Libere di dire basta. La mia forza nella forza delle donne. La campagna della Casa internazionale delle donne

Non dovrebbe esistere una Giornata Internazionale delle Nazioni Unite dedicata a contrastare la violenza maschile sulle donne. Non dovrebbe esserci bisogno di contare ogni anno i femminicidi, gli stupri e le donne vittime di violenza. Eppure questa giornata esiste, e noi con la violenza dobbiamo farci i conti, ogni anno. Per non dimenticare, per contrastarla, per prevenirla. E perché non ci sia più bisogno, in futuro, del 25 novembre né in Italia, né nel mondo.

Vogliamo parlarvi di fatti, numeri e geografia della violenza sulle donne. Perché di fronte a questo fenomeno non esistono confini, né categorie privilegiate. Siamo tutte coinvolte. Come attiviste, come sostenitrici, come donne, come uomini non violenti che vedono il proprio genere stigmatizzato da questa vergogna. Come comunità che vuole opporsi e reagire.

Questo mese, la Casa lancia la sua campagna LIBERA DI DIRE BASTA per sostenere il nostro lavoro di prevenzione e di protezione delle donne. La troverai anche sui nostri social e sul nostro sito.

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ORA FACCIAMO I CONTI: I NUMERI DELLA VIOLENZA IN ITALIA 

In Italia viene uccisa 1 donna ogni 3 giorni. Secondo i dati dell’Osservatorio Femminicidi Lesbicidi Trans-cidi (FLT) di Non Una di Meno e il dossier della Direzione Centrale di Polizia dei primi di novembre, sono almeno 91 i femminicidi registrati dall’inizio dell’anno fino ai primi di novembre. E sono per lo più vittime di familiari, partner o ex partner: 82, per essere precise. In media 4 donne su 10 vengono accoltellate, 3 donne su 10 soffocate o ammazzate di botte. Le altre vengono uccise con un’arma da fuoco, con un bastone o con un altro oggetto. Questi sono i decessi, ma le denunce di violenza al 1522 sono state oltre 36,000, ma questa è solo la punta dell’iceberg. Si stima che in Italia il 12% dei maschi adulti è violento “ogni tanto”, l’8% è violento sempre e che 7 milioni di donne abbiano subito nella vita almeno una forma di violenza.  Secondo l’ISTAT, nel 2020-21, sono più di 15 mila le donne che hanno deciso con coraggio di uscire dalla violenza e iniziare un percorso nei centri antiviolenza. Quasi il 19% di loro ha meno di 30 anni. Oltre la metà ha fra i 30 e i 50 anni e il 70% ha la cittadinanza italiana. Di queste donne purtroppo 9 su 10 sono vittime di minacce, stalking o violenza psicologica, 7 su 10 denunciano violenze fisiche e stupro, 1 su 10 è vittima di violenza economica. Più dell’80% subisce più forme di violenza contemporaneamente. E anche questi, purtroppo, sono dati tanto incompleti quanto terribili, perché non tengono conto di tutto ciò che rimane sommerso, non denunciato, non raccontato per paura o perché tollerato. Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere in silenzio, né girarci dall’altra parte. Dobbiamo ricordare, raccontare, agire. Perché di violenza si muore, ma di silenzio anche.

 LA VIOLENZA CHE NON FA LIVIDI

Il femminicidio e la violenza domestica denunciate in Italia e nel mondo sono considerate vere e proprie “emergenze sociali” ma non sono le sole forme di violenza. Secondo uno studio del 2015 condotto dal gruppo anti-molestie Hollback in con la Cornell University, in 22 paesi su 16.600 donne, in media l’84% delle donne intervistate dichiarava di aver subito molestie per strada prima dei 17 anni. In Italia, questa percentuale saliva all’88%. Un’epidemia globale ancora più scioccante, se ci concentriamo anche sulle dinamiche di misoginia online e cyberviolenza contro le donne, profondamente diffuse in Italia e non solo. La Mappa dell’Intolleranza 6 di VOX Osservatorio Italiano sui Diritti (2021), evidenzia che qui da noi la categoria più odiata dagli haters online è quella delle donne: fra i 797.326 tweet totalmente estratti (negativi e non, su tutte le categorie analizzate) 1 tweet su 3 contiene insulti, provocazioni e minacce contro le donne. Il 43,7% del totale dei tweet negativi registrati, nel periodo rilevato. La violenza digitale, un fenomeno dilagante ormai, ha spesso nel mirino le ragazze più giovani. Il cyberstalking ovvero le offese e le minacce ripetute, spesso a sfondo sessuale, al fine di spaventare e degradare una donna ed il “revenge porn” ossia la vendetta di partner respinti tramite la pubblicazione di foto, video e altri contenuti sessuali sui siti social della vittima al fine di umiliarla. La violenza economica, poi, vede le donne in ogni paese ricattate dai propri compagni e mariti con la minaccia di mancato sostentamento, con il divieto di lavorare o di disporre del denaro guadagnato. La violenza istituzionale spesso colpisce le donne nelle aule dei tribunali e quella medica nelle corsie degli ospedali. Ma queste sono solo alcune delle facce della violenza che non lascia “segni visibili” e che, proprio per questo, ancora troppo spesso non viene condannata né tanto meno riconosciuta come tale, anche a livello legale.

PARLIAMO DI LUOGHI DI LAVORO

Secondo un’indagine di quest’anno della Fondazione Libellula condotta su 4.300 donne lavoratrici, più di 1 donna su 2 ha subito molestie e discriminazioni dirette sull’ambiente di lavoro (55%). Oltre il 58% delle vittime dichiara inoltre di non reagire efficacemente per paura o per timore di ripercussioni di vario genere. Un altro spaccato inammissibile emerge da un’indagine FIOM di quest’anno che ha interessato oltre 1.600 lavoratrici metalmeccaniche: il 32% ha dichiarato di aver subito violenza verbale almeno una volta.

Una realtà inaccettabile, determinata ancora oggi non solo dallo sbilanciamento dei rapporti di forza e potere all’interno dell’ambiente di lavoro e più in generale della società in cui viviamo, ma anche dall’appartenenza al genere e da una cultura retrograda e maschilista che concepisce ancora oggi la donna come un oggetto, come l’elemento debole della catena su cui è semplice rivalersi restando completamente impuniti.

 LA GEOGRAFIA DELLA VIOLENZA NEL MONDO

Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel mondo il 27% delle donne tra 15 e 49 anni ha subito violenza una volta nella vita da parte del partner di sesso maschile e il 24% di loro raggiungeva appena i 19 anni.

E’ questo il quadro agghiacciante che emerge dallo studio comparativo condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a livello internazionale, il report “Global, regional, and national prevalance estimates of physical or sexual, or both, intimate partner violence against women in 2018″ pubblicato sulla rivista scientifica inglese The Lancet, uno studio che ha coinvolto 2 milioni di donne in 161 paesi dal 2000 al 2018. Secondo lo studio, la prevalenza dei casi di violenza da parte degli uomini, è più alta in Oceania (49%), seguita poi dall’Africa subsahariana centrale (44%), dai paesi andini (38%), nell’Asia meridionale (35%) e nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente (31%).

In coda, l’Europa occidentale (20%), l’Asia centrale (18%) e di nuovo la sezione centrale del vecchio continente (16%).

Numeri, che rappresentano vite spezzate. Numeri sottostimati, che non rappresentano il fenomeno che rimane sommerso, soffocato nel silenzio. Numeri di esistenze strappate all’interno di una piaga di dimensioni globali che con la pandemia si è allargata ulteriormente.

Una piaga che dobbiamo contrastare in ogni singola sua manifestazione, giorno per giorno, per costruire un futuro in cui ogni donna possa camminare sicura e a testa altaUn futuro in cui ogni donna possa davvero essere libera di dire basta.

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