L’autonomia differenziata è prevista dalla Costituzione. In che senso allora svuota la democrazia disegnata dalla Costituzione? Perché attacca i diritti di tutti riconosciuti dalla Costituzione? Perché è una attuazione della Costituzione incostituzionale? Mi soffermo su tre profili: 1) svuotamento dell’unità e del “collettivo”; 2) autonomia, uguaglianza e democrazia; 3) smantellamento dello Stato sociale e dei diritti.
1. Svuotamento dell’unità e del “collettivo”
L’art. 116, comma 3, Costituzione, prevede una devoluzione che riguarda potenzialmente ben 23 materie, a loro volta articolate in oltre 500 funzioni: di queste, alcune concernono diritti, come sanità, istruzione, lavoro; altre riguardano settori essenziali come energie, infrastrutture, commercio con l’estero.
Potenzialmente si dà vita, come osservava Laconi in Assemblea costituente, a «una miriade di staterelli», che svuota e frantuma l’unità. Si sostituisce alla logica, insita nell’idea della legislazione concorrente fra Stato e Regioni (presente anche negli Stati federali, come la Germania), dell’interdipendenza, della collaborazione, del dialogo, anche del conflitto – che, lo ricordiamo, assicura la vitalità della democrazia –, un approccio autoreferenziale, egocentrico, solipsistico.
Si frantuma l’idea di una collettività costruita sulla condivisione di regole. Si crea un caos normativo, con conseguente incertezza del diritto; la Banca d’Italia ragiona di «cornice normativa più complessa e disomogenea» (nello stesso senso si esprimono anche l’Anci e l’Ufficio parlamentare di bilancio), con inevitabili riflessi sulla stessa vantata efficienza e sui costi (a partire dalla moltiplicazione dei costi fissi).
Si destruttura il legame sociale, come è particolarmente evidente quando si ragiona del residuo fiscale (le regioni trattengono la differenza fra le tasse versate e quanto ricevuto in spesa pubblica). Ora, le imposte sono personali, non legate al territorio, e gli articoli 2 e 53 Costituzione sanciscono la solidarietà economica e tributaria a livello nazionale. Si aggiunga, che, quando si ragiona di differenziazione, essa è nel senso dell’art. 119, commi 3 e 5, Costituzione che, in coerenza con il principio di uguaglianza sostanziale, prevedono l’istituzione di «un fondo perequativo […] per i territori con minore capacità fiscale per abitante» e la destinazione di «risorse aggiuntive» «per rimuovere gli squilibri economici e sociali». È la solidarietà che restituisce il senso dell’appartenenza a una collettività. Legare le tasse ai territori, circoscrivere la solidarietà alla regione, è espressione di un individualismo regionale competitivo, coerente con l’immagine di una società frantumata, che non esiste (la Thatcher insegna); è la traduzione territoriale dell’individualismo autoreferenziale dell’homo oeconomicus, dell’imprenditore di se stesso. Si apre la via all’abbandono di ogni orizzonte redistributivo: perché condividere con altri territori? con altre regioni, con altri comuni? Perché condividere con altri? È un discorso che tocca allora anche i cittadini del Nord, è un discorso invero di classe, in questo senso trasversale rispetto alle regioni (https://volerelaluna.it/commenti/2024/02/05/autonomia-differenziata-illusioni-e-realta/). È l’abbandono di una prospettiva di trasformazione, di emancipazione sociale.
2. Autonomia, uguaglianza e democrazia
Soffermiamoci sull’aggettivo “differenziata”. “Differenza” è una “bella parola”, implica il diritto alla diversità, a un’uguaglianza che non sia omologazione; comprende la possibilità di tener conto delle diversità territoriali, come valore da tutelare. Se, invece, si tratta di diseguaglianze, la Repubblica, tutta, in tutte le sue articolazioni, ha il compito di rimuoverle (art. 3 Costituzione). Quella che abbiamo di fronte è un’autonomia che si fonda su diseguaglianze sociali ed economiche, che mira a riprodurre e incrementare: non è allora un’autonomia differenziata ma della diseguaglianza, di una diseguaglianza regionale che è diseguaglianza sociale ed economica. Da rimuovere.
Ancora. L’autonomia è inserita fra i principi costituzionali (art. 5) e si connota come autodeterminazione, «pieno sviluppo della persona» (art. 3). L’autonomia declinata, nell’art. 5, come locale ci racconta dell’autogoverno (in linea, ad esempio, con la partecipazione di lavoratori e utenti, di cui agli articoli 43 e 46); ci racconta di partecipazione effettiva, di territorio come luogo vissuto, di pluralismo, di sovranità diffusa; di concretizzazione, attraverso la prossimità e l’effettività, dei diritti. In sintesi, è un’autonomia – quella costituzionale – inclusa in un comune orizzonte incardinato intorno all’emancipazione e alla solidarietà; non è contro, ma parte dell’unità nazionale; si inserisce armonicamente nella comunità di diritti e doveri; si pone al servizio del principio di uguaglianza. Tutto questo non c’è, anzi, è contraddetto, in una autonomia che assume una veste competitiva, in un orizzonte meritocratico, all’insegna del darwnismo sociale, connotata da un assetto verticistico: un’autonomia, allora, che, se pur si pone come attuazione dell’art. 116, comma 3, Costituzione, è incostituzionale. Incide sul modo di essere della democrazia, su quale democrazia vogliamo. E riguarda tutti.
3. Non è solo questione di diseguaglianza, di solidarietà e di democrazia
L’autonomia differenziata è un processo che incide sui diritti di tutti, anche a prescindere dalla solidarietà e dall’uguaglianza. E sottolineo questo punto, parlando in una Regione – l Lombardia – dove la diseguaglianza ambisce a tradursi in privilegio. L’autonomia delle diseguaglianze è volano per una ulteriore tappa nello smantellamento dello Stato sociale, della democrazia come sociale e sostanziale.
Si inserisce qui il discorso, ambiguo, dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP): i LEP sono una garanzia per i diritti o uno strumento attraverso il quale dismettere la loro garanzia?
Tre veloci annotazioni:
a) la determinazione dei livelli essenziali dei diritti è dovuta a prescindere dal riconoscimento dell’autonomia differenziata (ai sensi dell’art. 117 Costituzione come riformato nel 2001);
b) non è dovuta solo la determinazione dei LEP (il compito affidato alla c.d. commissione Cassese, che invero ne ha individuato un elenco alquanto eterogeneo), ma è ugualmente dovuta la loro garanzia (lo stanziamento delle risorse necessarie). Questo, mentre è notizia di questi giorni il deterioramento nella garanzia dei LEA, livelli essenziali di assistenza (dati 2022) in ambiti come prevenzione, screening oncologici, pronto soccorso, e non solo al Sud. Discorrere di spesa storica, di «quadro finanziario della Regione», di invarianza finanziaria, di equilibrio di bilancio (elementi ricorrenti nel disegno di legge Calderoli), quale spazio lascia alla garanzia effettiva dei diritti? Eppure, come ha ricordato la Corte costituzionale (sentenza n. 275 del 2016): «è la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione»;
c) invero, da garantire sarebbe il diritto, non il suo livello essenziale: l’introduzione di una gradazione apre alla diseguaglianza ma anche allo svuotamento del diritto in sé, per tutti, a prescindere dal luogo di residenza. Si favorisce (ulteriormente) un processo di privatizzazione. Si differenzia, si definanzia, si individua un minimo comun denominatore sempre più esiguo; si affianca, fino a sostituirlo, il privato al pubblico: nuovi mercati e profitti per i soggetti privati e regressione e incremento delle diseguaglianze nella tutela dei diritti per i cittadini. Per tutti i cittadini, anche quelli del Nord.
4. Il disegno di legge Calderoli
Con l’autonomia differenziata, o della diseguaglianza, incrementeranno, attraverso un procedimento nel segno della verticalizzazione del potere, in modo esponenziale e intersezionale, le diseguaglianze territoriali e sociali, nonché la dismissione dello stato sociale.
In questo quadro si inserisce il disegno di legge Calderoli che non attribuisce direttamente alcuna competenza alle regioni ma si limita a delineare una procedura, fermo restando che, in quanto legge ordinaria, ben potrebbe essere abrogata e derogata da una successiva intesa, come da qualsiasi legge, così come si potrebbe procedere a intese anche in assenza dell’approvazione della legge Calderoli.
Tre brevi note sul disegno di legge Calderoli: a) riflette l’autonomia differenziata come autonomia della diseguaglianza; b) stabilisce un procedimento per la stipula delle intese all’insegna della verticalizzazione del potere, contrassegnato dal ruolo del Presidente del Consiglio e dei Presidenti delle Giunte regionali e dall’emarginazione del Parlamento, relegato a un ruolo consultivo e ratificatorio (coerente con la scelta del capo quale essenza, autoritaria, del premierato); c) la determinazione dei LEP, al di là della previsione – pro forma? – dei decreti legislativi, avviene sostanzialmente (nelle more dei decreti legislativi e per il loro aggiornamento periodico) con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (di nuovo l’esecutivo).
È la traccia dell’intervento svolto al Convegno nazionale “L’autonomia differenziata fa male anche al Nord”, organizzato da Tavolo No AD, Comitati No AD, Camera del Lavoro il 24 febbraio a Milano