di FRANCESCA BASSO E VIVIANA MAZZA – Corriere della Sera
Ormai se ne parla da un anno, da quando alla Cop27 in Egitto è stata decisa l’istituzione, non senza dubbi, di un Fondo per risarcire i Paesi vulnerabili per i disastri naturali causati dai cambiamenti climatici, il primo delle Nazioni Unite dedicato a questo scopo. Però, negli ultimi 11 mesi, i governi hanno faticato a raggiungere un consenso sui dettagli del fondo, su chi pagherà, come pagherà e dove sarà collocato. Un fragile compromesso è stato raggiunto sabato sera ad Abu Dhabi, dove si è riunito un comitato speciale dell’Onu incaricato di attuare il fondo e finalizzare le raccomandazioni che i governi dovranno formalmente adottare al vertice annuale sul clima: la Cop28 inizia a Dubai il 30 novembre. L’obiettivo è quello di rendere operativo il fondo entro il 2024.
Ma non sarà semplice, l’intesa ha scontentato quasi tutti e gli attivisti sostengono che l’accordo non sia sufficiente a garantire gli investimenti necessari per i Paesi vulnerabili. La prima promessa risale al 2009, quando a Copenaghen i Paesi sviluppati si impegnarono a raggiungere l’obiettivo collettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020 per l’azione climatica nei Paesi in via di sviluppo, obiettivo poi esteso al 2025 e finora non raggiunto. Il Fondo «perdite e danni» deciso a Sharm el-Sheikh ha incontrato inizialmente i dubbi di Unione europea e Stati Uniti, che temevano potesse portare a responsabilità legali illimitate che si sarebbero tradotte in risarcimenti per centinaia di miliardi. Secondo l’intesa di sabato, il fondo sarà inizialmente amministrato dalla Banca Mondiale e sarà finanziato da Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito oltre ai grandi Paesi in via di sviluppo. Non è però stata indicata la potenza di fuoco. «È ora imperativo attivare e capitalizzare rapidamente il fondo» perché «il mondo non ha bisogno di un conto bancario vuoto» ma di «un fondo operativo che possa davvero fare la differenza», ha dichiarato il presidente degli Emirati della Cop28, il sultano Al Jaber, che è a capo della compagnia petrolifera del Paese Adnoc.
I Paesi in via di sviluppo hanno accettato che a gestire il fondo sia la Banca Mondiale ma solo in via provvisoria, per quattro anni. I vertici dell’istituzione sono nominati dagli Stati Uniti e questo, secondo loro, darebbe ai Paesi donatori un’influenza eccessiva sul fondo e comporterebbe commissioni elevate per i Paesi beneficiari. I Paesi sviluppati hanno accettato un linguaggio che implica che dovrebbero essere i principali donatori del fondo, poiché sarebbero «esortati» a contribuire mentre altri sarebbero «incoraggiati» a farlo. Molti sostengono che i grandi produttori di petrolio e gas come gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita dovrebbero diventare donatori e sarebbero in corso dei negoziati. Attualmente sono esentati perché sono ancora classificati come Paesi in via di sviluppo in base alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico del 1992.
L’Ue aveva accettato il fondo, un anno fa, purché fosse destinato solo ai Paesi più vulnerabili e che vi contribuissero il maggior numero di Paesi incluse le principali economie come la Cina. Concetto ribadito dal nuovo commissario per il Clima, l’olandese Wopke Hoekstra, su X, sabato sera: «Il mondo riceverà un fondo focalizzato sul sostegno ai più vulnerabili. Tutti possono contribuire e credo che tutti coloro che ne hanno la capacità dovrebbero farlo». Inoltre l’accordo «ora deve sposarsi con la massima ambizione possibile in materia di mitigazione del clima». Hoekstra ha anche sottolineato che «per lanciare il fondo alla Cop28, abbiamo ancora bisogno di risultati chiari e ambiziosi sulla mitigazione».
Durante i negoziati gli Stati Uniti avevano chiesto che la Banca Mondiale gestisse il fondo in modo permanente e avevano tentato di includere una nota a piè di pagina in cui si chiarisse che qualsiasi contributo al fondo sarebbe stato volontario. «Ci rammarichiamo che il testo non rifletta il consenso sulla necessità di chiarezza sulla natura volontaria dei contributi», ha detto alla Reuters un funzionario del Dipartimento di Stato americano. Jennifer Morgan, segretaria di Stato e inviata speciale per l’azione internazionale sul clima della Germania, ha dichiarato in un post su X che Berlino «è pronta ad adempiere alle proprie responsabilità: stiamo lavorando attivamente per contribuire al nuovo fondo ed esplorare opzioni per fonti di finanziamento strutturale». Ma Morgan ha anche chiesto che alla Cop28 «vengano prese decisioni che ci aiuteranno a dimezzare le emissioni entro il 2030 in modo da prevenire impatti ancora peggiori».
Resta la delusione degli attivisti. Per Harjeet Singh, responsabile della strategia politica globale dell’organizzazione no-profit Climate Action Network International, sabato è stato «un giorno triste per la giustizia climatica, poiché i Paesi ricchi voltano le spalle alle comunità vulnerabili: non solo hanno costretto i Paesi in via di sviluppo ad accettare la Banca Mondiale come organismo ospitante del Fondo per le perdite e i danni, ma hanno anche eluso il loro dovere di guidare la fornitura di assistenza finanziaria a quelle comunità e a quei Paesi».