Autonomia differenziata, lo Stato non deve arrendersi

Il 19 giugno alla Camera dei deputati, il fondatore di Libera e del Gruppo Abele Luigi Ciotti, parteciperà a un incontro organizzato dalla Rete dei numeri pari insieme alle cinque forze politiche – M5S, Pd, Si-Verdi, Up – contrarie al ddl Calderoli. Saranno presenti anche il costituzionalista Gaetano Azzariti e i rappresentanti dei Comitati che si battono per l’unità della Repubblica

Giuseppe De Marzo, Coordinatore nazionale Rete dei numeri pari – 14 giugno 2023, Lavialibera

Una e indivisibile. Perché non può essere altrimenti se vogliamo continuare a essere una Repubblica che ha scelto la democrazia parlamentare come regime costituzionale. Una e indivisibile. Perché la Repubblica garantisce l’uguaglianza dei diritti su tutto il territorio nazionale secondo i due principi costituzionali cardine: solidarietà e uguaglianza. Da anni invece questi principi vengono messi in discussione e attaccati da forze politiche, sociali ed economiche che hanno interesse a dividere, privatizzare ed escludere, con l’obiettivo di accrescere i profitti.

Negli ultimi mesi queste spinte e queste forze si sono coagulate intorno al progetto di autonomia differenziata presentato dal governo Meloni. Progetto – cui seguirà quello del presidenzialismo – che ha come obiettivo la costituzione del “grande nord”, da agganciare alla Mitteleuropa, trasformando il sud in un enorme hub energetico legato al gas e ad altri combustibili fossili, con mano d’opera a basso costo. Alla faccia del collasso climatico e della precarietà lavorativa.

Contro ogni secessione

L’obiettivo del ddl Calderoli è “la secessione dei ricchi”, come è stata definita dal professor Gianfranco Viesti, con lo spezzettamento del Paese in tante piccole patrie. Se passasse il progetto di autonomia differenziata, le regioni potrebbero chiedere potestà legislativa su materie di competenza esclusiva dello Stato. Materie fondamentali che servono per attuare gli obiettivi indicati dalla Costituzione e garantire i diritti su tutto il territorio nazionale. Scuola, salute, lavoro, ambiente, sicurezza, energia, servizi sociali e asili nido, mobilità, solo per citarne alcuni, sarebbero pensati e gestiti a livello regionale.

Se passasse il progetto di autonomia differenziata, le regioni potrebbero chiedere potestà legislativa su materie di competenza esclusiva dello Stato

Da un lato il progetto di regionalismo solidale indicato dalla Carta e dall’altro il regionalismo simmetrico e competitivo voluto da LegaFratelli d’Italia Forza Italia, appoggiato in passato anche da una parte del Partito democratico. È stata, infatti, la giunta regionale dell’Emilia-Romagna guidata da Stefano Bonaccini ad aver firmato nell’ottobre 2017 con il governo guidato da Paolo Gentiloni le pre-intese per chiedere l’autonomia su 18 materie. Non sono stati solo Luca Zaia e Attilio Fontana per il Veneto e la Lombardia. Un grave errore che dimostra come alcune spinte abbiano spesso trovato negli ultimi anni sponde in ambiti politici che nessuno avrebbe immaginato in passato, a conferma di un declino culturale che va fermato.

Un attacco alla Repubblica

Siamo dinanzi a un attacco senza precedenti nella storia della Repubblica, che non spacca solo il Paese ma la Costituzione. Per questo abbiamo la responsabilità e il dovere di fermarlo, attraverso l’impegno e la mobilitazione dei cittadini, tenuti all’oscuro di quanto accade anche con la complicità di alcuni media. Questo tema sarà al centro dell’iniziativa in programma lunedì 19 giugno, nella sala Matteotti alla Camera dei deputati, organizzata dalla Rete dei numeri pari insieme alle cinque forze politiche – M5S, Pd, Si-Verdi, Up – che sostengono le proposte dell’Agenda sociale lanciata la scorsa estate dalla Rete e sostenuta oggi da più di 700 realtà sociali.

Iniziativa a cui parteciperà il fondatore di Libera e del Gruppo AbeleLuigi Ciotti, il costituzionalista Gaetano Azzariti, i rappresentanti dei Comitati che per primi si sono battuti contro ogni autonomia differenziata e per l’unità della Repubblica, e gli esponenti delle forze politiche che fanno parte del Tavolo di confronto permanente costituito con la Rete dei numeri pari.

Un tavolo nato subito dopo l’affollatissima assemblea del 22 aprile alla Casa Internazionale delle donne, dove per la prima volta dopo anni i leader dei partiti si sono confrontati in maniera trasparente e su obiettivi concreti con i rappresentanti dei soggetti sociali impegnati contro disuguaglianze e mafie. Un percorso di confronto inedito, organizzato attraverso deliberazioni e mobilitazione dal basso, che ha restituito voce a tante realtà sociali impegnate in questi anni a contrastare, spesso da sole, disuguaglianze e mafie.

La priorità per tutti i soggetti del tavolo è fermare il ddl Calderoli che, se passasse, avrebbe un impatto catastrofico su tutto il Paese. Le disuguaglianze, che crescono da 15 anni, aumenterebbero ulteriormente. Equivarrebbe a una resa dello Stato, che prima non è intervenuto in questi 22 anni seguiti alla riforma del titolo V del 2001 per garantire i cosiddetti Livelli essenziali di prestazione (Lep), mentre oggi accetterebbe le differenze rinunciando al compito più importante assegnato dalla Carta nell’articolo 3.

La priorità è fermare il ddl Calderoli, che avrebbe un impatto catastrofico su tutto il Paese. Le disuguaglianze, che crescono da 15 anni, aumenterebbero ulteriormente

Significherebbe stravolgere la finalità del nostro regime democratico che ha messo al centro l’intangibilità della dignità umana (non della razza o dell’etnia, come propugnano dai banchi del governo). Costituzione che non ha indicato nella crescita economica senza limiti, come invece vorrebbero i seguaci del liberismo e dell’autonomia, l’obiettivo da perseguire per garantire la dignità delle persone.

Il regionalismo competitivo di Calderoli non solo istituzionalizza la povertà ma esautora il parlamento dal compito fondamentale assegnatogli dalla stessa riforma del titolo V (all’articolo 117 comma 2, lettera N) e cioè stabilire quali siano i diritti dei cittadini e i livelli essenziali di prestazione che lo Stato ha l’obbligo di garantire. Per capirci, secondo lo Svimez – l’associazione per lo Sviluppo dell’industria nel mezzogiorno –  se volessimo eliminare il divario tra nord e sud ci vorrebbero circa 90 miliardi per garantire parità di diritti e opportunità. Soldi che il governo non ha nessuna intenzione di investire.

Contro la competitività

Il ddl Calderoli prevede il finanziamento delle autonomie differenziate attraverso “la compartecipazione al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale”. Se calcoliamo le conseguenze considerando la sola Irpef versata da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, uscirebbero dal bilancio dello Stato circa 190,5 miliardi di risorse.

Verrebbero sottratti dunque più del doppio delle risorse di cui abbiamo bisogno per perequare le attuali differenze tra sud e nord, come calcolato dallo Svimez. Un disegno di legge che non produce nessuna perequazione, come stabilito dalla riforma del Titolo V, ma che cavalca e promuove la competitività tra le persone: siamo passati da “prima gli italiani”, a prima i veneti, i lombardi, gli emiliano-romagnoli e così via.

Siamo passati da “prima gli italiani”, a prima i veneti, i lombardi, gli emiliano-romagnoli e così via

In Italia un bambino calabrese riceve un ventesimo rispetto a quanto previsto per uno del nord e corre il doppio del rischio di morire nel primo anno di vita. Per non parlare delle differenze su scuola e sanità. Ad esempio, a Caserta c’è un insegnante ogni 20 alunni, a Modena uno ogni 10. Ad Alessandria c’è l’assistenza domiciliare, a Campobasso no. Così come pochi sanno che le regioni del sud hanno versato 14 miliardi ad alcune regioni del nord per potersi curare: non conviene dirlo per non intaccare la narrazione di chi ha fatto carriera politica su stereotipi che semplificano e mortificano una realtà diversa e molto più complessa.

In Italia un bambino calabrese riceve un ventesimo rispetto a quanto previsto per uno del nord e corre il doppio del rischio di morire nel primo anno di vita

Il ddl Calderoli, consapevole di non avere i soldi necessari per il fondo perequativo, aggancia i livelli essenziali delle prestazioni alla cosiddetta “invarianza delle risorse”. Definire le risorse dei Lep sulla base della spesa storica significa garantire i diritti solo alle regioni ricche che se lo possono permettere. Non solo quindi spaccherebbe il Paese, ma farebbe esplodere le disuguaglianze, rappresentando una resa inammissibile e inaccettabile dello Stato.

Assist alla mafia

Per le mafie sarebbe un enorme vantaggio. Basti vedere come hanno sfruttato questi 15 anni di crescita della povertà. Oppure ricordarsi della crescita di tutti i reati spia durante la pandemia, proprio per le enormi differenze regionali emerse in termini di accesso ai servizi: la salute su tutti. Siamo passati dalla pandemia delle disuguaglianze alla variante criminalità, come denunciato nel rapporto di Libera La tempesta perfetta. Anche il welfare sostitutivo mafioso, che abbiamo visto esplodere a causa dei tagli alle politiche sociali, avrebbe un’impennata con l’autonomia differenziata, consentendo alle mafie di offrirsi come unica soluzione nelle periferie abbandonate dalla politica e dalle istituzioni.

Il welfare sostitutivo mafioso avrebbe un’impennata, consentendo alle mafie di offrirsi come unica soluzione nelle periferie abbandonate dalla politica e dalle istituzioni

Lo Stato dichiara con il ddl Calderoli che non è più disposto a garantire livelli essenziali (meglio sarebbe dire uniformi) su tutto il territorio nazionale, riconoscendo e istituzionalizzando le disuguaglianze e l’esclusione sociale, violando i principi di uguaglianza, solidarietà e indivisibilità della Repubblica. Per questo è un progetto eversivo che va combattuto e fermato.

Lavorando per raccontare la verità ai cittadini che non sono stati messi al corrente di nulla e per costruire in Italia una grande mobilitazione democratica e conflittuale che costringa il governo Meloni a ritirare il disegno di legge Calderoli. L’iniziativa del 19 giugno è il primo atto di un percorso che ci vedrà impegnati con tante altre realtà sociali e sindacali per arrivare il 30 settembre in piazza, tutti e tutte “insieme per la Costituzione”.  Con l’unico obiettivo di [CONTINUA A LEGGERE SU LAVIALIBERA]

 

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