Per il giurista le riforme rappresentano una rottura costituzionale: prefigurano un Parlamento del capo e la fine dell’indivisibilità della Repubblica
Il costituzionalista, docente dell’Università la Sapienza di Roma, Gaetano Azzariti afferma che premierato, più riforma della magistratura, più autonomia differenziata sancirebbero una netta rottura costituzionale, venendosi ad affermare una diversa democrazia, quella “del capo”, e incrinando il principio dell’indivisibilità e unità della Repubblica.
Commentando l’approvazione del premierato in prima lettura al Senato, Meloni ha detto che questo è un primo passo verso il rafforzamento della democrazia. È davvero così?
Secondo me rappresenta il primo passo verso la trasformazione della nostra democrazia, è il passaggio dalla democrazia che abbiamo conosciuto sino ad ora, fondata nel ‘48, a una democrazia che avrà altri princìpi.
L’articolo 1 della Costituzione afferma che la sovranità appartiene al popolo. Il testo approvato al Senato rispetta la sovranità popolare o la restringe?
Tutto si gioca sulla seconda parte del secondo comma dell’articolo 1: la sovranità appartiene sì al popolo, ma questi la “esercita nelle forme e nei limiti dalla Costituzione”. Nella riforma Casellati sono le forme e i limiti che cambiano. Così, mentre la Costituzione vigente fonda la volontà popolare sulla centralità della rappresentanza politica, a garanzia del pluralismo, la riforma del governo instaura quella che io chiamo “democrazia del capo” in cui basta l’elezione di un unico soggetto da porre al vertice. Ciò che viene meno è il pluralismo rappresentativo, dando vita a quella che classicamente si chiama “democrazia identitaria”. In tal modo la democrazia si semplifica, sino a svuotarsi. Qualcuno potrà rallegrarsi che non si abbia più la necessità di raggiungere faticosi compromessi tra i diversi soggetti politici, tra maggioranza e opposizione, poiché tutto si riduce alla scelta del capo, ma il pluralismo è il costo inestimabile che viene pagato. È questo l’esito perverso di una stagione che ha puntato tutte le sue carte sull’ossessione della governabilità purchessia e che ha finito per non prestare più attenzione alle esigenze reali di un popolo che non può mai essere unitariamente inteso, ma che dovrebbe invece sempre essere rappresentato in modo plurale da soggetti politici diversi, che garantiscano a tutti i cittadini di concorrere a determinare le politiche nazionali. Invece abbiamo assistito a un trentennio di progressiva verticalizzazione del potere e di perdita di capacità rappresentativa dei partiti. Oggi i nodi vengono al pettine introducendo le logiche identitarie al massimo livello delle istituzioni, eleggendo direttamente il cosiddetto premier come unica espressione di democrazia: la democrazia del capo, appunto.
Professore, lei ha usato un termine, “equilibrio”, importante nella Costituzione vigente che ha costruito un delicatissimo e straordinario equilibrio tra i diversi poteri dello Stato attraverso un, anche in questo caso, equilibrio di pesi e contrappesi. Che fine fa questo equilibrio?
Personalmente penso che il problema oggi in Italia sia quello di rafforzare i poteri del Parlamento, vero organo debole, e non quello di rafforzare ulteriormente un governo che già, almeno nei confronti con il Parlamento, ha un eccesso di poteri. Questo esecutivo ha sostanzialmente assorbito la funzione legislativa, ormai definita tramite l’imposizione di una decretazione governativa senza sosta e senza limiti, svuotando le competenze del parlamento. Se si volesse riequilibrare la nostra forma di governo, bisognerebbe fare il contrario di quello che viene oggi proposto. Ripeto, rafforzare il Parlamento riequilibrando a suo favore i poteri del governo. Se poi, com’è nella riforma proposta, al contrario, si vuole rafforzare il capo dell’esecutivo, diventa tanto più necessario trovare un modo per rafforzare contestualmente gli altri poteri in funzione di bilanciamento e controllo. La differenza tra la democrazia a forma di governo presidenziale americana rispetto alle autocrazie dichiarate, come nei casi dalla Turchia o della Russia, è proprio l’esistenza nella prima di solidi check and balance: il Congresso degli Stati Uniti è un potere separato e del tutto autonomo che si può contrapporre senza colpo ferire al presidente eletto. In Russia evidentemente questo non avviene. Nel nostro caso il rischio maggiore è dunque quello di introdurre l’elezione di un capo del governo in assenza di un bilanciamento. Un rischio determinato dal fatto che, nel disegno di legge Casellati, è il capo eletto che trascina con sé una maggioranza parlamentare, la quale si pone dunque al suo servizio. Questo è il difetto maggiore. Non tanto – ovvero non solo – l’elezione diretta, ancor più grave è la concentrazione dei poteri nelle mani di un unico organo del governo che diventa il dominus non solo dell’esecutivo, ma anche del parlamento.
E nonostante ciò che affermano Casellati e Meloni, a tutto questo corrisponde anche lo svuotamento di funzioni e di poteri della presidenza della Repubblica.
Nell’attuale sistema istituzionale alle fragilità del Parlamento, nelle ricorrenti crisi tra i poteri, ha spesso supplito il presidente della Repubblica in qualità di organo di garanzia costituzionale. Quando il Capo dello Stato interviene lo fa, spesso in modo incisivo, proprio per provare a risolvere o riequilibrare una situazione di crisi. Questa è la sua funzione costituzionale. Ora, nella riforma Casellati, questo potere di garanzie e di riequilibrio viene meno. Ma la cosa più speciosa e subdola è che non gli si sottraggono direttamente poteri che vengono invece svuotati. Faccio due esempi che corrispondono ai due poteri più importanti che l’attuale Carta assegna al Capo dello Stato: la nomina del presidente del Consiglio dei ministri e lo scioglimento delle camere. Questi, formalmente, non gli vengono sottratti, ma li si riduce ad un atto notarile. Nel disegno Casellati l’incarico al presidente eletto viene conferito dal presidente della Repubblica, ma a chi altri potrebbe conferirlo se non al presidente eletto? È chiaramente un atto dovuto: se dovesse incaricare un altro soggetto e non quello eletto commetterebbe semplicemente un colpo di Stato. Stessa cosa vale per lo scioglimento delle camere. Ma che senso ha conferire al presidente il potere dello scioglimento visto che la decisione politica spetta al presidente eletto? Si vede così come a fronte di una conservazione formale dei poteri del capo dello Stato, si assiste ad uno svuotamento sostanziale del suo ruolo di garanzia. Questo preoccupa anche per un altro aspetto. Al capo dello Stato spettano anche nomine di garanzia, quelle di cinque giudici alla Corte Costituzionale, nonché la presidenza del Csm. Sono poteri delicatissimi che rimangono al capo dello Stato, ma che questi dovrà esercitare in una situazione di forte minorità di ruolo costituzionale. Senza peraltro voler tener conto che il prossimo capo dello Stato sarà prevalentemente – se non esclusivamente – espressione di una maggioranza che è tale perché trascinata dal premier eletto. In tal caso, si accentuerebbe gravemente la tendenza alla concentrazione di tutti i poteri costituzionali nelle mani di un unico vertice.
In queste ore la Camera dei Deputati ha anche approvato in via definitiva, manca solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, la legge sull’autonomia differenziata.
Un ulteriore colpo all’assetto istituzionale che abbiamo conosciuto figlio di un disegno strategico, dichiarato e molto pericoloso. Consiglio s tutti di prendere molto sul serio le dichiarazioni del programma politico dell’attuale maggioranza, lo dicevamo all’inizio: la sostituzione di questa democrazia costituzionale con un’altra democrazia. Se arriverà anche la separazione delle carriere dei magistrati, nessuno potrà dire che la Costituzione del ‘48 vive ancora. Avremo una nuova Costituzione e l’attuale maggioranza sarà soddisfatta e potrà dire di aver costruito una nuova Repubblica. Chi ama i princìpi espressi dalla Costituzione del ‘48 deve cominciare a preoccuparsi.
E allora come si può contrastare il disegno di stracciare la Carta del 48? Forse la vogliono lo stracciare perché nasce dalla Resistenza di antifascista.
Forse… Voglio però dire anche un’altra cosa. Le costituzioni democratiche rappresentano classicamente un “patto consociativo”, ovvero un patto che lega una comunità nelle proprie diversità. La nostra Costituzione ha tenuto unita un’Italia divisa nelle sue diverse culture comunista, socialista, azionista, cattolica, liberale e in questo senso è stata la Costituzione di tutti. Da questo, che è lo scenario classico del costituzionalismo democratico moderno, passiamo ad un altro scenario, quello – mi si passi la battuta – di una Costituzione intesa un po’ come una torta, ciascun partner di governo può prenderne una fetta per alimentare la fame del proprio elettorato, cosicché se Fratelli d’Italia da tempo afferma che alla democrazia parlamentare preferisce una democrazia presidenziale, allora si fa l’elezione diretta del premier. Mentre la Lega, che dall’origine punta a fare la secessione, oggi, con l’autonomia differenziata, raggiunge il suo obiettivo storico, magari in una versione più soft. Infine, al terzo partito, Forza Italia, che da sempre vuole regolare i rapporti con la magistratura, con i pubblici ministeri in particolare, si concede la separazione delle carriere. Non è più la Costituzione di tutti ma, ripeto, una torta da dividere tra i partner di governo. Questo, non è neppure il frutto di una politica improvvisata, ma l’esito di una lunga stagione di regresso che ha visto riforme costituzionali fatte da risicate maggioranze: dal Titolo V del 2001, alla riforma Berlusconi del 2006, fino a quella Renzi nel 2016. Per fortuna, negli ultimi due casi queste riforme sono state bocciate dal corpo elettorale. Mi auguro che, se dovesse concludersi l’iter parlamentare, anche il premierato venga bocciato dal corpo elettorale.
Dobbiamo, quindi, augurarci che il popolo sovrano anche questa volta rimetta a posto la situazione?
Anzitutto auspico che sul premierato e sulla separazione delle carriere ci sia una reazione del Parlamento che rivendichi la propria autonomia di giudizio. Non so se i parlamentari si rendono conto che stanno procedendo al loro suicidio, si stanno sottomettendo al servizio di un capo. Se oggi contano poco domani conteranno ancor meno. Mi auguro un sussulto di consapevolezza del Parlamento, anche per l’autonomia differenziata, quando ci sarà il passaggio parlamentare delle intese tra governo e regioni. Mi auguro che allora il Parlamento, nonostante la riforma Calderoli faccia di tutto per tacitare il Parlamento, possa avere un sussulto e riprendere la parola. In ogni caso e ancor prima, non appena il testo della legge sull’autonomia differenziata verrà pubblicato in Gazzetta Ufficiale, le Regioni da un lato, il corpo elettorale dall’altro potranno reagire. Le Regioni, ai sensi dell’articolo 127 della Costituzione, potranno fare immediatamente ricorso alla Corte costituzionale entro 60 giorni dalla pubblicazione. Poi c’è la via referendaria, è necessario o che cinque regioni lo richiedono, o che 500 mila elettori firmino un quesito referendario abrogativo della norma. Auspico che questa strada possa essere perseguita, i tempi sono strettissimi, c’è poco più di un mese per la raccolta delle firme che vanno consegnate entro settembre, però credo che questo sia un’ulteriore strada per reagire al tentativo di cambiare alla radice la nostra Costituzione e il nostro assetto democratico.
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