di Mikhail Maslennikov*
Il lavoro è il pilastro fondativo del nostro patto di cittadinanza. La nostra Costituzione lo considera la base per la dignità e la libertà dell’individuo e gli riconosce un’importante funzione: quella di concorrere al progresso materiale e spirituale della nostra società. Oggi però il dettato costituzionale appare contraddetto dalla realtà. Una realtà contraddistinta da forte precarietà, discontinuità e saltuarietà lavorativa, da ampie e crescenti disuguaglianze, da vecchie e nuove forme di sfruttamento, dal valore sociale del lavoro scarsamente riconosciuto. In troppi casi avere un’occupazione non basta più a condurre un’esistenza libera e dignitosa, a far fronte ai bisogni del proprio nucleo familiare, a garantirsi prospettive di un futuro di benessere.
Un lavoratore su 8 vive in una famiglia che non riesce a far fronte ai bisogni di base
Nel nostro Paese il lavoro è sempre più povero: 1 lavoratore su 8 vive in una famiglia con reddito disponibile insufficiente ai propri bisogni di base, ben al di sopra della media Ue, e l’incidenza della povertà lavorativa, misurata in ottica familiare, ha mostrato una crescita sostenuta in poco più di un decennio. Un fenomeno che colpisce di più i nuclei monoreddito, chi ha un lavoro autonomo, e i dipendenti con un impiego a tempo parziale.
Guardando agli esiti individuali sul mercato del lavoro, anche l’incidenza dei lavoratori con basse retribuzioni risulta in forte crescita. Riguarda oggi quasi 1 lavoratore su 5 (1 su 3 nel settore privato), con un rischio più elevato per gli occupati in regime di part-time, per i giovani e per le donne. Soffermiamoci dunque su alcune delle cause all’origine del fenomeno, sull’attenzione che le forze politiche gli attribuiscono nei programmi elettorali e su come, dal punto di vista di Oxfam, ognuno di noi può contribuire con il proprio voto a ridare potere, valore e dignità al lavoro.
Irrigidimento contro maggiore flessibilità del mercato del lavoro
La lunga stagione delle politiche di flessibilizzazione del mercato del lavoro ha prodotto una moltiplicazione delle tipologie contrattuali atipiche. Assieme ad una progressiva riduzione dei vincoli per i datori di lavoro, ad assumere lavoratori con contratti a termine o a esternalizzare attività o parti del ciclo produttivo. Rendendo più accentuata la contrapposizione tra un segmento di lavoratori più protetto – con maggiore stabilità delle relazioni contrattuali, salari più elevati, possibilità di accesso alla formazione continua e agli ammortizzatori sociali – e una componente crescente di lavoratori con prospettive peggiori in termini di stabilità lavorativa, retribuzione, trattamento pensionistico, accesso al credito e alla formazione. La mobilità tra i due segmenti appare ridotta e l’occupazione a termine – lungi dal rappresentare un trampolino verso un’occupazione stabile – presenta forti rischi di intrappolamento in condizioni lavorative precarie e di allargamento delle disuguaglianze.
Minimi salariali adeguati
Garantire salari adeguati è condizione necessaria per contrastare la povertà lavorativa di chi è impiegato con un contatto di tipo subordinato. Non è sufficiente da sola però a ridurre il fenomeno su cui pesa, in modo rilevante, la discontinuità lavorativa o il numero esiguo di ore lavorate durante l’anno. Minimi salariali validi per tutti i lavoratori dipendenti costituiscono lo strumento di tutela principale contro le situazioni di basso salario.
Per garantirli nel contesto italiano le strade percorribili sono notoriamente due, attuabili in parallelo. In primis l’estensione dei contratti collettivi principali, stipulati tra soggetti maggiormente rappresentativi, a tutti i lavoratori del settore (erga omnes). In secondo luogo, la previsione di un salario minimo legale per i lavoratori dipendenti, in grado – non passi inosservato – di influenzare (“effetto faro”) anche i salari dei lavoratori formalmente autonomi, ma che condividono alcune caratteristiche dei dipendenti. A partire da un limitato potere negoziale.
Il centrodestra disconosce quasi in toto l’importanza dei due interventi. Il centrosinistra e il Terzo Polo sono invece favorevoli all’erga omnes, come presidio contro la contrattazione pirata. Il salario minimo per legge è avallato da M5S, Unione Popolare, Verdi e Sinistra Italiana, mentre per il Partito Democratico deve avere natura contrattuale, e non legale, e deve essere previsto solo per i settori a più alta incidenza di povertà lavorativa.
Nuova e buona occupazione
Sull’esplosione del lavoro povero in Italia pesa il più che ventennale processo di de-industrializzazione italiana e un’evoluzione della struttura occupazionale contraddistinta da un’espansione di occupazioni in settori economici a bassa produttività del lavoro, impieghi poco qualificati, precari e scarsamente retribuiti. Contrastare l’indebolimento dell’economia nazionale, riqualificare lo sviluppo del paese in campo tecnologico ed ambientale, favorendo la creazione di buona occupazione, richiederebbe quindi un serio ripensamento delle nostre politiche industriali. Una visione strategica che si presenta sbiadita nel nostro Pnrr e poco accentuata nella maggior parte dei programmi elettorali.
Molto spazio viene dedicato dai partiti a incentivi fiscali e contributivi all’occupazione dei giovani, delle donne, al Sud. Al necessario e benvenuto rafforzamento del sistema delle politiche attive (seppure con un discutibile crescente ruolo dei servizi per l’impiego privati proposto dal centrodestra e dal Terzo Polo), formative e di accompagnamento alle transizioni produttive e occupazionali. Ma solo in pochi casi, nella compagine di sinistra, l’enfasi programmatica viene spostata sul fondamentale miglioramento delle politiche industriali e sul ruolo centrale dell’operatore pubblico. Un’azione imprescindibile, dal nostro punto di vista, per agire sull’offerta di lavoro stabile e di qualità.
*policy advisor di Oxfam Italia sui dossier di giustizia economica