottiene attraverso la cooperazione e non la competizione. Significa che possiamo pensare a relazioni politiche in cui tutti e tutte siamo importanti e a un modello economico che non produce scarti perché fondato su l’ecologia integrale. Significa impegnarsi a costruire un grandissimo spazio pubblico che metta insieme tutti quelli che condividono obiettivi e sono necessari a ridare credibilità alla democrazia. Uno spazio che sappia dare voce alle principali aspirazioni, paure, bisogni, passioni della stragrande maggioranza del Paese, partendo da obiettivi concreti e dalle competenze di reti territoriali che in questi anni hanno portato avanti alleanze a geometrie variabili ma che raccontano di un formicolio sociale che dimostra l’esistenza di una geografia della speranza. Non importano le differenze, che tra l’altro sono sempre una ricchezza quando riconosciute e rispettate, conta ciò che ci mette insieme e che ci rende umani.
L’impegno assunto dal tavolo di Contromafiecorruzione “Quali politiche sociali e lavoro per sconfiggere disuguaglianze e mafie” dà il suo piccolo contributo in questa direzione. Costruito da soggetti sociali diversi (Libera, Rete dei Numeri Pari, Cgil, Uil, Forum Disuguaglianze e Diversità, Unione Inquilini, Centro per la Riforma dello Stato, Salviamo la Costituzione, Fattorie Sociali), attraverso due mesi di riunioni e gruppi di lavoro ha presentato lo scorso 29 e 30 aprile presso l’Auditorium di Roma una serie di proposte concrete per dare risposta al peggioramento delle nostre condizioni di vita. Sono cinque proposte sulle quali mobilitarci insieme nei prossimi mesi: 1) riconoscimento dei pilastri sociali europei, maggiori investimenti nel Ssn e nella medicina territoriale; 2) istituzione del salario minimo; 3) riconversione ecologica ad alta intensità di lavoro (pianificata, inclusiva, equa e partecipata); 4) applicazione del metodo della co-programmazione e della co-progettazione; 5) istituzione di consulte cittadine sui beni confiscati sul modello di quello ottenuto dalle reti sociali a Roma.
Senza una mobilitazione che favorisca la costruzione di spazi ampi e condivisi su obiettivi concreti in grado di dare voce e risposte innanzitutto a quanti sono stati vittime delle ingiustizie sociali e dell’aumento delle disuguaglianze non otterremo risultati. Per questo il tavolo di Contromafiecorruzione sulle politiche sociali e il lavoro convocherà una riunione aperta a tutti i soggetti interessati a portare avanti le proposte indicate. L’obiettivo è ottenere risultati e lo si potrà raggiungere se saremo capaci di costruire una mobilitazione la più allargata possibile insieme a chiunque condivida le proposte e voglia rappresentarle in piazza.*Giuseppe De Marzo è responsabile nazionale di Libera per le Politiche Sociali e coordinatore nazionale della Rete dei Numeri Pari.
Note
1 Si veda: http://www.castelvecchieditore.com/prodotto/radical-choc/ e https://extinctionrebellion.it/xr-magazine/2020/11/25/interviste-ribelli-giuseppe-de-marzo/.
2 Si veda: https://www.numeripari.org/wp-content/uploads/2022/05/Oxfam_Disuguitalia_2022.pdf e https://www.oxfamitalia.org/wp-content/uploads/2022/01/Report_LA-PANDEMIA-DELLA-DISUGUAGLIANZA_digital2022_final.pdf.
3 Si veda: https://www.numeripari.org/wp-content/uploads/2022/05/esf_eccp_leaflet_it.pdf e https://www.youtube.com/watch?v=tDHemqyTxxM (intervista al giudice della Corte Costituzionale Antonini sulla sentenza n. 131/2020).