La Legge di bilancio 2023 aumenterà povertà, disuguaglianze ed esclusione sociali e continuerà a garantire gli interessi dei grandi proprietari.
18 gennaio 2023 | Per la Rete dei Numeri Pari Silvia Paoluzzi, Unione Inquilini
Fin da subito il Governo Meloni, chiamato a licenziare la Legge di Bilancio, ha mostrato con ferocia come intende affrontare la questione abitativa divenuta drammatica per migliaia di famiglie in Italia. Non solo ha mancato nel porre le basi per delle politiche strutturali per l’abitare – che nel nostro Paese sono sparite da oltre trent’anni – ma ha sottratto a Regioni e Comuni gli ultimi sostegni alla casa. Sono infatti spariti il fondo per la morosità incolpevole e il fondo sociale affitti, due misure destinate alle fasce più deboli e con un’incidenza dell’affitto sul reddito più elevata (circa 300 milioni nel 2022 per 600 mila famiglie). Misure che fanno il paio con quelle contro il reddito di cittadinanza, che tra gli interventi prevede anche risorse per il sostegno all’affitto.
Sembra che più che di affrontare la questione dell’impoverimento di massa di cui sono vittime milioni di persone, si vogliano cancellare i poveri, renderli fantasmi, senza diritto di cittadinanza, che si continua a negare anche attraverso la violazione del diritto costituzionale alla residenza. 150 mila sfratti immediatamente esecutivi, di cui il 90% per morosità, 650 mila famiglie in vana attesa di una casa popolare a canone sociale di cui avrebbero diritto, 900 mila famiglie in affitto sotto il livello della povertà assoluta vengono cancellate con un tratto di penna.
Da sempre abbiamo contestato l’insufficienza e l’inadeguatezza di una politica sociale incentrata sui bonus, interventi a valle (tra l’altro sempre insufficienti) che lasciano inalterate le contraddizioni. Abbiamo criticato pesantemente le politiche dei Governi precedenti per l’assenza di interventi strutturali che cominciassero ad affrontare i nodi della sofferenza abitativa in Italia: il combinato disposto tra il caro affitti e la carenza di abitazioni a canone sociale.
Abbiamo chiesto minime misure, anche solo di avvio di una politica strutturale: un finanziamento per i Comuni per poter acquisire il patrimonio libero degli enti previdenziali e degli altri enti pubblici per destinarli al passaggio da casa a casa per le famiglie sotto sfratto; mettere in assegnazione i 50 mila alloggi di edilizia residenziale pubblica oggi colpevolmente vuoti, per consentire un primo scorrimento di graduatorie delle case popolari bloccate da anni. In maniera più strutturalmente, avevamo chiesto l’avvio di un vero piano casa: 500 mila alloggi a canone sociale, senza consumo di suolo e con il recupero e riuso del patrimonio immobiliare vuoto e in disuso, dotando le periferie urbane di servizi e socialità e ripopolando i centri storici di residenza popolare.
Anche il Governo Meloni preferisce rimandare alla questione della mancanze di risorse l’avvio di una nuova stagione di politiche abitative strutturali. Eppure sarebbe bastato eliminare la cedolare secca sul libero mercato, che rappresenta un privilegio fiscale immotivato alla rendita immobiliare: oltre 1 miliardo e mezzo all’anno a vantaggio del 10% dei proprietari più ricchi, per iniziare a strutturare pratiche atte a garantire il passaggio di casa in casa per tutti i precari della casa.