Si riconosce la necessità di abbandonare i combustibili fossili, ma senza modi, tempi e obblighi
Di Giuseppe De Marzo – 22 dicembre 2023 | L’Espresso
Dopo due settimane di incontri la COP28 si è conclusa con un testo accettato da più di 190 nazioni in cui per
la prima volta viene riconosciuta la necessità di abbandonare i combustibili fossili. Il documento non
contiene obblighi, né cronoprogrammi, impegni o responsabilità definite. Gli Stati Insulari, tra i più colpiti
dal collasso climatico, denunciano “una litania di scappatoie” che impediscono la riduzione delle emissioni
necessarie a frenare l’aumento della temperatura oltre la soglia da non superare dei famosi 1,5°. Molti
paesi dei Sud del mondo protestano invece per l’assenza dei finanziamenti necessari a riconvertire le
proprie economie estrattive e pagare i danni provocati dal collasso climatico. Si riferiscono al famoso
“fondo verde” sui cui si erano da anni impegnati i paesi che più hanno inquinato e inquinano. Servono
centinaia di miliardi di euro per uscire dall’era dei combustibili con giustizia ed equità.
Non può essere un buon risultato dopo 30 anni di vertici sul clima aver scritto nel documento finale che
dobbiamo uscire dall’era dei fossili, quando mancano misure, tempi e strumenti con cui farlo. Le intenzioni
da sole non bastano per rispondere oggi, non domani, agli effetti della crisi climatica. Per essere efficaci alle
intenzioni devono corrispondere impegni concreti e obbligatori. Che invece mancano. Come i finanziamenti
necessari a portare avanti il percorso di adattamento e mitigazione.
La verità è che anche la COP28 non è riuscita a individuare soluzioni concrete alla crisi ecologica, così come
avvenuto nelle edizioni precedenti. Perché? Perché non può esistere una soluzione all’interno del sistema
economico e culturale che ha prodotto la crisi. Pensare di affrontarla attraverso soluzioni basate su
innovazioni tecnologiche private e contributi volontari dei paesi, senza prendere minimamente in
considerazione l’urgenza di ridurre i consumi e investire ingenti risorse nella riconversione ecologica delle
attività produttive, è folle e suicida allo stesso tempo. La scienza continua a dare l’allarme. L’aumento dei
disastri provocati dal collasso climatico colpisce e minaccia tutti, a nord come al sud del mondo. Ne
sappiamo qualcosa nel nostro paese.
La governance globale ha dimostrato ancora una volta di essere subordinata agli interessi delle grandi
transnazionali e delle nazioni più inquinanti ed armate. È impossibile aspettarsi soluzioni efficaci da chi è
responsabile della crisi climatica e continua a trarne enorme vantaggio e profitto. Per questo ingiustizie
ambientali e sociali continuano a crescere da anni, come disuguaglianze e instabilità politica internazionale.
Collasso climatico, disuguaglianze e guerre sono strettamente collegate e si alimentano a vicenda,
allontanandoci inesorabilmente dalla risoluzione dei nostri problemi.
Per migliorare il nostro presente e guardare con speranza al futuro dobbiamo puntare sull’agroecologia e
non sull’agrobusiness, sulla riconversione ecologica delle attività industriali e produttive e non sulla
transizione energetica, sull’educazione popolare per combattere deforestazione e monoculture e non sulle
nuove tecnologie, sull’eco-sufficienza e non sulla crescita verde (?), sulla cooperazione e collaborazione tra
paesi e non su competizione e guerre. Le risposte le abbiamo già e sono dentro una visione integrale della
relazione tra esseri umani ed altre entità viventi, finalmente basata sul riconoscimento e la cura.
Su questi temi la politica è da tempo assente. Ne avremmo un gran bisogno in un momento storico in cui
non esistono interessi comuni tra l’umanità e gli interessi delle élite economiche e finanziarie. Facciamo
Eco!