Un otto marzo di guerra
Non avremmo mai pensato di dover sentire una donna con ruoli politici importanti evocare la guerra come una possibilità e invece di invocare a gran voce la necessità di evitarla ad ogni costo, proporre al contrario la necessità di riprendere, il più velocemente possibile la produzione di armi sempre più distruttive e letali. Lo ha fatto Ursula Von der Leyen, chiedendo all’Europa, addirittura, di lavorare per fabbricare armi nelle stesse forme usate per produrre i vaccini contro la pandemia di Covid19.
Una assurdità, un nonsenso. La pandemia che ci ha mostrato che nessuno se la può cavare da solo e contro gli altri, che ci ha mostrato che la salvezza e la sicurezza o sono comuni o non sono, viene usata per sostenere la necessità della guerra. Si dice che la prima vittima della guerra è la verità. Ed è proprio vero. Da mesi, da anni, media, giornali, politici stanno cercando di abituarci all’idea della guerra inevitabile, conseguenza logica e necessaria della necessità di combattere il Nemico di turno, quello con la enne maiuscola, l’impero del male, che non può che essere combattuto, che è privo di ragioni e di problemi, con il quale non si può in nessun modo discutere e trattare.
Ma noi non vogliamo sottostare alla logica della guerra. Basta guardarci indietro. Quante di queste guerre “combattute dall’occidente” abbiamo perso? Tutte. Quanto hanno migliorato queste guerre i paesi in cui le abbiamo portate? Per nulla, anzi. Abbiamo alimentato odio, nazionalismi, povertà.
Non è bastata la pandemia, non bastano gli eventi climatici estremi diventati ormai una drammatica normalità, i drammi delle migrazioni in fuga da povertà, guerra e siccità per far comprendere che è necessario cambiare il paradigma patriarcale della competizione e dell’affermazione di sé, della prevalenza degli interessi e del profitto sulla vita e la salute delle persone.
E continueremo a batterci per cancellare la guerra dalla storia. Farlo è essenziale per affermare altre logiche, quelle femministe della cura, della costruzione paziente della comune convivenza, della gestione non violenta dei conflitti, della presa in carico comune della nostra terra e di tutti e tutte i/le suoi/sue abitanti.
Ci diranno che questa è utopia, irrealistica, parolaia. Me sono realistiche la distruzione delle vite e delle risorse, la guerra mondiale a pezzi, lo sterminio delle popolazioni civili?
Maura Cossutta
L’8 marzo è importante esporsi con il proprio corpo e la propria voce
La violenza patriarcale ha diversi volti, non solo quello dei femminicidi (in Italia 6 donne uccise solo nelle prime due settimane del 2024), ma è anche quella economica neoliberista che aggredisce ed erode i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, quella coloniale che invade e sostiene guerre e genocidi contro i popoli, quella razzista che espelle e confina le persone migranti, quella eterocispatriarcale che riproduce stereotipi di genere e impone politiche sociali secondo un modello bigenitoriale ed eterosessuale.
Da diversi anni, l’8 marzo è una giornata di lotta contro le innumerevoli forme di oppressione sistemiche. Il recupero dello sciopero femminista e transfemminista globale, negli ultimi anni, ha posto il lavoro come ambito centrale di protesta e rivendicazione dei diritti collettivi. La violenza economica è quella che vede le donne guadagnare circa il 14% in meno degli uomini, svolgere tre quarti del lavoro domestico e di cura ed essere costrette al part-time o alla rinuncia del lavoro dopo la nascita del primo figlio. Quando parliamo di lavoro non intendiamo solo a quello retribuito, ma anche a quello riproduttivo invisibilizzato e svolto gratuitamente per la famiglia o la comunità.
Oggi lo sciopero coinvolge quasi un centinaio di Paesi, diversi sindacali, gruppi e organizzazioni femministe e transfemministe e porta in piazza migliaia di persone che si oppongono allo sfruttamento. Negli ultimi quattro decenni si è diffusa una precarietà di massa che espone sempre più persone al rischio di impoverimento. I divari retributivi crescono costantemente e la ricchezza è sempre più concentrata. I salari medi italiani sono addirittura diminuiti del 3% negli ultimi 40 anni, i contratti atipici sono aumentati del 34% solo negli ultimi dieci anni e un lavoratore ogni tre si trova in povertà relativa, cioè non riesce a sostenere le spese basilari come quelle per la casa, il canone di affitto e le bollette. Il taglio dei costi delle politiche sociali viene fatto ricadere sulle famiglie e in particolare sulle donne. Oltre a riprodurre un modello maschilista, il nostro welfare state è classista perché, avendo privatizzato la maggior parte dei servizi pubblici, sociali e sanitari, consente l’accesso a certi servizi solo a chi può permetterselo economicamente.
L’8 marzo è importante esporsi con il proprio corpo e la propria voce per tessere un cambiamento radicale dell’esistente, rifiutare politiche sessiste, securitarie, razziste e militariste. Anche quest’anno portiamo in strada la nostra solidarietà transnazionale.
Chiara Davoli